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Il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo
Redazione InPiù 07/02/2025

La sfida lanciata da Trump – commenta sul Giornale Gaetano Quagliariello – mette il mondo di fronte alla prospettiva inedita della «deglobalizzazione». Il ritmo e la dimensione del fenomeno sono ancora in pregiudicato. Non il fatto che la competizione tra aree geopolitiche omogenee, nel futuro prossimo venturo, conterà enormemente di più. Per qualsiasi Paese, dunque, in questo contesto, proporsi come potenza di riferimento per una regione del mondo diviene un atout di fondamentale importanza. L’Italia, in attesa di comprendere cosa accadrà all’Europa, non può perdere di vista il suo ruolo strategico nell’area mediterranea. Perché, mentre il Vecchio Continente inizia a interrogarsi su come divenire nuovamente grande, il Mare Nostrum rappresenta già ora uno spazio incredibilmente vitale. E poi, la prospettiva europea e quella mediterranea non sono alternative: quanto più l’Italia riuscirà a sviluppare la prima, tanto più inciderà nella seconda. La portata dell’occasione che ci si presenta può essere condensata in pochi dati. Negli ultimi anni la crescita del Pil mediterraneo - sia che lo si consideri in senso stretto riferendosi ai soli 22 paesi che si affacciano sul Mare Nostrum, sia che si faccia riferimento ai 45 con connessioni strategiche al bacino - ha retto il ritmo delle grandi potenze globali. L’export sta crescendo di quasi il 20% su base annua. E questi mercati divengono ancora più interessanti in prospettiva, perché almeno parzialmente immuni dalle devastanti conseguenze della crisi demografica. Ma il Mediterraneo non è solo un’occasione. È anche un’area difficile e di grande rischio, che non può essere approcciata in modo dilettantesco. Affinché un’occasione possa divenire una stabile opportunità, è perciò necessario un sistema-Paese solido. Evitare di essere e apparire naif. I nostri competitori storici non attendono altro. Non è, dunque, fuori luogo pretendere dai nostri politici prudenza e professionalità quando trattano vicende connesse a quei territori. Dev’essere chiaro: chi improvvisa e chi specula lo fa a scapito dell’interesse nazionale. Un’attitudine da evitare sempre ma che in questi tempi rappresenta un vero e proprio delitto.
Paolo Pombeni, Il Mattino
È venuta l’ora di fare i conti con la realtà, afferma sul Mattino Paolo Pombeni. Dopo anni in cui si è quasi fatto a gara a rincorrere certi ideologismi solo perché sognavano un bel mondo dove tutto poteva svolgersi senza problemi, si è costretti a misurarsi con la complessità delle scelte. Perché se è vero che viviamo un’epoca di grandi transizioni e che è doveroso prendere coscienza che un progresso disordinato ha prodotto guai, lo è altrettanto che riassettare quel disordine non lo si fa con le utopie sulle alternative assolute e sulle inversioni ad U rispetto a quanto è avvenuto. Se ne sta rendendo conto l’Unione Europea, facendoci sapere che verrà rivista la decisione di costringere tutta l’industria dell’automotive a passare massicciamente all’elettrico entro il 2035, altrimenti scatteranno multe pesantissime. La ragione è banale: ammesso e non concesso che la soluzione dell’auto elettrica sia la panacea di tutti i mali, non ci si può arrivare in tempi brevi come sognano quelli per cui tutto è fattibile, basta volerlo. I costi dell’operazione, multe incluse, metterebbero in ginocchio un’industria chiave, il che significa milioni di posti di lavoro che saltano, cioè l’aprirsi di una ondata di povertà sociale insopportabile per qualsiasi sistema. Simili ragionamenti si iniziano a fare per un’altra geniale trovata dei passati decenni: il rifiuto secco del nucleare come fonte di produzione dell’energia. Ci si era mossi sull’onda emotiva di catastrofi provocate dagli impianti nucleari, ma pochi hanno poi ragionato sul fatto che l’utilizzo dell’energia nucleare non si è per questo fermato in tutto il mondo e che per fortuna non è che si registrino catastrofi in continuazione. Soprattutto non hanno capito le potenzialità enormi per lo sviluppo industriale e la sicurezza che il nucleare pulito può garantire e l'esigenza, per questo, di tutelare in Italia gli investimenti che solo i grandi player possono attuare. Se non li fanno in casa nostra, finirebbero con il farli altrove. Non si tratta di contrapporre agli ambientalisti da bar i negazionisti da bar: così va bene se si vuol fare spettacolo (televisivo e non), mentre c’è bisogno di affrontare i problemi nella loro complessità. Così è giusto valutare i costi di certe tecnologie in termini di rischi, ambientali e di altro genere, ma lo è altrettanto valutare se sia fattibile e se siano sopportabili i costi derivanti dalle velleità di rapido azzeramento del nostro modo attuale di rispondere ad esigenze che hanno un fondamento nella realtà.
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