-
Altro parere
-
L'arma dei tassi
-
Altro parere
-
Il lungo scontro Usa-Cina
-
Altro parere
-
Un'Europa più unita ci conviene
-
Altro parere
-
Un'Europa che resti coerente sull'Ucraina
-
La finestra riaperta su Teheran
-
Tronchetti Provera: “Serve realismo siamo deboli e dobbiamo trattare”
-
Simion: «Modello Meloni per la mia Romania»
-
L'ex amico a Pechino
-
Altro parere
-
Altro parere
-
I dazi e i calcoli sbagliati di Trump
I pericoli della pace ingiusta
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 27/03/2025

È ormai evidente – afferma Paolo Mieli sul Corriere della Sera – che gli Stati Uniti si accingono ad imporre all’Ucraina un iniquo «accordo» con l’aggressore. A dispetto della lodevole insistenza del capo dello Stato Sergio Mattarella, del presidente della Conferenza episcopale Matteo Zuppi e di molti leader europei sul tema della «pace giusta», Donald Trump e Vladimir Putin lasciano intendere in tutti i modi possibili e all’unisono d’essere alla ricerca di un’intesa che preveda un trattamento punitivo per l’Ucraina. Accompagnata da un’umiliazione, fin dove è possibile, dell’Europa tutta. Qui in Italia – continua Mieli – c’è qualcuno che osa, che, anche a costo di entrare in evidente contrasto con i moniti di Mattarella e Zuppi, dà segni di apertura alla formulazione proibita («pace ingiusta»). L’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky nel corso di un’intervista (a Silvia Truzzi per il «Fatto Quotidiano») si è domandato: «Se non siamo in grado di garantire la pace giusta, saremmo disposti a fare la guerra, una guerra definitiva, con le bombe atomiche?». Per quel che lo riguarda, lui ha risposto apertamente di no, anche a costo di passare per «pusillanime». Prima di tutto, ha aggiunto Zagrebelsky, «viene la vita della gente comune e anche quella dei soldati». E «finché c’è vita, c’è speranza». Quindi: meglio una «pace ingiusta» (finalmente qualcuno che pronuncia quelle parole senza girarci intorno: «pace ingiusta») che una «morte giusta per tutti, innocenti compresi». Tanto più che una pace «per quanto ingiusta non preclude la possibilità di operare successivamente per ottenere giustizia». Per parte nostra, fatte salve le preoccupazioni umanitarie di Zagrebelsky, dubitiamo che quella «ingiusta» possa essere considerata un’autentica pace. Sappiamo benissimo che anche le paci del passato contenevano dosi di ingiustizia (che tra l’altro hanno poi provocato ulteriori guerre). Ma la pace predatoria, ostentatamente punitiva nei confronti di chi si sta battendo da oltre tre anni e di chi, come l’Europa su quella resistenza ha investito più di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti, non offre alcun affidamento di stabilità. Quanto alla «possibilità di operare successivamente per ottenere giustizia», abbiamo paura che essa possa rivelarsi un auspicio di impossibile concretizzazione.
Carlo Bonini, la Repubblica
Su Repubblica Carlo Bonini commenta la mozione di sfiducia nei confronti del ministro della Giustizia Nordio, respinta ieri dal Parlamento, e il caso Santanchè, con la ministra del Turismo che ha chiesto e ottenuto con il più consumato degli escamotage (la sostituzione di uno dei suoi avvocati con conseguente richiesta dei “termini a difesa”) un rinvio di due mesi dell’udienza preliminare in cui è imputata, avvicinando di un’altra generosa spanna il suo eventuale processo alla mannaia della prescrizione (il 2027) e dunque all’eutanasia del reato di cui è accusata. Si dirà: in fondo, nulla di nuovo sotto il sole. Non fosse altro perché sappiamo, ormai, che nel canone della destra di governo il principio di responsabilità – politica innanzitutto, per non dire penale – è semplicemente ignoto. Convinta infatti che la potestà popolare vinta nelle urne liberi dall’obbligo politico (ed eventualmente penale) di dare conto dei propri comportamenti o delle proprie omissioni, ogni passaggio che metta in discussione questo dogma è vissuto e rappresentato come un’ignobile e intollerabile strumentalizzazione delle opposizioni. O, quando ci si trovi in un tribunale, come un complotto ordito da una giustizia politicizzata. In quanto tale, un’ordalia non in cui difendersi ma da cui difendersi. Si chiama principio di impunità. Ha una lunga storia nella tradizione politica del Paese e, fino all’insediamento del governo Meloni, si riteneva che avesse avuto un indiscusso e irripetibile campione in Silvio Berlusconi. Ma, appunto, e qui è la novità, è forse davvero arrivato il momento di aggiornare i libri di storia. Il modello di giustizia (penale) di Meloni, Nordio e dei vari Salvini, Santanchè, Delmastro, Donzelli, Costa, la cultura politica che quel modello esprime, fa infatti apparire oggi il ventennio di manomissioni berlusconiane del codice di procedura penale come un giardino di infanzia.
Giorgio Barba Navaretti, La Stampa
Sulla Stampa Giorgio Barba Navaretti elogia il presidente Mattarella che ha stigmatizzato i dazi di Trump. «I mercati aperti corrispondono alla pace e ai nostri interessi vitali di esportazione». Ma la miopia trumpiana, purtroppo, sembra poco avvezza ai buoni consigli
Come ricordato dall’economista Richard Baldwin, pare predomini un comportamento da cane pazzo. Ossia un cane che comunque vuole mordere, senza avere alcuna ragione per farlo. Se ti vede dall’altra parte della strada ti vuole azzannare ed è inutile provare a capire perché lo faccia. Se in mezzo alla strada corre il traffico, il cane rischia di farsi male. Ma non avverte il pericolo, finché non si farà male davvero. Solo la presa di coscienza che il pericolo è davvero reale potrà farlo rinsavire. In una partita in cui i principi delle regole e del bene comune sono messi in brutale discussione, rivedere in modo strategico i propri punti di forza e debolezza diventa allora cruciale. Giusto dunque ricordare che «l’Unione Europea ha forza e autorevolezza per contrastare una scelta immotivata». Intanto mantenendo unità d’azione ed evitando fughe in avanti nazionaliste. E certo, reagendo con calma, evitando una miope escalation di botta e risposta, ma ricordandosi che punti di forza l’Europa ne ha davvero molti. Vediamone qualcuno. La dimensione del nostro mercato, che certo interessa a molte imprese Usa. Poi il nostro grande surplus commerciale, soprattutto nei beni più soggetti ai dazi, i manufatti. L’America ci accusa e noi ci sentiamo in colpa. Ma il nostro surplus non deriva da una distorsione sleale dei mercati, bensì dall’effettiva competitività del nostro export. Così come gli americani esportano servizi high tech in abbondanza perché noi non ne abbiamo di equivalenti. Insomma, se noi verso l’America esportiamo più di quanto importiamo è perché i nostri prodotti interessano moltissimo oltre oceano.
Altre sull'argomento

Perché Trump boccia i tassi zero
Rifiutata l'offerta dell'Unione europea
Rifiutata l'offerta dell'Unione europea

Meloni e i lupi americani
Bilancio degli incontri con Trump e Vance
Bilancio degli incontri con Trump e Vance

La guerra alle Università americane
…una vendetta trumpiana contro le élite?
…una vendetta trumpiana contro le élite?

La Cina stoppa le terre rare per gli Usa: che succede adesso?
Pechino intende colpire la base produttiva americana piu' avanzata
Pechino intende colpire la base produttiva americana piu' avanzata
Pubblica un commento