-
Altro parere
-
Se la politica si riduce a commedia dell'arte
-
Altro parere
-
L'Europa disunita alla meta
-
Altro parere
-
Giustizia, la riforma e i tempi cambiati
-
Il nuovo azzardo di Trump
-
Urso: "L'Europa eviti la guerra commerciale. I rapporti di Meloni con gli ...
-
Altro parere
-
Il duello (inatteso) tra Usa e Cina
-
Altro parere
-
La spinta gentile del Colle
-
Conflitti pericolosi
-
Altro parere
-
Sicurezza, inganni e ipocrisie
Altro parere
Attacco al governo
Redazione InPiù 29/01/2025

Dopo la Costituzione – commenta Alessandro Sallusti sul Giornale – i magistrati sventolano anche gli avvisi di garanzia in faccia alla presidente del Consiglio, al suo braccio destro e a due ministri per una decisione politica, l’estradizione di un pericoloso soggetto libico, presa nell’interesse della sicurezza nazionale. Lo Stato siamo noi, sembra dire il potere giudiziario a quello politico non a caso proprio mentre la riforma della giustizia sgradita alle toghe sta facendo consistenti passi in avanti e lo scontro con la politica è al suo apice. Più che un avviso di garanzia questo sembra essere un avviso di sfratto forzoso a un governo legittimamente eletto, cosa per la verità non prevista dalla Costituzione. Da qualsiasi parte uno la giri questa storia non sta in piedi, a partire da chi l’ha innescata. L’esposto preso sul serio dalla Procura di Roma parte infatti dall’avvocato Luigi Li Gotti, una vita passata a difendere pentiti di mafia di primo livello e a girare per partiti: i primi passi nel Msi, poi l’approdo tra le braccia di Antonio Di Pietro e infine, nel 2008, l’ingresso come sottosegretario nel governo Prodi. Che c’azzecca, per usare un termine caro a Di Pietro, un signore del genere con l’estradizione di un generale libico non solo non è chiaro, ma è pure sospetto in un Paese dove – si è scoperto due giorni fa – i servizi segreti hanno spiato a lungo il capo di gabinetto della premier. Dagli sbarchi bloccati dal governo di cui Salvini era ministro degli Interni al caso del centro di accoglienza in Albania fino all’attuale questione che riguarda la sicurezza nazionale, la magistratura quanto meno dà l’impressione di volersi sostituire al potere politico e a quello esecutivo. Qualcuno oggi obietterà: la magistratura fa il suo lavoro. Non è sempre così, la magistratura fa i lavori che le interessa fare: se ai tempi del governo Draghi io, o qualsiasi cittadino, avessimo fatto un esposto contro l’imposizione del green pass – cosa che in effetti è successa – a nessun magistrato sarebbe venuto in mente di mandare un avviso di garanzia a Draghi, al ministro della Salute Speranza e a qualsiasi ministro coinvolto nella decisione. Screditare agli occhi dell’opinione pubblica e del mondo intero, anche solo in ipotesi, i vertici del governo è una scelta che al di là delle intenzioni di chi l’ha presa, può rivelarsi un pericolo per la democrazia.
Andrea Fabozzi, il manifesto
l fatto che il primo pensiero della presidente del Consiglio, ricevuta la notizia di essere indagata per l’evasione di Stato del torturatore libico, sia quello di accendere la telecamera, sventolare orgogliosa l’atto giudiziario e con lo sguardo tagliente ripetere «non sono ricattabile» - commenta Andrea Fabozzi sul manifesto – non è che la conferma di quanto sia illusorio e controproducente pensare di farla cadere con l’arma del codice penale. Lo sa chi non si è troppo distratto negli ultimi trent’anni e ha sentito parlare di un certo Berlusconi (o di un certo Trump). Meloni appare quasi soddisfatta quando rivendica di essere anche lei indagata, come lo è stato inutilmente Salvini e dallo stesso procuratore. Le vie della propaganda sono infinite. Un magistrato, il procuratore capo di Roma, che non è un giacobino fustigatore di potenti, ma un moderato esponente della corrente di destra delle toghe che ha nel più stretto collaboratore di Meloni, il sottosegretario Mantovano, uno storico punto di riferimento. La stessa corrente che giusto ieri ha vinto le elezioni tra le toghe: anche il racconto di una magistratura di sinistra e tutta all’opposizione è largamente esagerato. Un uomo di destra, la stessa da cui origina Fratelli d’Italia, è anche l’avvocato che ha presentato la denuncia. Peraltro della vicenda El-masry tutto si può dire tranne che gli alti magistrati romani, procura generale e Corte d’appello, abbiano creato ostacoli ai pasticci di palazzo Chigi, Viminale e ministero della giustizia. Casomai hanno collaborato poco con la Corte penale internazionale che adesso chiede spiegazioni. Viene da pensare che il governo abbia fatto l’ennesimo autogol, provando con le prime dichiarazioni di Piantedosi e Nordio a scaricare tutta la responsabilità dell’imbarazzante vicenda sulle toghe romane. Ora i due sono ridotti a nascondersi dal parlamento, dove qualcosa dovrebbero pur dire. E a proposito di torturatori, il governo che fece scappare Kappler almeno evitò di riaccompagnarlo a casa (e un ministro si dimise). Non è dunque questione di toghe prevenute, non esistono complotti e non c’è nemmeno chissà quale op- posizione ringhiante che la presidente del Consiglio deve sfidare «a testa alta».
Altre sull'argomento

Altro parere
Dal 7 ottobre al Real Estate Gaza
Dal 7 ottobre al Real Estate Gaza

Se la politica si riduce a commedia dell'arte
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Caso Almasri, i ministri riferiscono ma non chiariscono
Nordio e Piantedosi in audizione alla Camera
Nordio e Piantedosi in audizione alla Camera

L'Europa disunita alla meta
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Pubblica un commento