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Giustizia, la riforma e i tempi cambiati

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 04/02/2025

Giustizia, la riforma e i tempi cambiati Giustizia, la riforma e i tempi cambiati Angelo Panebianco, Corriere della Sera
Secondo Angelo Panebianco, ci sono due ragioni per le quali il governo ha buone probabilità di uscire vincitore nel braccio di ferro ingaggiato con i vertici della magistratura. La prima riguarda il grado di compattezza/coesione della coalizione di governo nel difendere la riforma. La seconda ragione ha a che fare con la natura di tale progetto. Perché delle tre riforme istituzionali proposte dal governo Meloni (premierato, autonomia differenziata, separazione delle carriere) l’ultima ha buone chance di vedere davvero la luce e le prime due no? Come mai il premierato è già ora su un binario morto? Come mai l’autonomia differenziata può facilmente fare la stessa fine? Come mai, invece, la separazione delle carriere è l’unica riforma, diciamo così, in salute? Sul premierato si è visto e capito tutto: il governo non era in grado di fare una proposta solida e coerente (cosa, almeno in teoria, possibile). Non era in grado perché nella maggioranza c’erano aspre divisioni. Nemmeno l’autonomia differenziata versa in buone condizioni. Anche in questo caso ci sono divisioni nella maggioranza.  La separazione delle carriere è tutt’altra cosa. Qui non ci sono divisioni di fondo. La maggioranza è compatta nella difesa della riforma.  Ed è precisamente a causa di questa circostanza che, forse per la prima volta da trent’anni a questa parte, i rapporti di forza fra politica e magistratura sono cambiati. La seconda ragione per cui la separazione delle carriere sembra avere il vento in poppa ha a che fare con la natura della riforma. La separazione delle carriere è ispirata a un principio squisitamente liberale. È l’attuale assetto della magistratura a violare quel principio. Anche la tesi secondo cui l’esito sarebbe il controllo politico sui pubblici ministeri è assai debole: è precisamente nell’altro Paese in cui vige l’unità delle carriere (la Francia) che c’è sempre stato quel controllo. Ciò dimostra che fra separazione e controllo dei pm non c’è alcuna necessaria relazione. E non insistiamo troppo, per carità di patria, sul folklore: Licio Gelli voleva la separazione delle carriere? Anche, guarda un po’, Giovanni Falcone. Non risulta che fosse iscritto alla P2.
 
Stefano Folli, la Repubblica
Un aspetto è chiaro, osserva Stefano Folli su Repubblica. La guerra commerciale come quella che si annuncia degli Stati Uniti contro l’Unione Europea non ha precedenti, per cui le conseguenze politiche da questa parte dell’Atlantico, e in particolare in Italia, sono insondabili. Trump chiede ai Paesi europei d’impegnarsi molto di più, in termini economici, in vista di rafforzare, sì, le difese del vecchio continente, ma non più a spese quasi esclusive degli Stati Uniti. Alcuni analisti ritengono che non tutto il male vien per nuocere. La pressione sui dazi potrebbe essere mitigata in cambio di un accordo sulle spese militari dell’alleanza. Gli Usa vorrebbero portarle al 4 o 5 per cento del Pil, mentre oggi non siamo nemmeno alla metà. Si tratterebbe senza dubbio di uno shock abbastanza clamoroso, ma di segno diverso rispetto all’aumento dei dazi. La partita tra Usa e Ue è senza dubbio ancora da giocare, ma la posizione dell’Italia in campo è tutt’altro che irrilevante. Si dovrà capire in primo luogo qual è il vero obiettivo di Trump, ma quello che non sembra verosimile è dipingere il governo di Roma come un “pontiere” fra le due sponde dell’Atlantico. L’immagine del ponte presuppone una situazione abbastanza calma su entrambe le rive del mare. Questioni da risolvere senza fretta e un soggetto che gode della fiducia di americani ed europei. Il rebus odierno è assai più complicato. Il voto in Germania rischia di essere esplosivo: se l’Unione ne fosse travolta, non servirebbe un pontiere bensì un condottiero. Peraltro Giorgia Meloni, se ne è capace, può svolgere un ruolo volto a rendere la risposta europea ai dazi realistica e costruttiva, in sostanza non incendiaria. E se il tema fosse invece l’aumento urgente della spesa militare, avrebbe argomenti che il segretario della Nato, Rutte, sarebbe in grado di apprezzare. Non pontiera, ma nemmeno banale pro-console di Trump in Europa.
 
Angelo De Mattia, Il Messaggero
Angelo De Mattia, sul Messaggero, sconsiglia all’Unione Europea di reagire a eventuali dazi imposti da Trump, applicando la legge di Newton ("Ad ogni azione una reazione uguale e contraria"), sempreché se ne abbia la forza. Innanzitutto, spiega, perché si sarebbe parte attiva del conflitto e, in secondo luogo, perché anche per noi vale il rischio di pesanti boomerang dall'adozione di misure protezionistiche, non solo per l'America. Ripetiamo sovente, infatti, che i dazi americani finiranno addosso ai consumatori di quel grande Paese, aumenteranno l'inflazione, potranno costringere la Federal Reserve ad adottare misure restrittive, provocheranno un aumento del debito e accentueranno i problemi della distribuzione del reddito. Trump si rifà al predecessore McKinley e alla sua famosa "tariffa" del 1890, che non diede i risultati sperati, tanto che dovette essere emendata nel 1894. Ma bisogna pure ricordare che proprio in quegli anni veniva approvato lo Sherman Act, la prima legislazione antitrust al mondo, a testimonianza, pur tra errori e scelte protezionistiche, della vitalità della dialettica economica che si spera oggi non resti un ricordo nostalgico. Se l'Unione sbaglierebbe a reagire immediatamente, piuttosto che impiantare un negoziato e trattare con Trump e l'amministrazione americana con determinazione e pervicacia, non significa in ogni caso che non debba disporre di un piano da attivare come "extrema ratio" con misure anche strutturali, che tengano conto del "do ut des" e guardino al futuro, prevedendo un rilancio degli organismi economici e finanziari globali. Un piano, cioè, che sia finalizzato a una riforma in punti essenziali della Ue, ivi compresa la formazione della volontà delle sue istituzioni, e affronti due temi cruciali per ragioni diverse: il debito comune per investimenti e iniziative condivise e la "vexata quaestio" della difesa.
 
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