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Dateci giustizia, non altri show
Redazione InPiù 14/05/2025

“Nessuno discute che la ricerca della verità su un omicidio non debba avere scadenza, lo prevedono i codici e il buonsenso comune”. Ne parla Alessandro Sallusti sul Giornale: “Ma già il fatto che dopo 18 anni magistrati e inquirenti cerchino in Andrea Sempio un nuovo assassino di Chiara Poggi - aggiunge - significa che Alberto Stasi (da nove anni in cella per quel delitto, e non è ancora finita) non è stato condannato – come vorrebbe la legge – oltre ogni ragionevole dubbio, bensì in base a un teorema, peraltro imposto dalla Cassazione che aveva smentito le sentenze assolutorie di primo e secondo grado. L’imperatore Giustiniano già 1500 anni fa aveva fatto scrivere nel codice Digesto che in una società civile «è meglio un colpevole in libertà di un innocente in carcere», cioè che quando non v’è certezza di colpevolezza è meglio che il giudice accetti il rischio di assolvere un colpevole piuttosto che quello di condannare un innocente. In Italia invece le cose funzionano spesso all’inverso, basta mettere in fila recenti fatti di cronaca. Dopo solo cinque anni di detenzione – sottolinea Sallusti - la magistratura ha permesso di uscire dal carcere a un assassino conclamato - quell’Emanuele De Maria che è prontamente tornato ad uccidere prima di gettarsi dal Duomo di Milano - ma tiene agli arresti (solo di recente allentati) uno che oggi essa stessa non ritiene essere certamente l’omicida di Chiara Poggi, al punto da perquisire le case di nuovi sospettati. Tutto questo accade per un mix di incompetenza, approssimazione e voglia di giustizia spettacolo, quella giustizia prigioniera della sua arroganza e incapace di tornare sui suoi passi quando appare ovvio che la strada intrapresa non porta a mete certe. Di questo, e non delle riforme che spettano al potere politico, dovrebbe occuparsi il Csm, facendo pulizia all’interno della categoria, sanzionando severamente chi non si dimostra all’altezza del compito che gli è stato affidato. Il dubbio è che lo show di ieri – con tanto di canale dragato a distanza di 18 anni dai fatti - contro i nuovi sospettati, non sia poi così diverso da quello messo su anni fa ai danni di Alberto Stasi. Esigiamo certezze e verità, non passare da un colpevole all’altro, perché – conclude - così entrambi saranno comunque marchiati a vita dal sospetto e Chiara non avrà giustizia”.
Alessandra Ricciardi, Italia Oggi
“Non solo sulla difesa, ma anche sul lavoro, il centrosinistra non riesce a stare nello stesso campo”. Alessandra Ricciardi su Italia Oggi parla di ‘campo largo che si è ristretto” facendo notare che “ai referendum dell’8 e 9 giugno promossi dalla Cgil, 4 di abolizione di norme del Jobs act e uno per ridurre da 10 a 5 anni il periodo necessario per chiedere la cittadinanza italiana, M5s voterà sì ai 4 sul lavoro, lasciando libertà di scelta sulla cittadinanza, +Europa è per il sì sulla cittadinanza, sì al quesito sugli appalti e per il no agli altri 3 sul lavoro. Matteo Renzi, leader di Italia viva, da segretario del Pd padre politico della riforma contro cui oggi si schiera la Cgil, difende il Jobs act, voterà solo sulla cittadinanza fast. Sì alla cittadinanza e no ai referendum sul lavoro anche da parte di Carlo Calenda e Azione. E il Pd? Formalmente il partito di Elly Schlein appoggia tutti e 5 i quesiti, in piena consonanza con il sindacato di Maurizio Landini, e si è mobilitato perché sia raggiunto il quorum necessario per dichiarare valido il risultato, quale che esso sia. Un’impresa che già sulla carta appare improba: in Italia, infatti, negli ultimi 28 anni e su 9 referendum abrogativi, solo uno, nel 2011, quando si votò sul nucleare, l’acqua pubblica e il legittimo impedimento, ha visto la partecipazione del 50%+1 degli aventi diritto al voto. L’ala riformista del Pd, già in sofferenza sulle scelte europee, si è ribellata, uscendo allo scoperto con una lettera aperta a Repubblica a firma di Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno, Lia Quartapelle e Filippo Sensi: «Voteremo sì al referendum sulla cittadinanza e sì al quesito sulle imprese appaltanti. Ma non voteremo gli altri 3 quesiti», giudicati un passo indietro rispetto alla riforma, incapaci di risolvere i problemi odierni del settore. Complicato declassare il tutto a scelte personali. È sempre più evidente che il Pd a guida Schlein è un nuovo Pd, che ha fretta di chiudere con il passato riformista. E lo fa su un settore chiave quale quello del lavoro. La consonanza con la Cgil è massima, meno con gli altri partiti del presunto fu campo largo. In queste condizioni – conclude - per il centrosinistra e lo stesso Partito democratico diventa sempre più difficile presentarsi come validi costruttori di una reale alternativa di governo”.
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