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L'Europa di difenda
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 13/03/2025

Sabino Cassese sul Corriere parla di Europa e difesa comune: “Nel mondo – scrive - vi è stato, in questi ultimi anni, un improvviso e non previsto cambio di registro. Hanno ripreso quota le pretese territoriali. La Russia verso la vicina Ucraina, la Repubblica popolare di Cina verso Taiwan, Israele verso la striscia di Gaza, gli Stati Uniti verso Canada, Groenlandia e canale di Panama. Sono pretese di tipo diverso e si manifestano in modi diversi. Ma sono pretese territoriali con molti elementi comuni. Sono minacce che provengono da nazioni più forti (hanno molti più abitanti, eserciti più agguerriti, con armi nucleari) a danno di entità più deboli. Volano un principio stabilito dall’articolo 2 dello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, secondo il quale i membri dell’Onu devono astenersi dalla minaccia e dall’uso della forza contro l’integrità territoriale di qualsiasi Stato. Muovono non solo da Paesi autoritari, ma anche da antiche e recenti democrazie. Perché siamo ripiombati in un mondo nel quale non si riconoscono gli ambiti territoriali degli altri Stati? Le cause sono molte, ma una sta certamente nella circostanza che per settanta anni ci si sia cullati nell’ideale kantiano secondo il quale i commerci avrebbero portato la pace. Di qui la globalizzazione innanzitutto dei mercati. Ma – osserva Cassese - l’economia ha costituito una base troppo esile, nel mondo e in Europa, per fermare le pretese territoriali, ora alimentate anche dal sovranismo di nuovi protagonisti, questa volta privati. L’Unione europea sta correndo ai ripari, ma nel farlo incorre negli stessi errori del passato. Ha avviato un piano di difesa, ma per aiutare gli Stati ad aumentare rapidamente e significativamente le spese in questo settore. Molti illustri europeisti, da Alcide De Gasperi a Helmut Schmidt, a Jean Monnet, hanno sostenuto che l’Europa vive di crisi, nel senso che ogni passo avanti fatto dall’Unione europea è una soluzione ad una crisi. Ma se la soluzione va nella direzione sbagliata, si finisce per sprecare un’utile occasione. L’Unione europea, con i suoi quasi 450 milioni di abitanti e un governo nazionale dotato della deterrenza nucleare, potrebbe far sentire la propria voce in maniera molto più efficace nel mondo – conclude - per impedire ed eventualmente combattere nuove pretese territoriali”.
Gustavo Zagrebelsky, la Repubblica
“Radunate e assemblee si svolgono in piazza, ma sono cose opposte”. Così Gustavo Zagrebelsky su Repubblica in vista della manifestazione di sabato 15 per l’Europa: “Le radunate le conosciamo bene. Sono strumenti di acclamazione di massa, organizzati dall’alto a sostegno dei despoti e a intimidazione del dissenso: per esempio, i nazisti nello stadio di Berlino, i fascisti in piazza Venezia, i sovietici sulla Piazza Rossa di Mosca, i cinesi sulla piazza Tienanmen di Pechino. Altrettanto bene conosciamo le manifestazioni convocate dal basso per dare voce al dissenso: per esempio, Occupy Wall Street e gli ‘Indignados’ della Puerta del Sol di Madrid contro la grande finanza, i giovani delle ‘primavere arabe’ contro le autocrazie islamiche. La differenza politica sostanziale è nell’“ordine del giorno”. L’ordine del giorno delle radunate è semplice, chiaro e tassativo: la celebrazione. Delle assemblee, al contrario, può essere generico e solo iniziale, venendosi a precisare nel corso dei lavori. «Io vado in piazza per questo; tu per quest’altro; un terzo per quest’altro ancora, ma tutti ci andiamo». C’è contraddizione e dovremmo stare tutti a casa? No, se siamo uniti su una cosa comune, per così dire primordiale, la liberazione da un male comunemente avvertito e insopportabile. Tutte le motivazioni, per molti rivoli, - spiega Zagrebelsky - possono confluire in un movimento per la pace che tenga insieme le diversità. Occorre, però, saper distinguere i tempi. C’è un tempo per ogni cosa, il tempo per l’unione e un tempo per le differenze. Ora è il tempo dell’unione, poi verrà quello delle differenze. Sarebbe un errore confonderli. Questo sarebbe ciò che si chiama, precisamente, settarismo. Ricordiamo che se le forze politiche antifasciste negli anni ’43-’45 avessero fatto questa confusione, la resistenza al fascismo sarebbe morta sul nascere. I saggi di Ventotene, il cui Manifesto è oggi così frequentemente citato, avevano ben chiaro che il pungiglione sta nella sovranità e che la via della pace sta nel renderlo inoffensivo. La piazza del 15 marzo – conclude - è facile capire che cosa sarà e da che parte starà. Starà dalla parte dell’Europa, ma non di un’Europa qualunque, né tantomeno di un’Europa che si vota a un cieco riarmo. Starà dalla parte, si può credere, dell’Europa fedele a sé stessa”.
Marcello Sorgi, La Stampa
“Nella maggioranza e nell'opposizione si lavora di ago e filo per ricucire i diversi strappi avvenuti mercoledì a Strasburgo, in un crescendo che nessuno è riuscito a fermare”. Lo scrive Marcello Sorgi sulla Stampa: “Un lavoro complicato – sottolinea l’editorialista - che dovrà tener conto dell'evoluzione del quadro internazionale e del negoziato Trump-Putin sulla tregua in Ucraina. Ma non impossibile nel destra-centro, in cui si tratta alla fine per Meloni di calibrare la parte critica della sua posizione rispetto all'Europa, sopportare gli interventi leghisti - non escluso Salvini - in aperta rottura con la linea del governo, e incassare, alla fine, come le volte precedenti, la generica approvazione del Carroccio alla premier e il conseguente voto in aula. "Rappattumare", si dice, nel gergo più greve della manovra politica. Nell'opposizione tutto è più difficile. Innanzitutto perché si tratta di ricomporre la frattura che s'è aperta nel gruppo del Pd a Strasburgo: un compito che tocca alla Schlein, ancora molto irritata, per quanto è avvenuto, coni dieci eurodeputati, guidati da Bonaccini, che non si sono riconosciuti nella scelta dell'astensione, considerata dalla segretaria già un compromesso, essendo partita dall'idea di votare "no" al testo proposto dai Socialisti europei di cui il Pd fa parte. Schlein sa che aver ottenuto una maggioranza risicata tra i suoi – undici a dieci- ha in realtà mascherato la prima occasione pubblica in cui è andata in minoranza. Gli undici voti, che sul tabellone elettronico. dell'Europarlamento erano dieci, e tali sarebbero rimasti se Annunziata non avesse cambiato il suo, non venivano tutti da suoi sostenitori: per fare solo due esempi, Nardella e Di Caro, in attesa del rimpatrio come candidati nelle rispettive regioni, si erano espressi per il ‘sì’. Ma Schlein avrebbe voluto votare ‘no’ anche per non lasciare libero nel centrosinistra il campo pacifista a Conte, che invece ha potuto così sdraiarsi e occuparlo senza nessun disturbo. Il danno e le beffe: peggio di così non poteva andare per la leader movimentista del maggior partito di opposizione. Che sperava di essersi liberata di tutti gli oppositori e campioni del mugugno interno spedendoli in Europa. E invece – conclude - dovrà fare i conti con un partito che si ripresenta tale e quale all'appuntamento alle Camere della prossima settimana”.
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