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La terza vita di Netanyahu
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Redazione InPiù 15/01/2025

La terza vita politica di Benjamin Netanyahu inizia adesso, commenta sulla Stampa Stefano Stefanini, tra la tregua a Gaza ieri e l’inaugurazione di Donald Trump lunedì prossimo. Egli è già il leader più longevo alla guida di Israele. Dopo la sconfitta elettorale dal laburista Ehud Barak del 1999 e la lunga eclissi alla guida del Likud dietro ad Ariel Sharon prima e ad Ehud Olmert poi, durata fino al 2009. Dopo che una rivolta coalizzata di forze politiche lo aveva estromesso nel 2021, per le brevi successioni di Naftali Bennet e Yair Lapid. Soprattutto dopo il tragico 7 ottobre del 2023, quando l’incursione di Hamas massacrò 1195 persone, fra israeliani e stranieri, e prese 251 ostaggi dei quali circa la metà ancora in cattività. Quand’anche gli errori di intelligence e di sicurezza non siano direttamente imputabili al primo ministro – in Israele il dibattito è aperto – l’attacco di Hamas rappresentò un fallimento della sua politica che si fondava sull’assunto di avere il Movimento islamico di Resistenza sotto controllo dentro la prigione a cielo aperto della Striscia. Malgrado i soldi dal Qatar e le armi contrabbandate dall’Iran, incoraggiati gli uni, tollerate le altre, Hamas era ritenuto incapace di nuocere se non per gli inefficienti razzi dai quali Israele era capace di difendersi con i rifugi e l’Iron Dome. Il 7 ottobre cambiò radicalmente l’equazione. Ma non smosse di un centimetro Benjamin Netanyahu. Altri, al suo posto avrebbero dato dimissioni come fece Golda Meir dopo la guerra del Kippur del 1973, per un simile fallimento di intelligence. Non Bibi. Il quale incassò l’iniziale crollo di popolarità e seppe ribaltare la situazione. La risposta di Israele al massacro del 7 ottobre: ha distrutto Hamas a Gaza, pur ad un costo altissimo di vittime palestinesi e di distruzione della Striscia; sconfitto Hezbollah in Libano; sferrato un pesante colpo alle difese aeree dell’Iran; con la complicità (involontaria? casuale?) del Hayat Tahrir al-Sham Mohammed Ghazi Jalali, liberato lo Stato ebraico della minaccia posta dal regime pro-Iran di Bashar Assad e delle milizie di Hezbollah in Siria. Pazienza le condanne internazionali. Da vinto Netanyahu si è fatto vincitore, e non c’è nulla più della vittoria che incuta più rispetto in Medio Oriente.
Massimo Recalcati, la Repubblica
A proposito del conflitto israeliano-palestinese – scrive su Repubblica Massimo Recalcati – diversi commentatori politici hanno fatto notare come uno degli ostacoli maggiori di fronte all’ipotesi dei Due popoli in Due Stati sia la presenza di spinte fondamentaliste di tipo religioso attive da ambo le parti. È una osservazione che condivido perché il discorso religioso quando viene sequestrato dal fanatismo fondamentalista tende sempre a imporre l’Uno sul Due. In questo senso esso sarebbe strutturalmente allergico al principio della democrazia che è invece sempre un’esperienza radicale del lutto dell’Uno nel nome del Due. Varrebbe la pena a questo proposito ricordare che il primo moto che orienta i legami tra i fratelli non è quello della fratellanza ma quello dell’odio e dell’inimicizia: l’odio è più antico dell’amore, il ripudio del fratello o della sorella più originario rispetto alla loro accoglienza. Questo per una ragione evidente: la nascita del fratello o della sorella impone un decentramento inevitabile alla vita del figlio, il quale è costretto a esporsi giocoforza al regime plurale del Due, all’impossibilità di essere un Uno tutto solo. In gioco è la difficile esperienza del lutto dell’Uno. Non è, infatti, possibile sottrarsi all’incontro traumatico con il Due, non è possibile consistere solo di se stessi. Ma come si diviene fratelli e sorelle al di là del mito della consanguineità che sostiene l’illusione fondamentalista dell’Uno che vorrebbe escludere il Due? Come si realizza una fratellanza e una sorellanza che non siano preda dell’odio? Si tratta di realizzare un legame solidale discreto senza la pretesa che tutto sia condiviso, senza annullare l’esistenza separata dell’altro, senza voler a tutti costi costringere il reale del Due dentro il recinto chiuso dell’Uno. È quello che possiamo trovare nel gesto solo apparentemente enigmatico con il quale Esaù e Giacobbe si abbracciano lasciandosi alle spalle la lotta a morte per il loro prestigio, decidendo però di seguire due cammini differenti, di rimanere Due.
Ferruccio de Bortoli, Corriere della Sera
Nell’Italia che fa meno figli – osserva Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera – diminuisce anche il desiderio di essere genitori adottivi. L’allarme è autorevole e viene dalla presidente del principale Tribunale dei minori italiano, quello di Milano, Maria Carla Gatto. Si crede poi che sia quasi impossibile adottare nati in Italia. In realtà non è così. L’amaro paradosso – continua de Bortoli – è che i bimbi adottabili hanno sempre meno aspiranti genitori adottivi. Le domande di disponibilità all’adozione nazionale toccarono nel 2006 la rilevante quota di 16 mila 538. Erano già scese, nel 2021, a 7 mila 970. Il calo milanese è drammatico oltre ad essere più aggiornato. Erano 1.232 le domande nel 2001. Nell’anno appena concluso le disponibilità ad adottare, presentate davanti al tribunale milanese, sono state appena 419. Qual è la situazione dei minori dichiarati adottabili? Quelli con genitori ignoti erano 327 nel 2001 e 173 nel 2021 a livello nazionale. A Milano erano 62 nel 2001 e 26 nel 2024. La forte riduzione è spiegata anche con l’entrata in vigore della legge del 2001 che ha riconosciuto il diritto del figlio adottato di conoscere le proprie origini. I bimbi dichiarati adottabili con genitori noti erano, in tutta Italia, 769 nel 2001 e sono cresciuti a 899 nel 2021. A Milano sono passati da 85 (2001) a 52 lo scorso anno, che con i 26 da genitori ignoti raggiungono il numero di 78. Un quarto dei figli di genitori ignoti(con la madre che ha scelto di partorire nell’anonimato con tutte le tutele per lei e il neonato) nasce in Lombardia. E questo apre inquietanti interrogativi su che cosa accada in altre Regioni, soprattutto del Mezzogiorno. Anche le domande di adozione internazionale, che conobbero soprattutto nei decenni scorsi adesioni costantemente in crescita, sono diminuite. Nel 2001 erano in tutta Italia 7 mila 887. Sono scese nel 2021 a 2.020. A Milano, nello scorso anno, sono state soltanto 158.
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