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Il taccuino e la storia

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 08/05/2025

In edicola In edicola Aldo Cazzullo, Corriere della Sera
“La prima cosa che colpisce di Robert Francis Prevost è il taccuino”. Così Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera ricordando che “mai un Papa aveva letto dalla loggia un testo scritto, con il foglio che a tratti spuntava fuori. Non è una scelta che si spiega solo con le difficoltà linguistiche. Papa Leone parla bene l’italiano, perfettamente lo spagnolo —grazie alla sua lunga missione in Perù —, conosce il latino; infatti si è espresso in queste tre lingue, e non nella sua. Il taccuino gli serviva a essere preciso. A non sbagliare nulla, senza la necessità di farsi correggere, come disse Giovanni Paolo II conquistando gli italiani in un secondo. Non siamo ipocriti: non è vero che non sia importante il posto da cui il Papa viene. Certo, il Papa ha un ruolo universale, che è poi il significato della parola «cattolico». Però il fatto che Giovanni Paolo II fosse polacco influì sull’energia con cui affrontò il comunismo sovietico. Il fatto che Benedetto XVI fosse tedesco non fu estraneo al suo rigore teologico e filosofico. Il fatto che Francesco fosse argentino ha certo determinato la sua attenzione ai poveri e ai Paesi emergenti, e la sua critica all’Occidente. Ora  - sottolinea l’editorialista -viene un Papa che ha un piede nell’America del Nord, dove è nato e si è formato, e l’altro nell’America latina, che ha scelto per la sua missione pastorale. E ha due anni di esperienza nella curia romana, come prefetto del dicastero per i vescovi, un ruolo-chiave che ha fatto di lui uno dei tre cardinali ben noti a tutti i colleghi. Il Papa polacco ha contribuito ad abbattere il Muro, il Papa tedesco ha vegliato sulla dottrina, il Papa argentino ha spalancato alla Chiesa un nuovo mondo. Il Papa nordamericano è chiamato a confermare questa apertura, conciliando la continuità con la tradizione. Da qui la scelta di Leone. Un nome che da una parte segnala la persistenza di uno spirito progressista, dall’altra lo inquadra in una prospettiva più ampia, lo incardina nella storia della Chiesa. Un ponte, quello tra America ed Europa, che da oggi Trump avrà qualche problema in più a tagliare. Non è difficile intravedere, dietro una scelta così rapida (alla quarta votazione), il ruolo dell’episcopato americano, che già dodici anni fa si era mosso in modo fulmineo e coordinato su Bergoglio”.
 
Ezio Mauro, la Repubblica
‘Il messaggio a un mondo che va alla deriva’. Ezio Mauro su Repubblica sintetizza così l’elezione di Leone XIV: “L’impazienza della fede, la coscienza della Chiesa davanti alla crisi di un mondo alla deriva, senza più una nozione comune del bene e del male – scrive l’editorialista - hanno accorciato il conclave eleggendo il primo papa nord-americano della storia al secondo giorno di votazioni, con il quarto scrutinio. Le mani giunte con l’anello piscatorio al dito, poi le braccia spalancate in un saluto ripetuto ma controllato, così come controllate sono state le prime parole del nuovo pontefice, che si era addirittura annotato su un grande taccuino le frasi del breve discorso, per leggerle al microfono prima di proseguire brevemente a braccio, e finire con una preghiera d’invocazione alla Madonna. Non un programma, dunque, ma un’assunzione di responsabilità, da parte di un papa giovane (per le abitudini dell’istituzione) che con i suoi 69 anni può dover reggere il governo della Chiesa per una lunga fase, ma soprattutto per un periodo travagliato e difficile.  Vedremo ora alla prova dei fatti – sottolinea Mauro - come la cultura e la natura di un Papa nato a Chicago incideranno sulla Curia romana. Il segno dell’America sul mondo è oggi controverso, per molti aspetti inquietante. Certo l’attenzione del cardinale Prevost ai temi sociali e la sua vicinanza a Francesco complicano fino all’impossibile il tentativo di “annessione” da parte di Donald Trump. Ma nello stesso tempo non c’è stato bisogno che lo Spirito Santo entrasse nella Cappella Sistina come alito, vento, nube, acqua o fuoco, secondo la tradizione, per scombinare tutti i calcoli della vigilia, le profezie e le alleanze: gli uomini riuniti in Conclave hanno avvertito un’emergenza, e hanno cercato una nuova energia spirituale e di governo fuori dalla vecchia Europa, ancorandola al Vangelo più che ai testi della diplomazia, curiale e di governo. Così dopo Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio è tramontata davvero l’epoca dei Papi italiani come tradizione, tentazione, obbligazione e potrà riemergere in futuro come semplice opportunità: ma prima – conclude - dovremo leggere i segni che sulla Chiesa e sugli uomini lascerà il Papa d’America”.
 
Stefano Stefanini, La Stampa
Stefano Stefanini sulla Stampa commenta l’elezione del nuovo pontefice: “Leone XIV primo Papa statunitense. Viene da un’America che ci eravamo dimenticati esistesse.  Un’America – scrive l’editorialista - che accoglie e non caccia. Un’America che si preoccupa per la pace nel mondo - prima frase pronunciata dal balcone di San Pietro - e non solo di essere sicura nella propria. Visibilmente emozionato, Papa Prevost ha parlato poco ma è andato direttamente al cuore del problema che affligge il mondo: la necessità di pace. Non poteva esserci maggior continuità con Papa Bergoglio, più volte ricordato. Né è detto che i governanti che fanno la guerra, in Ucraina, a Gaza, in Sudan, ora anche in Kashmir, gli diano più retta di quanta ne davano, o meglio non ne davano, a Papa Francesco. Ma avere un americano che dal Vaticano parla di pace e apre al mondo senza guardare alle nazioni, fa un enorme differenza nei confronti dell’altro americano che sta alla Casa Bianca. Il Conclave ha scelto un Pontefice americano nell’era di America first. Immediate le congratulazioni di Donald Trump a Robert Francis Prevost: «un onore». Ma l’inevitabile parallelo fra Papa Leone XIV e il presidente americano – osserva Stefanini - li vede ad estremi opposti dello spettro in visione geopolitica e sensibilità sociali. Nell’una come nelle altre si rispecchia la distanza fra ecumenismo cattolico, rappresentato ieri dalla marea di facce commosse in uno sventolio di bandiere di tutto il mondo, e il suprematismo nazionale delle platee Maga ai rally trumpiani, monotonamente punteggiate di berrette rosse e bandiere a stelle e strisce. Nei confronti del pubblico americano Leone XIV è investito di una doppia autorità morale: quella pontificia tradizionale e quella nazionale americana. È pur sempre una voce americana che per Trump, e per il cattolico JD Vance, è più difficile da ignorare di quanto lo sarebbe stata una voce papale italiana o filippina. Se il Conclave era una conta fra progressisti e conservatori, questi ultimi più vicini all’America cattolica che ha votato Maga, non c’è dubbio che abbiano vinto i primi. Ma la scelta non è caduta su un Pontefice che sarebbe stato uno schiaffo all’America di Trump. Geopoliticamente – conclude - non è stata un colpo di accetta, è stata un tocco di fioretto”.
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