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I confini e le parole perdute
Il terzo focolaio e la posta in gioco
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 07/05/2025

Federico Rampini sul Corriere parla del conflitto India-Pakistan come ‘terzo focolaio dopo Ucraina e Medio Oriente e della posta in gioco’: “È una versione dello «scontro di civiltà», in questo caso tra induismo e islam, perché così lo vivono e lo descrivono molti protagonisti locali. Chiama in gioco le superpotenze, perché – scrive - l’India è passata dalla lunga stagione filosovietica a una vicinanza strategica con gli Stati Uniti, mentre il Pakistan è diventato una colonia economica della Cina. Lo squilibrio è notevole, demografico (1,4 miliardi gli indiani, 250 milioni i pachistani), e soprattutto economico: l’India ha il quarto Pil mondiale e si candida a beneficiare delle tensioni Usa-Cina accogliendo nuovi flussi d’investimento e delocalizzazioni manifatturiere; il Pakistan è uno Stato fallito, la cui classe dirigente è incapace di creare sviluppo. Questa disparità nei rapporti di forze però viene pareggiata dall’arma nucleare che hanno entrambe. La tentazione dell’equidistanza è forte, in questi tempi di confusione politica e ideologica. Modi ha una pessima immagine in Occidente, per le accuse di islamofobia e perché amico di Donald Trump. Acciaccata quanto si vuole – osserva Rampini - della Repubblica federale indiana si possono dire cose simili a quelle che valgono per l’America: ha una magistratura e una stampa libere e indipendenti; il federalismo dà all’opposizione interi governi regionali; il mondo della cultura e dell’arte è mobilitato contro il premier. Il Pakistan è un’altra cosa. Il suo regime unisce i peggiori difetti del militarismo e dell’islamismo. Con le milizie jihadiste pachistane le superpotenze hanno giocato a fare gli apprendisti stregoni. Negli scenari di escalation la guerra nucleare è il più estremo, e per ora improbabile. Esistono però alternative drammatiche benché meno devastanti. Qualora il Pakistan insista a rispondere colpo su colpo, l’India di recente ha evocato la possibilità di una «guerra dell’acqua»: un intervento a monte, sul corso di fiumi essenziali per la sopravvivenza della popolazione pachistana. Modi è uno dei leader più autorevoli del Grande Sud globale e cercherà di preservare il suo soft power. Le poste in gioco sono innumerevoli. Se in seguito alla controrappresaglia pachistana il conflitto si allarga – conclude - sarà un test per le forze armate indiane”.
Maurizio Molinari, la Repubblica
“Il duello militare India-Pakistan sul Kashmir risveglia il conflitto regionale più pericoloso del Pianeta, evidenzia il rischio geopolitico di scontri armati fra potenze regionali e alza il velo su un focolaio di guerra nello scacchiere sud-asiatico con implicazioni per la sicurezza globale”. Così Maurizio Molinari su Repubblica sottolineando che “il conflitto fra New Delhi e Islamabad è il più pericoloso perché coinvolge due potenze nucleari acerrime rivali sin da quando i musulmani di Mohammed Ali Jinnah nel 1947 si staccarono dall’India di Jawaharlal Nehru sfruttando l’indipendenza dall’Impero britannico per creare il Pakistan con una gigantesca migrazione umana. Ci troviamo dunque davanti a una sfida militare fra due potenze con armi di distruzione di massa che somma dispute territoriali, rivalità ataviche, ostilità religiose e la contesa su acque strategiche da parte di governi che esaltano entrambi il nazionalismo. Ma non è tutto perché - aggiunge l’editorialista - se osserviamo le reazioni delle tre maggiori potenze militari ci accorgiamo che, con linguaggi e iniziative differenti, Washington, Mosca e Pechino sono accomunate dal tentativo di frenare l’escalation. E poiché nessuna di loro è finora riuscita nell’intento ciò evidenzia come nella geopolitica a soqquadro del nostro tempo potenze regionali dotate di armamenti significativi — quali sono India e Pakistan — sentono di avere l’autonomia necessaria per continuare i propri duelli senza curarsi troppo delle relazioni internazionali. Non c’è dubbio sul fatto che Islamabad deve il proprio arsenale nucleare a Pechino come è vero che New Delhi vuole ammodernare il proprio grazie a intese privilegiate con Washington ma ciò non rende nessuno dei contendenti sensibili in maniera decisiva a pressioni esterne. La loro scelta di tenere in sospeso l’escalation in Kashmir senza però compiere passi indietro dimostra la volontà e capacità di essere indipendenti da tutto e tutti. Se Usa, Cina e Russia non riescono a prevenire, arginare o gestire in maniera decisiva i conflitti regionali fra medie potenze significa che una nuova tipologia di rischi alla sicurezza si affaccia sullo scenario internazionale. Con la quale – conclude - anche l’Europa deve fare i conti perché lo spazio strategico dell’Indo-Pacifico è vitale anche per sicurezza e prosperità dei nostri Paesi”.
Nicola Lagioia, La Stampa
Nicola Lagioia sulla Stampa parla del compito che dovrà assumersi il successore di Francesco: “Il conclave in cui fu eletto papa Francesco – scrive l’editorialista - aveva come compito la salvezza della Chiesa. Al conclave che è iniziato ieri chiediamo addirittura di salvare il mondo. Benedetto XVI annunciò l’intenzione di dimettersi nel febbraio del 2013. Barack Obama era allora il presidente degli Stati Uniti. Meno di sette mesi prima Mario Draghi aveva pronunciato il suo «Whatever it takes» alla Global Investment Conference di Londra. A proposito, la Gran Bretagna faceva parte della UE. Il mondo globalizzato sembrava reggere, pur tra contraddizioni, opacità e non remote atrocità (l’invasione dell’Iraq, per fare un esempio). In apparenza le due grandi aree di influenza occidentali (l’impero statunitense, e la potenza “erbivora” europea) se la passavano meglio della Chiesa cattolica, travolta da scandali, veleni, rivalità di ogni tipo. Chi sarebbe uscito papa dal conclave - afferma Lagioia - avrebbe avuto il compito di trarre in salvo ciò che qualcuno riteneva non emendabile. Bergoglio era quell’uomo. In dodici anni il piano si è ribaltato. La Chiesa oggi è decisamente più solida (e globale) di allora. Il mondo secolare è invece in fiamme, fuori controllo, ristretto nei nazionalismi, gonfio di odio e di violenza, la parte occidentale sprofonda nel baratro di una stupefacente crisi politica e identitaria. Mentre il mondo, in questi 12 anni, è diventato un posto sempre più angosciante, la Chiesa di Francesco ha dato l’impressione di sostituirsi proprio malgrado alle cancellerie sempre più fragili (o ai sempre più mostruosi Studi Ovali) degli stati-nazione o delle pseudo-unioni nel ribadire ciò che dovrebbe essere ovvio sia per il Vangelo che per l’Onu. Il problema è che la Chiesa non ha per compito salvare il pianeta dalle guerre e dalle crisi economiche, dal collasso climatico e dalle dittature. La Chiesa svolge un ruolo eminentemente religioso. Se ha importanza sul piano politico, dovrebbe essere una conseguenza accidentale. Disastrato un mondo che ha bisogno di un Papa per tirarsi fuori dal baratro! Ma – conclude - è la paradossale, persino grottesca situazione in cui ci troviamo. Chi riempirà il vuoto dentro di noi?”.
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