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L'arma dei tassi
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 17/04/2025

“Appena tre mesi fa era diventato così di moda svalutare l’Europa che doveva esserci per forza qualcosa di esagerato”. Così Federico Fubini all’indomani del taglio dei tassi da parte della Bce: “Ed era diventato così ovvio che l’euro fosse un vaso di coccio, che la Germania avesse un modello obsoleto, che Italia e Francia fossero paralizzate dal debito, da rendere qualunque indizio in senso contrario invisibile ai più. Non a Christine Lagarde però. La presidente della Banca centrale europea avverte il clima e deve aver colto un punto: l’Europa stavolta non ha voglia di farsi bullizzare da Donald Trump. C’è poco di più, per ora. Ma è difficile che Lagarde si lasci sfuggire una sola parola fuori posto in una fase di rottura come questa. Del resto – sottolinea l’editorialista - la Bce sempre ieri ha tagliato i tassi proprio perché le guerre commerciali di Trump allungano la loro ombra. Questa però era l’ordinaria amministrazione. È invece fra le righe del messaggio che si avverte il cambio di umore in Europa, perché nessuno ha intenzione di farsi mettere da Trump di fronte all’alternativa più brutale: alzare un muro tariffario contro la Cina, se si vogliono eliminare o ridurre i dazi americani contro di noi. Il clima che si avverte nell’Unione europea è piuttosto di provare ad affermare un po’ di autonomia, perché magari possiamo. La Bce ieri ha ricordato che qualche segno di tenuta in area euro c’è e la rivalutazione dell’euro non aiuta l’export, ma segnala che una moneta gestita con «ragionevolezza e prevedibilità» (parole di Lagarde) oggi interessa anche al resto del mondo. Poi ci sono le azioni che s’intravedono. Ieri la capa della Bce ha incoraggiato i governi a sviluppare un mercato finanziario integrato e smettere di sprecare il potenziale europeo. Ha chiesto di accelerare sull’euro digitale, per non permettere agli stablecoin di insinuare l’uso del dollaro in Europa. Lagarde infine si è raccomandata di facilitare la vita del sistema produttivo. Certo non va mai sottovalutata la capacità dell’Europa di deludere e i ritardi restano, dalle tecnologie allo spazio. Ma oggi – conclude - non è più escluso nulla: neanche una maxi emissione di debito europeo per la difesa e per far crescere l’euro come valuta di riserva globale a spese del dollaro”.
Francesco Bei, la Repubblica
Francesco Bei su Repubblica commenta le polemiche sul progetto diIstituire una Giornata per le vittime degli errori giudiziari. “Nel giorno dell’arresto di Enzo Tortora, il 17 giugno del 1983, scelto come simbolo di un tormento — manette, cella di isolamento e condanna sulla base di accuse di pentiti poi rivelatesi del tutto false — che ogni anno purtroppo tocca a tanti, troppi cittadini. La proposta di legge in discussione alla Camera – scrive Bei - in teoria non dovrebbe trovare ostacoli. Soprattutto da parte di una maggioranza di governo che si dichiara ‘garantista’ a ogni piè sospinto. Eppure la premier Giorgia Meloni, nonostante gli attacchi continui alla magistratura, ha dato ordine di farla ritornare nei cassetti della commissione Giustizia (è stata presentata da Davide Faraone di Italia Viva). La ragione è semplice e la raccontano sotto garanzia d’anonimato gli stessi parlamentari di maggioranza. Meloni non vuole «regalare» ai magistrati un’arma che li farebbe passare per «vittime», non fino a quando il governo non sia riuscito a portare a casa quella che considera l’arma fine-di-mondo per spezzare le reni agli odiati pubblici ministeri: la separazione delle carriere in Costituzione, svolta prodromica alla sottomissione dell’ordine giudiziario all’esecutivo. Fino ad allora – osserva Bei - meglio non ingaggiare battaglie di principio, come quella portata avanti con la proposta di legge Faraone, perché alla fine dell’iter costituzionale ci sarà comunque da affrontare un referendum e gli italiani, se chiamati a scegliere se stare con i politici o con i magistrati, potrebbero facilmente voltare le spalle alla maggioranza. Un’insolita prudenza, che stride con le cannonate che ogni giorno continuano a cadere sulla testa della magistratura. L’errore giudiziario, come quello medico, sconvolge non soltanto l’esistenza di chi lo subisce, ma anche di tutta la famiglia. Ed è giusto, doveroso, ove sia provata la sciatteria quando non la malafede, che il colpevole sia sanzionato. Senza sconti o legittimando di fatto l’impunità come avviene ora. Ma evitando un’inutile caccia alle streghe che coinvolgerebbe la stragrande maggioranza delle toghe che, in condizioni difficilissime, interpreta il proprio lavoro come una missione spesso a rischio della propria stessa vita”.
Stefano Stefanini, La Stampa
“Giorgia Meloni non ha perso punti con Donald Trump. Dall'incontro sono emersi due leader soddisfatti”. Lo scrive Stefano Stefanini sulla Stampa sottolineando che “il Presidente americano ha colto l'occasione per uno show televisivo in cui ha fatto molta politica interna. Alla Presidente del Consiglio, tenutasene saggiamente alla larga, è rimasto il ruolo di controcanto. Quando le domande dei giornalisti toccavano questioni che riguardavano l'Italia si allineava disciplinatamente col Presidente americano. Dato che quello che i leader dicono in conferenza stampa non rispecchia necessariamente quello che si sono detti, ma quello che vogliono che si sappia che si sono detti, la sintonia pubblica è indice di sintonia privata. Dalla Casa Bianca Meloni porta casa due importanti risultati, oltre ad avere ottenuto un riscontro sul rapporto bilaterale privilegiato, obiettivo che tutti i leader italiani hanno sempre coltivato. A fasi alterne. Giorgia se lo vede riassicurato, sul piano sia personale che istituzionale, a tre mesi scarsi della nuova presidenza. Ma l'incontro - osserva l’editorialista - aveva anche due dimensioni più ampie, quella dei rapporti commerciali Usa-Ue dopo il ‘Giorno della Liberazione’ e quella della sicurezza europea nella quale il Presidente americano condiziona l'impegno Usa - cioè la garanzia Nato - alla spesa per la difesa degli alleati europei. Quanto alla prima, Trump ha assicurato di volere un accordo sui dazi con l'Unione europea. Se questo è quanto ha in mente l'Ue, e l'Italia, devono prepararsi ad un'America permanentemente protezionista. Non aspettiamoci dunque troppo dai negoziati. Ma Meloni non poteva fare più che cercar di sensibilizzare il Presidente americano. Sulla seconda, la Presidente del Consiglio ha gestito abilmente il tallone d'Achille della latitante spesa italiana per la difesa, attestandosi sul 2% in vista del vertice Nato di giugno. Poi, ha lasciato intendere, si vedrà. Trump non ha battuto ciglio. Nell'incontro di ieri sono stati fatti passi utili all'Italia e all'Europa. Giorgia ha ammansito Donald ma non l'ha certo addomesticato. Se – conclude - i suggerimenti dati ieri, su dazi, sicurezza europea, Ucraina da non abbandonare, lasceranno una traccia, la visita a Washington sarà stata un successo. Il bilancio degli incontri fra leader si misura dai seguiti, non dalle dichiarazioni”.
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