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I conflitti e il ruolo dell'Italia

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 13/05/2025

In edicola In edicola Angelo Panebianco, Corriere della Sera
“Giorgia Meloni è troppo accorta per non avere compreso in anticipo che la sua partecipazione di basso profilo (collegamento online anziché presenza fisica) al vertice di Kiev avrebbe innescato tante critiche”. Lo scrive Angelo Panebianco sul Corriere della Sera osservando come “per ragioni sia internazionali che interne (all’Italia), la «postura» del governo Meloni in politica estera potrebbe subire qualche significativo aggiustamento. Per un lungo periodo, dopo la formazione del governo, la premier ha potuto (e saputo) muoversi con autorevolezza sulla scena internazionale. Al punto che la stampa occidentale, per tradizione assai poco tenera con l’Italia, le ha riconosciuto a più riprese un ruolo internazionale di rilievo”. Nel caso della ricostituzione di un forte asse franco-tedesco ‘il ruolo dell’Italia ne uscirebbe ridimensionato. Nell’immediato pesano, da un lato, il «ritorno» della Germania e, dall’altro, il braccio di ferro fra Trump e l’Europa. Il ritorno sulla scena europea di un autorevole governo tedesco toglie spazio alla von der Leyen, alla presidente della Commissione europea con cui Meloni ha stabilito un legame stretto. Trump, a sua volta – osserva l’editorialista - è per Meloni un’arma a doppio taglio. Da un lato, il suo rapporto privilegiato con l’attuale presidente americano dovrebbe in teoria consentirle di svolgere un ruolo di mediazione fra America ed Europa. Dall’altro lato, se l’imprevedibile Trump scegliesse un riavvicinamento all’Europa (fine della guerra dei dazi), Meloni si ritroverebbe senza ruolo e, per giunta, oberata da un legame speciale con un presidente americano assai poco popolare in Europa e in Italia. Se, per contro, il riavvicinamento non ci fosse sarebbe facile per gli avversari, italiani e non, bollarla come «traditrice» dell’Europa. Ma, in ultima istanza, il futuro ruolo internazionale dell’Italia sarà deciso da due fattori. Il primo, su cui l’Italia può fare qualcosa ma non molto, riguarda gli equilibri che si daranno fra i Paesi europei per effetto della loro evoluzione interna nonché gli equilibri fra Europa e America. Il secondo – conclude - riguarda l’evoluzione degli orientamenti dell’opinione pubblica italiana (su Kiev come sul riarmo europeo). Orientamenti che il governo può in parte influenzare ma di cui, soprattutto, e inevitabilmente, subisce l’influenza”.
 
Stefano Folli, la Repubblica
“Qualcosa si muove nella socialdemocrazia europea”. Così Stefano Folli su Repubblica analizzando ‘la ricetta di Starmer’: “In Germania, sua storica patria, è scesa ai livelli più bassi e ha ceduto il cancellierato a un esponente della Cdu, e non dei più malleabili. Altrove ha perso posizioni. In Francia subisce l’iniziativa mediatica del massimalista Mélenchon, il quale peraltro non ha ottenuto di recente risultati all’altezza delle sue ambizioni. Ma come si esce, in tutta Europa, da uno scenario così poco incoraggiante? È significativa la strada indicata dal laburista Starmer nel Regno Unito. La sua idea – sottolinea Folli - consiste nel non lasciare ai conservatori il monopolio di alcuni temi, primo fra tutti il contrasto all’immigrazione irregolare e il bisogno di sicurezza dei cittadini. E quando si parla di ‘conservatori’ non s’intende più il partito ormai estenuato, sconfitto alle elezioni proprio dai laburisti. No, la nuova destra è quella di Nigel Farage, una sorta di Trump britannico attivo da molti anni, padre della Brexit, ma solo ora arrivato a godere di un consenso di massa. Il tentativo di Starmer consiste nell’inseguire Farage sul terreno che gli è congeniale, appunto la lotta all’immigrazione, riportando a sinistra alcune soluzioni di cui la destra ha fatto i propri cavalli di battaglia. Certo, siamo lontani dal rilancio di un progetto socialdemocratico. Al momento si tratta di combattere per la sopravvivenza. Starmer però ha colto un punto: la gestione dell’immigrazione è stata troppo timida a sinistra e ciò provoca uno slittamento dei consensi verso destra. Lo stesso è accaduto in Germania e altrove. In Italia invece il Pd e una parte dei suoi alleati (Avs, +Europa) seguono la vecchia linea: accoglienza e integrazione, nel solco aperto dalle organizzazioni cattoliche e dall’azione di papa Bergoglio, non a caso molto amato dalla nostra sinistra che aveva visto in lui una sorta di leader politico. Hanno ragione o torto? Presto lo sapremo. La parziale novità è che Starmer è un esponente della sinistra. Tuttavia già – conclude -Tony Blair a suo tempo si era spostato su di una linea centrista per recuperare voti da Margaret Thatcher. Che a sua volta li aveva in precedenza sottratti ai laburisti. È tutto da capire se Starmer riuscirà nello stesso gioco”.
 
Alessandro Arduino, La Stampa
Alessandro Arduino sulla Stampa analizza i nuovi scenari geopolitici che si stanno delineando tra Usa, Cina e Medio Oriente: “Il presidente americano Donald Trump – scrive l’editorialista - torna nel Golfo questa settimana, con tappe previste a Riad, Doha e Abu Dhabi, un viaggio che richiama la sua prima missione internazionale del 2017, oggi con la promessa di 600 miliardi da parte dei sauditi. Ma stavolta, la visita si inserisce in un contesto geopolitico profondamente mutato, dove la crescente influenza della Cina nella regione rischia di entrare in rotta di collisione con le ambizioni del tycoon. Se ieri il palcoscenico era dominato dagli Sati Uniti, oggi una nuova figura è uscita da dietro le quinte: la Cina. Pechino da anni agisce senza eccessivo clamore mediatico, costruisce infrastrutture, stringe accordi, offre tecnologie per la sicurezza che non fanno domande e non impongono valori. È un potere silenzioso, amministrativo, fatto di connessioni digitali ed AI, sviluppo urbano smart e soprattutto trasferimenti di tecnologia. E ora, quel potere sfiora e talvolta urta le ambizioni teatrali di Trump. Trump, fedele a sé stesso, non offre una grande strategia a lungo termine ma cifre. Alla proposta saudita di 600 miliardi di dollari risponde con una richiesta di mille miliardi. Allo stesso tempo – sottolinea Arduino - sia l’Arabia Saudita che gli Emirati Arabi Uniti spingono per ottenere certezze se Washington resterà la colonna portante della sicurezza nella regione. A garantirlo, secondo le aspettative del Golfo, dovrebbero essere anche nuovi e massicci trasferimenti di armamenti ad alta tecnologia americani. Negli ultimi dieci anni i rapporti tra Cina e mondo arabo si sono intensificati e la visita di Xi Jinping a Riyad nel 2022 ne è stata una riprova. Il petrolio è il punto di partenza: un quinto del greggio cinese viene dall’Arabia Saudita, quasi il doppio dall’intero Golfo. E in mezzo a tutto questo, Trump. Un uomo che parla di affari mentre il mondo ridefinisce equilibri, e le monarchie del Golfo sono posizionate al meglio per parlare la stessa lingua del tycoon. La regione è diventata la plancia dove si muovono non solo capitali e contratti, ma algoritmi, dati, e apparenze di alleanze. È qui – conclude - che Cina e Stati Uniti si osservano e si preparano a uno scontro silenzioso, ma destinato a decidere i futuri equilibri della regione”.
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