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I dazi e i calcoli sbagliati di Trump
Sfumate le certezze, servono le scelte
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 20/03/2025

Viviamo una fase di sconvolgimenti di grande rilievo, afferma sul Corriere della Sera Danilo Taino. Tutto, sul pianeta, è in movimento, senza più una forza ordinatrice. Gli autocrati si sentono liberi di osare, i governi e le opinioni pubbliche delle democrazie sono confusi. Dal Sud Africa all’India, dal Medio Oriente alla Cina e Taiwan, dall’Ucraina all’Unione europea e soprattutto agli Stati Uniti, un sommovimento globale ha fatto saltare le certezze passate e i punti di riferimento su cui si fondava l’ordine del mondo. In particolare, il diritto internazionale, che ha subito un durissimo colpo con l’invasione russa dell’Ucraina, a maggior ragione se ciò porterà vantaggi a Mosca; e la trasformazione degli Stati Uniti da potenza che garantiva l’ordine internazionale in potenza revisionista dello stesso suo ordine, al pari della Russia e della Cina. L’Europa sta reagendo al crollo del sistema che le ha garantito ottant’anni di democrazia e di crescita economica. È però presto per dire trionfalmente che si è svegliata e sa realisticamente cosa fare. Lo sviluppo più positivo, secondo Taino, è il tentativo della Germania di assumere nella Ue una leadership non più riluttante ma esplicita, sotto la guida del cancelliere in pectore Friedrich Merz, ma il problema dei problemi, forse, è l’incapacità dei governi di parlare alle rispettive opinioni pubbliche. I sondaggi dicono che un numero crescente di elettori non vede come è improvvisamente cambiato il mondo, quali sono i rischi per la democrazia, come può peggiorare la qualità della vita. Comprensibilmente, non amano le armi, non vorrebbero soldati in guerra e nemmeno vedere ridotto il Welfare State. Una leadership, se ci sarà, dovrà chiarire alle opinioni pubbliche cosa sta succedendo ma anche dare prospettive non solo militari: al fianco di una strategia per la Sicurezza, servirà quel rilancio dell’economia europea attraverso le riforme di cui ha parlato, ancora martedì scorso, Mario Draghi. Due percorsi paralleli: prepararsi al peggio ma anche progettare il meglio, un’Europa aperta e dinamica.
Paolo Garimberti, la Repubblica
Rileggendo a mente fredda i comunicati della Casa Bianca e del Cremlino – commenta su Repubblica Paolo Garimberti – si ha la conferma della sensazione emersa dagli incontri diplomatici che avevano preceduto la lunga telefonata tra i due presidenti. Vladimir Putin sta giocando al gatto con il topo nel confronto con Donald Trump. Dato che uno si è formato alla scuola dell’inganno e della disinformazione del Kgb e l’altro a quella del mercato immobiliare di Manhattan non è difficile immaginare chi sia più attrezzato quando in gioco ci sono non grattacieli, ma guerra e pace. Il comunicato della Casa Bianca, partendo dal consenso allo stop di trenta giorni degli attacchi alle infrastrutture energetiche (piccolo passo rispetto all’obiettivo trumpiano di un cessate il fuoco totale), trasudava soddisfazione e ottimismo, definendo la telefonata “un contratto per la pace” e parlando di un percorso “a tutta forza” verso l’accordo. Il Cremlino, invece, faceva ricorso a una vecchia formula dell’éra sovietica quando si voleva sottolineare che le divergenze superavano le convergenze: “Scambio di opinioni franco e dettagliato”. E proprio nei dettagli stava il diavolo: una serie di condizioni (dalla fine dell’invio di armi da parte dell’Occidente fino al blocco della fornitura di dati di “intelligence”) inaccettabili per l’Ucraina, ma anche per i suoi alleati europei. “Negoziare la fine di un conflitto è un lavoro complicato e noioso, che richiede pazienza e creatività. Invece Trump sembra impaziente di sbarazzarsi della guerra in Ucraina, vuole solo uscirne”, è l’analisi confidata al Financial Times da Max Bergmann del “Center for Strategic and International Studies”. Ieri, nel suo intervento alla Camera, la presidente Meloni è andata controcorrente rispetto alla maggioranza degli analisti di politica internazionale definendo Trump “un leader forte capace di garantire una pace duratura”. Il futuro dirà chi ha ragione. Il presente dice che Trump non è riuscito a ottenere da Putin neppure una tregua.
Romano Prodi, Il Messaggero
Andando oltre la sua genericità, commenta a sua volta sul Messaggero Romano Prodi, il comunicato finale della Casa Bianca offre comunque alcuni interessanti elementi di riflessione. Il suo testo parla infatti di un conflitto che non avrebbe mai dovuto cominciare e che avrebbe dovuto finire molto tempo fa, in uno spirito di sincera amicizia e di negoziati condotti in buona fede. Nessuna allusione a come è cominciata la guerra e nessun accenno all’“aggressione”, il vero motivo che ha spinto molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, ad aiutare la resistenza ucraina. E’ inoltre doveroso prendere atto del grande vantaggio che ne ha riportato Putin. Il colloquio telefonico ha posto fine al lungo isolamento in cui l’Occidente lo aveva confinato da quando era cominciata la guerra, rendendolo un protagonista di livello pari al presidente degli Stati Uniti d’America. Anzi lo ha reso un protagonista più forte, in quanto Trump ha poco tempo per concludere una tregua, mentre il fattore tempo gioca a favore di Putin. Infinite volte il presidente americano ha infatti ripetuto che avrebbe posto fine alle ostilità “in un solo giorno”, mentre Putin non ha limiti di tempo. Di fronte alle difficoltà che trova nel mettere in atto le grandi decisioni prospettate nel campo economico e nell’organizzazione del governo, Trump ha assoluto bisogno di un rapido risultato in politica estera. Questo risultato può essere raggiunto più facilmente in Ucraina che non nel Medio Oriente, anche se questo tema è stato pur brevemente trattato nel colloquio. Non dimentichiamo inoltre che tutto questo indebolisce la già difficile resistenza dell’esercito ucraino e che, più passa il tempo, più Zelensky sarà costretto ad accettare condizioni peggiori. L’incerto aiuto americano non può essere certo sostituito da un eventuale crescente impegno dell’Europa. La quasi totalità dei paesi europei sostiene infatti la causa ucraina, ma ogni giorno emergono nuove difficoltà sul modo concreto di difenderla. Nel frattempo il campo di battaglia è sempre più in mano della Russia che, quindi, non ha alcun interesse ad accelerare i tempi della tregua.
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