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Cattolici, una qualifica che non è sufficiente
Redazione InPiù 09/01/2025

Carlo Valentini su Italia Oggi commenta i movimenti cattolici in area Pd: “La convivenza tra chi proveniva dalla tradizione socialista e chi da quella cattolica che ha avuto il suo apice nell’Ulivo, un tentativo di superare, mettendo insieme i due mondi, la débâcle della Dc e la crisi d’identità del post-Pci – scrive - si è rivelata spesso problematica, soprattutto quando è venuto a mancare la figura quasi carismatica del federatore. Le venature radicaleggianti della segreteria Elly Schlein hanno accentuato queste difficoltà, tanto che esponenti della componente cattolica del Pd hanno deciso di rompere gli indugi e si sono convocati sabato 18 a Milano, con corredo di interviste rilasciate in questi giorni in cui viene rimarcata una specificità: noi siamo cattolici. Che però oggi non è sufficiente, a differenza del passato quando vi era netta contrapposizione tra l’ideologia marxista e la fede cattolica. In quella situazione professarsi cattolici costituiva di per sé una discriminante e una indicazione elettorale. Ora le carte della politica (e della società) sono profondamente mutate e non a caso i cattolici, che un tempo si ritrovavano nella Dc, sono divisi tra varie forze politiche, anche collocate in coalizioni opposte. Non è più sufficiente definirsi cattolico per esternare un identikit politico. Ecco perché – osserva Valentini - desta qualche perplessità una convention che sembra avere come comune denominatore la propria fede, senza indicare le priorità di un programma politico su cui impegnarsi e quali dovrebbero essere i provvedimenti qualificanti di un eventuale impegno esecutivo e comunque da perseguire anche stando all’opposizione. La politica oggi si sta incartando sulle etichette. Si fa un gran parlare di centrismo ma anche in questo caso pullulano i convegni in cui ci si ferma agli schieramenti senza indicare le caratteristiche che dovrebbe avere la società a cui si aspira e qual è la differenza, in concreto, dagli altri progetti. Che è poi anche quello che manca al cosiddetto campo largo, impegnato a costruire una complicata coabitazione, discutendo di sigle e non di proposte. I cattolici del Pd hanno annunciato che a Milano chiederanno di contare di più. L’auspicio – conclude - è che dicano anche per fare che cosa”.
Andrea Colombo, il Manifesto
“In conferenze stampa inutilmente fluviali come quella di ieri c’è quello che i presidenti del consiglio dicono. Quella di turno ha detto pochissimo”. Così Andrea Colombo sul Manifesto sottolineando poi che “c’è poi quello che i premier non dicono ma che spesso è anche più eloquente. Giorgia Meloni è stata ben attenta a non farsi scappare una sillaba critica nei confronti del futuro presidente americano che proclama di volersi prendere, tra le altre cose, un pezzetto d’Europa. Non è che volesse minacciare qualcuno. Rispondeva casomai alla minaccia cinese, il pericolo giallo. Lanciava un messaggio a Pechino e ognuno nella messaggistica ha il suo stile. Infine c’è quello che, intenzionalmente o meno, i leader bersagliati dalle domande dei cronisti fanno capire. A proposito di rapporti con Elon Musk e con il già citato Donald Trump la presidente italiana ha fatto capire anche troppo. In una kermesse sonnacchiosa, priva dell’abituale grinta salvo che si trattasse di azzannare giornalisti, la premier si è svegliata e ha sfoderato gli artigli solo quando gli incauti hanno messo in mezzo il tycoon. L’uomo più ricco del mondo, con tutti e due i piedi nella comunicazione, forte di una flotta di satelliti in continua crescita che quasi tutti gli eserciti del mondo se la sognano mette becco ogni santo giorno nella politica di Stati europei che considera prossima terra di conquista? Be’ che male c’è a esprimere le proprie opinioni? Quella tutto è tranne che ingerenza politica. Soros, piuttosto, che non si limita a parlare ma apre i cordoni della borsa: lui sì che minaccia: «Musk non è un pericolo per la democrazia: Soros sì». La premier - è abile, chi non lo ha ancora capito farebbe bene a cambiare mestiere. Per due anni e mezzo Giorgia Meloni ha puntato le sue fiches politiche sulla capacità di accreditarsi presso centrali occidentali attestate su posizioni opposte alle sue, tanto a Washington quanto a Bruxelles. I tempi stanno per cambiare. Ora gli occhi della premier sono puntati oltre Atlantico, tanto in termini di rapporti politici quando economici. Musk è molto più del proprietario di un’azienda con il quale tocca trattare perché altro il mercato non passa. È il tycoon al quale offrire una testa di ponte per la conquista dell’Europa in cambio di corposi investimenti di ogni tipo. Trump – conclude - non è solo un presidente degli Usa affine nella visione di fondo: è l’alleanza che, se realizzata davvero, può mettere le ali al sogno neomissino della premier”.
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