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La spinta gentile del Colle
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 30/01/2025

Basterebbe il fatto che stiamo celebrando i suoi dieci anni al Quirinale, commenta sul Corriere della Sera Antonio Polito, per dire che cosa rappresenta Sergio Mattarella nella storia repubblicana. Il mandato finora più longevo, la seconda volta che un capo dello Stato viene rieletto dopo l’«eccezione» di Napolitano, e il consenso pressoché unanime di cui tuttora gode, hanno in qualche modo istituzionalizzato la centralità della Presidenza nel nostro sistema politico. Che dietro le quinte c’è sempre stata, ma oggi è anche accettata, benvenuta e perfino invocata. Il Quirinale ha assunto infatti un ruolo di equilibratore e di moderatore dei sussulti della Seconda Repubblica e delle stravaganze dei suoi partiti. Un abito che sembra tagliato su misura per questo siciliano che parla a bassa voce, ascolta, comprende e tollera, ma quando lo ritiene necessario interviene eccome, mostrando un’anima fatta di fil di ferro che non gli consente di transigere sui principi. Laddove Napolitano ricorreva all’energico strattone, Mattarella preferisce la spinta gentile. Ma la continuità di queste due presidenze, pur nel diverso stile, e la nobiltà di quella di Ciampi che le ha precedute, hanno conservato all’Italia affidabilità e rispetto internazionali in momenti molto difficili e pericolosi, dalla crisi del debito a quella del Covid. Mattarella è stato il timone moderato del sistema nel pieno della tempesta populista, gestendo creativamente ma impeccabilmente le ondate elettorali grillina prima e leghista poi. La funzione moderatrice svolta dal Quirinale in questi dieci anni è stata tale che potrebbe perfino spiegare l’assenza di un polo moderato nella politica italiana: in fin dei conti Mattarella è la garanzia, una fidejussione sulla collocazione internazionale e la solidità delle istituzioni italiane, e gli elettori devono aver pensato che si possono anche consentire qualche avventura, tanto poi ci pensa lui a rimediare.
Attilio Bolzoni, Domani
Un colpo di fortuna così capita, e se capita una sola volta nella vita, commenta sul Domani Attilio Bolzoni, riguardo al caso Almasri. Persino Silvio Berlusconi non avrebbe potuto sperate tanto e persino Berlusconi sarebbe stato, in circostanze simili, più mansueto, più prudente. Ma quell’“atto dovuto” per la premier si è rivelato come la manna caduta dal cielo, quella “comunicazione d’iscrizione” nel registro degli indagati è come un miracolo per grazia ricevuta per Giorgia Meloni. Una presidente del Consiglio double face, dal doppio volto. Che importa se non è propriamente un avviso di garanzia, chissenefrega delle ipotesi di reato per peculato o favoreggiamento, tutti dettagli insignificanti, l’essenziale è che in un modo o nell’altro lei sia finita nel mirino della magistratura, che comunque sia diventata obiettivo di inchieste giudiziarie che si sa quando cominciano e non si sa mai quando finiscono. La capa del governo – prosegue Bolzoni – si sta dimostrando più berlusconiana di Berlusconi, forse politicamente anche più furba, egualmente spregiudicata nello sferrare attacchi violentissimi al potere giudiziario ogni qualvolta se ne presenta l’occasione. L’avvocato Li Gotti le ha servito tutto su un piatto d’argento. E lei abilissima, ne ha approfittato. Complotto. Ricatto. Vendetta. Tutti, ma proprio tutti, sanno come vanno queste cose e come i magistrati (anche loro malgrado) devono agire se sono costretti ad agire per non passare guai personali, tutti sanno cosa è accaduto e cosa giudiziariamente accadrà (niente), eppure la tempesta si è abbattuta impetuosa in un’Italia sempre più falsa, sempre più infingarda, sempre più lontana dagli italiani. La vicenda del generale libico, più che svelarci qualcosa di nuovo, conferma una continuità sbalorditiva con il nostro recente passato, a me sembra che la radice ideologica conti veramente poco perché è sopraffatta dagli interessi di sistema, dalle furbizie quotidiane, da una grossolanità imbarazzante.
Ferdinando Adornato, Il Messaggero
Sul Messaggero Ferdinando Adornato si occupa della situazione a Gaza dopo la tregua tra Israele e Hamas e si chiede se sia ancora possibile giungere alla soluzione dei “due Stati, due popoli”. Non si tratta di una risposta facile, afferma. Perché, in quelle terre, colpevoli e vittime si rincorrono in una sorta di crudele gioco delle parti: cioè le responsabilità storiche di tutte le leadership sono equamente distribuite. In primis, è inutile essere ipocriti, va denunciata la proterva resistenza delle varie dirigenze palestinesi a riconoscere il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Dal 1948 in poi. Nonostante gli accordi di Oslo. Ma, senza tornare indietro nel tempo, basti pensare alla grande chance gettata al vento nel 2005, dopo che Sharon decise di ritirare Israele da Gaza, affidandola ai palestinesi. Allora sarebbe potuto nascere l’embrione di un futuro Stato. Ma Hamas, che ne avrebbe ben presto assunto il controllo, ha usato tutte le energie e tutti i fondi (non pochi) per costruire tunnel e terrorizzare il proprio popolo. Non certo per dotarlo di servizi civili e segnare il cammino di una nuova autonomia politica. Fino ad arrivare all’orrore del 7 ottobre. Si tratta di una Storia che lascia aperto un enorme dubbio: le leadership palestinesi vogliono davvero un loro Stato? Una seconda evidente responsabilità va poi certamente attribuita agli Stati arabi o islamici della regione, sempre pronti a “usare” la questione palestinese contro Israele, piuttosto che a “risolverla”. Eppure non c’è dubbio che la possibile convivenza tra lo Stato ebraico e uno Stato palestinese, passa soprattutto per la cruna dell’ago di un’intesa tra Israele e il resto del mondo che lo circonda. Solo tale intesa, infatti, può permettere una pace duratura. Vanno infine registrate le responsabilità di Israele. In particolar modo quelle della destra politico-religiosa che, dopo essersi opposta agli accordi di Oslo, fino a spingere, nel 1995, la mano di un suo adepto ad assassinare Rabin, contesta oggi la tregua e vuole impedire, con ogni mezzo, la nascita di uno Stato palestinese.
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