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Ma sarà un veleno per tutti
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 02/04/2025

Ferruccio de Bortoli sulla Stampa parla dei dazi come di ‘un veleno per tutti’. Nel «giorno della liberazione» - scrive - ci si chiede quanti saranno i prigionieri dei dazi di Donald Trump. Chi ne pagherà effettivamente il conto, quali le eccezioni. E poi, soprattutto, quanto impiegheranno molti cittadini americani a sentirsi, se mai accadrà, ugualmente prigionieri delle scelte della loro amministrazione. Da sempre i dazi, e peggio una guerra commerciale, rappresentano un circolo vizioso, un gioco a somma negativa. C’è del metodo nell’apparente follia di Trump? Ovviamente sì, se riuscisse a dimostrare di aver rilanciato la produzione e l’occupazione in tante filiere nazionali (dall’acciaio all’auto) indebolite da un interscambio poco favorevole. E di ridurre, come promesso, le tasse soprattutto alle imprese grazie anche ai proventi delle nuove barriere tariffarie. Il tempo, in questo caso, è una variabile decisiva. Fino a che punto la Casa Bianca può permettersi di veder scendere i listini azionari e indebolirsi il tasso di crescita al limite addirittura di una recessione? Trump promette che sarà gentile. Bontà sua. Soprattutto con chi si sottometterà più facilmente ai propri desiderata. I suoi (ex) alleati dovranno scegliere se ammiccare, accodandosi e accordandosi, oppure se tenere dignitosamente il punto, replicando i dazi, con il rischio di pagarne un prezzo più elevato. I dazi, storicamente – ricorda l’editorialista - funzionano in un solo caso. Quando la vittima acconsente. E non sono solo un’arma negoziale che il presidente americano usa disinvoltamente per premere sui propri partner. Sono anche un veleno a lento rilascio di sfiducia nelle relazioni commerciali tra privati. Una sorta di clausola oscura disseminata nei contratti. Le parti, pur legate da reciproche obbligazioni, sono in realtà più distanti. Diffidano l’una dell’altra. Incomprensioni e sospetti si allargano a macchia d’olio a tante altre attività non commerciali. Ai rapporti tra comunità scientifiche e culturali, per esempio. Il dilagare della sfiducia reciproca è la cifra distintiva di questa stagione geopolitica così gravida di angosce e interrogativi. Ci si guarda in cagnesco. Anche tra alleati storici. E si sottovaluta pericolosamente che l’architettura finanziaria internazionale si regge sulla fiducia nel dollaro come valuta di riserva che – conclude - potrebbe venire addirittura meno visto l’alto indebitamento americano”.
Stefano Folli, la Repubblica
“Sono giorni forse decisivi per tratteggiare il futuro del centrosinistra, la sua identità a lungo termine. Non meno significativi di quelli che attendono la maggioranza di governo”. Stefano Folli su Repubblica analizza il quadro politico nazionale e lo spiega notando “una differenza: a destra bene o male — magari più male che bene — esiste una coalizione che si misura con le responsabilità, ma anche coi vantaggi del governo; a sinistra i patti sono tutti da costruire. E il fatto che il confronto avvenga sulla politica estera, sulla sicurezza dell’Europa, sui temi del riarmo militare, dimostra quanto il cammino sia ancora lungo. L’ex premier Matteo Renzi non si risparmia nel raccomandare ‘l’unità di tutte le forze d’opposizione per sconfiggere Giorgia Meloni’. È, con parole solo in apparenza diverse, quello che chiede Elly Schlein, ‘testardamente unitaria’. E’ chiaro – scrive Folli - che il messaggio è tutto per Giuseppe Conte. È lui ad avere in mano le carte più insidiose. Presidia il terreno del ‘pacifismo’, se vogliamo chiamarlo così, e di fatto decide chi è degno di accedervi. A questo punto è chiaro che non stiamo assistendo a una semplice baruffa tra le piazze del Pd e quella dei 5S. Come dire, due modi diversi di osservare lo stesso orizzonte. È molto di più. L’obiettivo di Conte sembra essere quello di mettere con le spalle al muro il partito di Elly Schlein, sfruttandone fino all’esito finale le contraddizioni sulla difesa europea. Ecco perché le manifestazioni dei prossimi giorni non saranno solo una testimonianza in attesa di riprendere il cammino comune. In pratica questo cammino non esiste, per quanto sia consigliabile qualche armistizio temporaneo. Del resto il Pd, a differenza degli ex ‘grillini’, deve tener conto della posizione di Sergio Mattarella, garante e non da oggi della posizione internazionale dell’Italia. Tutto ciò rischia di favorire Conte una volta di più, almeno come capo popolo. Mai come stavolta il leader dei 5S è vicino al suo obiettivo: mortificare il Pd, nel caso frantumarlo. Con l’idea di creare un baricentro “pacifista” destinato a legare insieme tutti coloro che a sinistra si oppongono ai progetti von der Leyen e simili. Alla ricerca di una leadership – conclude - che non è più un sogno proibito”.
Flavia Perina, La Stampa
Flavia Perina sulla Stampa parla del caso Le Pen e sottolinea che “il mondo sovranista ormai attacca la giustizia anche quando porta il suo segno, quando è stata strutturata a sua misura, e davanti a una condanna non c’è organizzazione del terzo potere – carriere divise, unite, parallele, pm liberi o soggetti all’esecutivo, azione penale obbligatoria o no – che accontenti i sostenitori della prevalenza assoluta degli ‘eletti dal popolo’ sulla legge. In Francia la separazione c’è, il pm è un funzionario che risponde direttamente al ministro della Giustizia, e in teoria i nostri dovrebbero adeguarsi alle decisioni di un modello che rispecchia le loro convinzioni e aspirazioni: ovviamente non succede, anzi raddoppiano i sospetti di una gestione politicamente orientata dei verdetti. Negli Usa la carica del pubblico accusatore è addirittura elettiva nei sistemi statali e di nomina governativa in quello federale, ma anche lì il sovranismo non è contento e si ribella. Persino in Ungheria, dove il premier Viktor Orban controlla l’organo che di fatto decide le promozioni dei giudici, l’attivismo giudiziario’ è costantemente additato al popolo come il vero ostacolo da battere per promuovere il cambiamento e fermare l’immigrazione. Per vent’anni – osserva Perina - ci siamo accapigliati (e ancora lo facciamo) sulla necessità di una riforma che riequilibri il rapporto tra politica e magistratura, salvo verificare, oggi, che nessuno schema è ritenuto adeguato, nessuna inchiesta accettabile, nessuna condanna condivisibile, qualunque sia il sistema che le produce. E tuttavia sarebbe polemica di retroguardia fermarsi lì, al vecchio scontro tra giustizialismo e garantismo perché in tutta evidenza in Europa e in Occidente un pezzo della politica contesta il diritto stesso della magistratura ad occuparsi degli affari suoi. Lo fa in modo obliquo, senza dichiarare i suoi intenti, senza – ad esempio – invocare il ripristino di antiche garanzie come l’immunità o le autorizzazioni a procedere, perché non vuole perdere l’allure anti-casta. Vuole mostrarsi popolo tra il popolo, ma risultare pure legibus solutus come gli antichi imperatori. È un programma sconnesso ma di successo: per i suoi amici – conclude - Marine Le Pen è già una vittima, tra i suoi nemici cresce il timore che il verdetto si trasformi in un boomerang elettorale, il merito della vicenda non interessa quasi nessuno”.
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