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La sinistra ha perso il treno della storia
Redazione InPiù 04/02/2025

C’è un filo rosso – scrive su Libero Mario Sechi – che unisce Washington e Roma, Berlino e Parigi, Londra e Città del Messico, il Canada e l’Africa. È la trama della contemporaneità che si tesse sulle rotte dell’immigrazione, del commercio e della politica di potenza. Non ho citato l’Asia perché la Cina si muove come un’isola, un’entità millenaria, circondata dall’oceano della storia, che ha i suoi tempi, un calendario che l’Occidente non capisce. In mezzo, al centro del Mediterraneo, c’è Roma, ieri caput mundi, oggi crocevia di una serie di passaggi storici che riguardano il destino dell’Europa. La cronaca sa essere beffarda, gioca a dadi, presenta quelli che Milan Kundera chiamava «paradossi terminali della storia». Bene, c’è del comico e del tragico nella notizia di un migrante che denuncia il Presidente del Consiglio, un fatto che espone alla vista di tutti il cortocircuito della contemporaneità, la gestione impossibile del fenomeno migratorio con le regole pazze dei diritti che piegano il diritto, diventandone alla fine un rovescio, anzi un vero e proprio sottosopra della realtà. Cosa volete che pensi di questo l’uomo della strada? Che siamo di fronte a una follia, che le regole attuali non funzionano, che il governo è impossibilitato ad agire, a garantire la sicurezza non dei confini, ma dei propri cittadini, degli italiani. Questo piccolo episodio è solo la fiammella di un incendio più grande che sta cambiando la mappa politica dell’Europa e ha già sconvolto quella degli Stati Uniti d’America, la destra vince perché la sinistra ha perso il treno della storia, Trump è alla Casa Bianca ed è solo l’inizio di un ciclo conservatore lungo e destinato a trasformare non solo l’America ma anche l’Europa. Qualcuno direbbe che «viviamo tempi interessanti, forse troppo», ma niente di tutto questo è casuale, l’Europa ha camminato controvento per decenni scambiando le proprie utopie per la realtà. Quando le idee sono sbagliate, alla fine viene giù tutto.
Emiliano Brancaccio, il manifesto
Molti si illudevano che il commercio sarebbe stato libero per sempre, commenta sul Manifesto Emiliano Brancaccio, «fino ai più remoti recessi dell’inferno», come avrebbe detto Schumpeter. Adesso che nell’inferno siamo davvero piombati, si sorprendono che la libertà degli scambi sia destinata alle fiamme Eppure il problema era lì, evidente anche agli sprovveduti. Il globalismo senza regole creava uno squilibrio crescente nei rapporti commerciali, con paesi che importavano troppo e paesi che esportavano troppo. E un conseguente accumulo di sbilanciamenti finanziari, con gli esportatori a veder montare i crediti e gli importatori a farsi sommergere da una montagna di debiti. I più sommersi di tutti: gli Stati uniti, con un passivo netto verso il resto del mondo che ormai supera i 23 mila miliardi di dollari. È dalla crisi del 2008 che le amministrazioni Usa hanno intuito che l’amore americano per le importazioni ha messo il debito su una traiettoria pericolosa. Da allora, i civil servants di Washington hanno inesorabilmente aumentato le barriere commerciali e finanziarie, tariffarie e non tariffarie. E il mondo, come spesso accade, li ha seguiti a ruota. L’implicazione è che se nel 2010 si registravano a livello mondiale 56 provvedimenti discriminatori dei commerci, nel 2023 siamo arrivati a contarne 376, un incremento di oltre sei volte. L’era protezionista, insomma, è arrivata da un pezzo. Trump non sta facendo altro che portare la restrizione degli scambi alla sua estrema conseguenza: la guerra, commerciale e non solo. È un conflitto che per il momento la nuova America trumpiana prova a scatenare contro l’intero globo. Fino a ieri gli Stati uniti applicavano la dottrina del friend shoring: fare affari con gli «amici» canadesi ed europei e tenere alla larga i «nemici» russi, cinesi e arabi non allineati. Adesso, però, la minaccia protezionista americana si rivolge contro tutti, in modo apparentemente indiscriminato. Sembra così avverarsi il monito di Xi Jinping: «Perseguire il protezionismo è come chiudersi in una stanza buia: il vento e la pioggia possono esser tenuti fuori, ma lo sono anche l’aria e la luce». Il risultato è che si spara alla cieca, senza più distinguere nemmeno i vecchi alleati.
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