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Benetton: «Ironia e divertimento. Toscani ci faceva rischiare tanto ma ne è valsa la pena»

Daniele Manca, Corriere della Sera, 14 gennaio

Redazione InPiù 18/01/2025

Benetton: «Ironia e divertimento. Toscani ci faceva rischiare tanto ma ne è valsa la pena» Benetton: «Ironia e divertimento. Toscani ci faceva rischiare tanto ma ne è valsa la pena» Con Oliviero Toscani era ironia e divertimento. Ci faceva rischiare tanto ma ne è valsa la pena. Così Luciano Benetton, intervistato da Daniele Manca per il Corriere della Sera del 14 gennaio ricorda il fotografo scomparso. «L’accordo era chiaro, diretto, come era sempre stato: sentiamoci quando posso. Era così, diretto. Di carattere. Anche farsi vedere, da tutti, pubblicamente, come era diventato, con 40 chili in meno. Non negare la realtà, l’evidenza, i fatti. Oliviero era questo. La sua etica era questa. La sua creatività era profondamente legata alla realtà. Per quanto essa fosse sgradevole». Aveva sentito Oliviero Toscani in questi ultimi mesi. Avrebbe voluto andare a trovarlo. «Ma Oliviero non aveva mai voluto. Mi diceva più avanti, adesso non è il momento. Quando lo chiamavo rispondeva o subito o magari dopo qualche giorno, quando riusciva. Camminava poco, doveva farsi aiutare... Sperava e tutti noi speravamo. E invece questo è il momento peggiore». Non avete mai tremato di fronte a colossi come gli americani Sears che negli anni Novanta dettavano il gusto con i loro department stores e che tolsero i vostri prodotti dalle loro catene? Come facevate? «Avevamo la certezza di quello che stavamo facendo. Oliviero aveva anche un modo ironico di lavorare, ci occupavamo di grandi temi ma avevamo anche una sorta di leggerezza che ci veniva dalla convinzione di ciò che proponevamo al mondo. Un mondo sicuramente diverso da quello nel quale viviamo oggi». Nel 1998 un catalogo di un’azienda di abbigliamento finisce sulla scrivania di Giovanni Paolo II, su quelle di capi di Stato. Quell’azienda è Benetton. In milioni di copie sarà distribuito in allegato con il Corriere della Sera, Le Monde,  Frankfurter Allgemeine. È forte la scelta di Newsweek di mandare nelle caselle della posta, funzionava ancora così nel secolo scorso, dei suoi abbonati «Enemies». Era un catalogo di abbigliamento ma le foto erano quelle di giovani ragazzi israeliani e palestinesi nel loro agire quotidiano. La pace che diventava realtà. Erano anni nei quali si voleva cambiare il mondo, pieni di speranze, cadevano muri…«Non si trattava di cambiare il mondo ma intanto di cominciare a raccontarlo per quello che era... La personalità di Oliviero permetteva tutto questo. Per noi si trattava di affrontare situazioni anche non facili. Persino legalmente dannose. Ma con lui era semplice. È sempre stato un mio punto di riferimento. Una persona che c’era». Ma a partire da quando? «Negli anni Ottanta ci frequentavamo con Elio Fiorucci. Io cercavo un creativo, un fotografo che fosse in sintonia con l’idea di andare oltre con le campagne per singolo  Paese, che avesse lo sguardo largo. Una sera dell’82, a cena mi presenta Oliviero. È così che è iniziata».
 
Ed è così che nel giro di qualche anno arrivano le campagne con i ragazzi di tutte le razze, bianchi, neri, indiani d’America, ragazzi e ragazze con gli occhi a mandorla, fotografati con maglioni e magliette colorati. Erano appunto anni diversi, persino Gorbaciov si accorge di voi. Aprite un  negozio a Sarajevo in piena guerra. «Sì, certo. Ma alla base c’era anche questa voglia di far capire che il mondo era più largo di quanto si immaginasse. C’era anche la volontà mia, dell’azienda di non aver a che fare con campagne specifiche per singoli mercati, ma parlare al mondo intero con delle foto, con una campagna unica. E per questo che con Oliviero abbiamo viaggiato in lungo e in largo per il mondo. Da Tokyo a Johannesburg e all’Australia». Viaggi lunghi, intercontinentali...«In quegli alberghi, su quegli aerei il rapporto si fa più solido. Diventa amicizia. Non siamo più l’imprenditore che commissiona la campagna al creativo. La creatività di Oliviero non è fine a se stessa. È legata alla realtà». Sono gli anni Novanta nei quali nasce una rivista come Colors che a partire da valori come la pace, la comprensione tra i popoli, avrà la forza di organizzare a Johannesburg una mostra, una rassegna culturale nelle settimane che precederanno le prime elezioni libere. Quelle alle quali voteranno anche i neri. E che Oliviero Toscani renderà emblematica con quella foto che mostra un atleta bianco e uno nero che si scambiano il testimone in una staffetta. Ma vi siete anche trovati in difficoltà, come a Parigi quando Oliviero Toscani all’insaputa di tutti mette un gigantesco preservativo su un obelisco. «Come le dicevo a volte non era facile, occorreva rischiare un po’ di più ma ne valeva la pena. Certo, c’erano immediate ripercussioni sul nostro nome a volte con polemiche aspre da un lato ma anche con premi prestigiosi dall’altro per la stessa campagna. Ma si sbaglierebbe a pensare che fossero solo provocazioni».  Per provocare provocavano: lei nudo su manifesti giganti con lo slogan «Ridatemi i miei
vestiti» con la Caritas a fare da testimonial, una suora che bacia un prete... «Vero, ma Oliviero e noi volevamo che ci si spingesse oltre una campagna come quelle a cui eravamo abituati, che sodi un’automobile o di un prodotto. Volevamo essere unici in ogni parte del mondo. E cosa unisce le persone nel mondo se non i valori? Se non la realtà?».
 
Anche se significa pubblicare la maglietta e i pantaloni insanguinati di un soldato morto nella guerra dei Balcani, o le campagne sull’Aids? «La prova che si colpiva nel segno, che si faceva  discutere era nelle reazioni non sempre e non tutte positive da parte delle stesse associazioni che combattevano l’Aids. Ma l’affrontavamo. Come si può innovare se non si sperimenta? Se non si dà a un creativo come Oliviero la possibilità di esprimersi? L’aspirazione era di mostrare quello che si vedeva, le esperienze. E se c’era da correggere correggevamo. Se c’erano difetti li superavamo. Al fondo c’era però anche la consapevolezza di fare qualcosa che fosse rilevante». Poi però succede qualcosa...«Poi il mondo cambia. Pensi a questo quarto di secolo. L’impressione attuale è di vivere in un mondo senza colori rispetto a quei colori che con Oliviero volevamo mettere assieme. Chiacchieravamo di questo negli ultimi tempi, ma gli parlavo anche del suo straordinario coraggio nell’affrontare una malattia come quella che lo ha colpito. Speravo che la sua forza con le cure che aveva intrapreso fossero in grado di portarlo fuori dal guado». Ma non voleva che andasse a trovarlo...«Quello che ci legava andava al di là delle cose che facevamo assieme. Ci divertivamo. Sì, ci divertivamo. Non c’era niente di semplice. Ma forse il divertimento con lui era proprio questo, continuare a provarci. Non fermarsi mai, quali che fossero gli ostacoli».
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