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Redazione InPiù 07/02/2025

Come scrive Roberto Gressi sul Corriere della Sera, c’è una sorta di crisi sistemica nel panorama politico italiano. A fronte di una maggioranza sostanzialmente compatta, seppure in competizione, ci sono opposizioni divise, che faticano a trovare idee comuni, che stentano ad uscire dal cono d’ombra del governo. Il risultato è una dialettica zoppa, che non fa bene a nessuno, nemmeno al centrodestra, che pure se ne avvantaggia elettoralmente. Il problema, certo, è soprattutto del Pd, che sogna di guidare un’alternativa credibile quando le elezioni politiche arriveranno. Ne è convinta Elly Schlein, che pensa che l’avversario sia battibile, a condizione di non inseguirlo e di non imitarlo. Ma l’alleanza è ancora lontana, in zona centrosinistra, e i partiti si compattano al massimo in occasione del voto amministrativo, e nemmeno sempre e quasi mai tutti. La congiuntura politica internazionale, per quanto piena di differenze, contribuisce all’isolamento del centrosinistra. Il centrodestra, con le sue varie anime, è vincente in Italia. Le posizioni aggressive di Donald Trump ed Elon Musk, rischiano di schiacciare il Pd nel ritorno dell’antiamericanismo. Poi, nel continente, c’è la destra più estrema: in Francia Marine Le Pen è in agguato e in Germania è possibile un’affermazione pesante dei filo nazisti di Afd alle elezioni di fine mese. I 27 d’Europa traballano tra il restare uniti e il trattare uno per uno con Trump. E gli stessi Democratici Usa non sanno come ripartire, reduci come sono da una sconfitta epocale alle presidenziali, convinti com’erano dai sondaggi che la guida del Paese fosse almeno contendibile. Anche concedendo che tra due anni la stella di Giorgia Meloni si sarà offuscata, il problema di presentarsi come un’alternativa credibile resterebbe. L’impressione – conclude Gressi – è che la sinistra, più che il centrosinistra che al momento non riesce ancora a nascere, non uscirà da una logica minoritaria, per quanto robusta, se non si metterà in gioco e non si aprirà in termini di idee, programmi e alleanze. Continuare a stare, seppur grintosamente, in difesa, rischia di riproporre tattiche novecentesche, che alla lunga mostrano la corda.
Lirio Abbate, la Repubblica
Su Repubblica Lirio Abbate si occupa del caso Almasri e dello scontro governo-Cpi. I magistrati dell’Aia che sostengono la pubblica accusa nei confronti di Almasri e ne hanno chiesto l’arresto, ricorda Abbate, sostengono una cosa molto semplice. Che chiude ogni discussione sul merito giudiziario del caso: non è compito di un ministro della Giustizia fare valutazioni giuridiche su un provvedimento di arresto emesso da un organo internazionale indipendente con il quale collabora anche l’Italia. Perché quel compito spetta ai giudici. Un principio semplice. Che non vale solo all’Aia, ma anche in Italia. Dove — il ministro Nordio ne converrà — al Guardasigilli è interdetta qualsiasi possibilità di entrare nel merito di provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria. In una democrazia fondata sulla separazione dei poteri, all’esecutivo, in una vicenda come quella di Almasri, era riconosciuta una sola facoltà: quella, nel caso, di sollevare di fronte all’organo giudiziario (la Corte d’appello di Roma) i propri rilievi. Come oggi sappiamo, è accaduto il contrario. Il Guardasigilli, nei giorni in cui era in stato di fermo il libico, non ha risposto alle sollecitazioni che gli erano state inviate dalla Procura generale di Roma per dare il via libera all’arresto. E in mancanza di risposte del ministro la Corte d’appello non ha potuto far altro che ordinare il rilascio di Almasri, rilevando un errore procedurale. In assenza della firma del ministro o della sua autorizzazione, l’arresto del libico era infatti irrituale. Detto questo, il mandato di cattura internazionale per Almasri è ancora valido e attuale. È un ricercato molto pericoloso che l’Italia ha riconsegnato alla Libia. E questo fatto potrebbe costarci l’accusa di non aver adempiuto agli obblighi che il nostro paese ha sottoscritto aderendo alla Cpi.
Edmondo Bruti Liberati, La Stampa
Anche Edmondo Bruti Liberati, sulla Stampa, si occupa del caso Almasri. E sottolinea come l’“informativa” del Governo alle Camere, attraverso gli interventi dei Ministri Nordio e Piantedosi, abbia consentito di fare chiarezza almeno su un punto, ma decisivo. La scarcerazione e la successiva espulsione del cittadino libico Almasri sono una precisa scelta politica del Governo adottata per la tutela dell’interesse nazionale. Lo ha detto limpidamente, in un chiaro burocratese, il Ministro Piantedosi citando «esigenze di salvaguardia della sicurezza dello Stato… unitamente alla difesa dell’interesse dello Stato… nell’obbiettivo di evitare, in ogni modo, un danno al Paese e ai suoi cittadini». Ma alla stessa conclusione si giunge all’esito del contorto, per certi versi surreale, intervento del Ministro della Giustizia. Alle diverse versioni fatte circolare nei giorni scorsi ha aggiunto, sembra, la difficoltà di valutare un testo, il mandato di arresto della Corte Penale internazionale, di ben quaranta pagine scritte in inglese! L’inglese giuridico internazionale ormai lo maneggiano tutti gli operatori del diritto e tra questi certamente i collaboratori del Ministro a via Arenula. L’intervento alla Camera del Ministro Nordio ha evidenziato ulteriormente tutte le arditezze degli argomenti “difensivi”: egli si è attribuita, arrivando a definirlo “nullo”, una valutazione del merito del provvedimento della CPI, preclusa in questa fase di mera esecuzione del mandato. Se avesse ritenuto necessari chiarimenti, avrebbe dovuto attuare tempestivamente (e mentre permaneva lo stato di arresto) un’interlocuzione con la CPI (art.91 dello Statuto); ha invece lasciato trascorrere il tempo, senza dare alcuna risposta alla Corte di Appello di Roma, rendendo ineluttabile la scarcerazione. Infine il Ministro della Giustizia, tra le tante divagazioni e un attacco alla magistratura del tutto fuori luogo in quella sede, ha detto che vi è stata una interlocuzione «con altri organi dello Stato»: dunque la mancata risposta alla Corte di Appello di Roma è stata dettata dalla considerazione da parte del Governo dell’interesse nazionale. Se questa assunzione di responsabilità politica da parte del Ministro della Giustizia fosse stata tempestiva, la vicenda penale probabilmente non sarebbe nemmeno iniziata.
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