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Noi, gli Usa e le barriere dannose

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 03/04/2025

Noi, gli Usa e le barriere dannose Noi, gli Usa e le barriere dannose Daniele Manca, Corriere della Sera
Sul Corriere della Sera Daniele Manca commenta la decisione di Donald Trump di alzare barriere tariffarie, tasse su tutti i prodotti importati negli Usa dal mondo. Il presidente americano ha mostrato una tabella con in testa i suoi due principali partner commerciali, Cina e Unione europea con accanto la cifra dei dazi imposti: 34% per Pechino, 20% per Bruxelles. Una manovra che è destinata a riconfigurare l’intero commercio mondiale. E che avrà conseguenze pesanti per tutti gli Stati coinvolti. A cominciare dall’Europa. Non sarà facile per l’Unione architettare una risposta all’altezza della sfida lanciata dal 47mo inquilino della Casa Bianca. Gli Stati Uniti hanno esportato lo scorso anno verso l’Europa beni per 357 miliardi. L’Unione europea ha inviato merci verso l’America per 584 miliardi. La differenza è soltanto una: la nostra economia in proporzione dipende molto di più dalle esportazioni. Il dilemma sarà come rispondere senza che si avvii una guerra commerciale che pure ieri è stata di fatto dichiarata dagli Stati Uniti all’Europa come a gran parte del mondo. La prima reazione di opporre a dazi altri dazi è probabilmente quella meno efficace. Anche se nell’immediato perlomeno la minaccia potrebbe essere utile come arma negoziale. Un’arma da usare per tentare di riportare a un tavolo un’amministrazione americana che al momento pare solo vogliosa di difendersi da presunti torti. È chiaro che l’Unione europea viene sottoposta a una sorta di stress test. Dovrà dimostrare unità. Dovrà dimostrare intelligenza facendo capire di essere stata ferita dalle parole usate nei suoi confronti nei giorni scorsi, e ieri dai dazi. Ma al tempo stesso dovrà reagire. E farlo con forza. Facendo capire che alzare barriere di questo tipo può non convenire a nessuno. Tantomeno a quelle aziende americane che offrono e vendono servizi nel mercato più ricco del mondo che forse a Washington si è dimenticato dove sia: in Europa.
 
Maurizio Molinari, la Repubblica
Lavagnetta e cifre alla mano, commenta a sua volta Maurizio Molinari su Repubblica, il «Giorno della liberazione» di Donald Trump è uno tsunami di dazi che spazza via ciò che restava della globalizzazione e apre una fase di incertezza economica che può ribaltare alleanze, innescare conflitti e sconvolgere le Global Supply Chains del commercio mondiale, con una pioggia di ripercussioni destinate a entrare nelle vite di ognuno di noi. Frutto delle idee del guru dei dazi, Robert Lighthizer, delle proposte del “falco del Commercio” Peter Navarro e delle limature di Kevin Hassett, presidente del Consiglio economico nazionale, le imposizioni varate da Trump, parlando dal Giardino delle rose della Casa Bianca, hanno quattro obiettivi: spingere le aziende manifatturiere Usa a tornare dentro i confini nazionali. Sanare “pratiche commerciali sleali”; ridurre il deficit commerciale, vero tallone d’Achille dell’economia nazionale; avere entrate fiscali pari a 6 mila miliardi di dollari in 10 anni, le maggiori per gli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È un’offensiva che si accompagna ai dazi del 25% all’auto e si sovrappone alle tariffe già imposte a Messico, Canada e soprattutto alla Cina. Perché l’intento ultimo della Casa Bianca è ribaltare gli equilibri prodotti dall’entrata di Pechino nell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto), avvenuta nel 2001, per sostituire la globalizzazione con una versione contemporanea del mercantilismo basata sulla sfida planetaria Usa-Cina per conquistare la leadership della produzione di manifatture ed energia. Trump considera le “tariffe reciproche”, partendo da una soglia minima del 10%, la risposta non solo a Pechino ma anche ad «amici peggiori dei nemici» che elenca, mostrando una lavagnetta, imputandogli di aver impoverito l’America causando un’«emergenza nazionale»: India, Giappone, Sud Corea, Australia, Canada, Messico, Svizzera, Gran Bretagna, Pakistan, Indonesia e l’Ue dei «patetici europei». È l’annuncio di un’offensiva su scala globale. Ma è una strada che, secondo le previsioni di Goldman Sachs, porterà l’America ad avere quest’anno più inflazione, meno crescita e maggiore disoccupazione.
 
Paolo Pombeni, Il Messaggero
Una valutazione ragionata degli effetti della politica tariffaria annunciata da Trump – scrive Paolo Pombeni sul Messaggero – è ancora in fieri: non solo perché si dovranno esaminare tutti i risvolti di una politica che fino a ieri era fatta più che altro di annunci (alluminio e acciaio a parte), mentre da oggi assume una configurazione se non chiara, almeno analizzabile. Certamente non si può essere acquiescenti verso decisioni fortemente provocatorie, ma non sembra una politica efficace una risposta improntata allo sbattere ipotetici pugni su un ipotetico tavolo. Il Presidente Mattarella ha giustamente ribadito che non è possibile far finta di niente, così come la premier Meloni ha opportunamente ricordato che ponderare accuratamente le risposte non significa astenersi dal difendere gli interessi dell’Europa e nostri. Nella direzione di una reazione articolata sembra orientarsi la Ue, come è stato anticipato da Macron, lesto come sempre a mostrare se stesso nel ruolo del direttore d’orchestra. Per evitare che l’opinione pubblica cada nelle varie trappole dei populismi, di quelli che vorrebbero da parte di Bruxelles e dei diversi governi contromisure a là Trump, e di quelli che per speculare sul successo di The Donald propongono di considerare la sua politica dei dazi come scarsamente influente, è bene ricordare quanto abbastanza concordemente rilevano gli analisti accreditati di qua e di là dell’Atlantico: le guerre commerciali e la corsa ai dazi non hanno mai prodotto nulla di buono. L’Europa dunque deve reagire alla politica trumpiana dei dazi in due modi. Uno è strutturarsi per contenerne gli effetti per lei negativi che indubbiamente ci saranno per un certo periodo (si vedrà quanto lungo). Significa fare rete di solidarietà interna per sostenere le sue componenti economiche che saranno colpite dalle politiche tariffarie introdotte e al tempo stesso organizzarsi per reindirizzare verso altri mercati quell’export che non troverà spazio nel mercato americano. Il secondo modo di reagire consiste nell’evitare le contrapposizioni esasperate.
 
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