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Cingolani “Dallo spazio alla portaerei volante il futuro di Leonardo è la sicurezza globale”

Gianluca Di Feo, la Repubblica, 15 dicembre 2024

Redazione InPiù 15/12/2024

Cingolani “Dallo spazio alla portaerei volante il futuro di Leonardo è la sicurezza globale” Cingolani “Dallo spazio alla portaerei volante il futuro di Leonardo è la sicurezza globale” Leonardo ha trovato la quadratura del cerchio. L’amministratore delegato Roberto Cingolani – intervistato da Gianluca Di Feo su Repubblica di domenica 15 dicembre – presenta il futuro dell’azienda con una geometria finalmente chiara, in cui settori di attività in apparenza molto diversi – dagli aerei ai carri armati fino ai satelliti – diventano declinazioni della capacità di produrre sistemi digitali avanzati, con un’integrazione accelerata dalla competenza nello spazio, nella cyber, nei supercomputer. Una visione globale di sviluppo tecnologico e industriale che sembra avere convinto i mercati. Oggi ordini e quotazione crescono sulla spinta del riarmo scaturito dalla guerra in Ucraina. Quale sarà il futuro di Leonardo? «Siamo partiti da un’analisi sorprendente della guerra in Ucraina: attacco e difesa digitali sono diventati efficaci quanto e forse più di quelli convenzionali. Droni da poche migliaia di euro guidati dalle comunicazioni satellitari hanno distrutto tank costati parecchi milioni. Ci siamo poi resi conto dell’importanza delle sinergie: l’Europa si è presentata frammentata mentre in questo mercato nessuno ce la fa da solo. La terza considerazione è che quando è scoppiata la guerra, prima ancora di misurarne le drammatiche conseguenze umane, abbiamo vissuto qualcosa che non pensavamo potesse accadere: l’insicurezza globale in campo energetico, alimentare, cibernetico e persino delle infrastrutture. Per questo è indispensabile andare verso un approccio più ampio di sicurezza globale, che va portato avanti anche in tempo di pace, che noi chiamiamo “multidominio interoperabile”». Che cosa vuol dire? «Abbiamo sfruttato quella che poteva essere una nostra debolezza: Leonardo fa le cose più complesse come aerei ed elicotteri, che sono pure le più costose perché devi investire tanto e i margini di profitto possono risentirne. Ma se l’esigenza attuale è garantire che tutte le piattaforme dialoghino, allora noi produciamo i sistemi spaziali che permettono di supervisionare quello che succede e di garantire le comunicazioni nel cielo, sulla terra e sul mare. Abbiamo inoltre la dimensione cyber per proteggere le connessioni; le strumentazioni elettroniche e il supercalcolo, con uno dei computer più potenti al mondo. Oltre Leonardo, quale altra azienda internazionale poteva fare questo discorso globale? In sintesi, Leonardo del futuro sarà un’azienda sempre più internazionale e interconnessa che come prodotto centrale avrà la sicurezza globale». La sfida più ambiziosa è il Gcap, Global Combat Air Programme: un caccia stealth di sesta generazione. Neppure gli Usa stanno progettando qualcosa di simile. Quanto sarà impegnativo? «Si tratta di sviluppare un caccia invisibile ai radar in grado di controllare una flotta di aerei senza pilota. In pratica, sarà una sorta di supercomputer volante: a me piace paragonarlo a una portaerei che sta in cielo. La sfida è impegnativa: abbiamo firmato venerdì l’accordo con la britannica Bae Systems e con la giapponese Mitsubishi per la nascita della joint venture. L’ingresso in servizio è previsto nel 2035. La prima parte del programma finanziata dai tre Paesi per 45 miliardi di euro riguarda l’aereo madre. Nella seconda parte ci sono gli altri due elementi fondamentali. Lo sviluppo dei droni, che sono veri aerei da ricognizione, attacco, intercettazione. Poi quello del software di intelligenza artificiale che comanda lo sciame di macchine». L’Arabia Saudita è molto interessata all’ingresso nel programma. Quando ci sarà una decisione? «Adesso avremo alcuni mesi di lavoro per definire i piani dettagliati della joint venture, poi si deciderà sui nuovi partner. Un programma di questo genere ha un costo complessivo di almeno 100 miliardi di euro: ben vengano altri Paesi pronti a contribuire. Con i sauditi inoltre esiste un antico rapporto di fiducia e hanno voglia di creare un’industria aeronautica che può legarsi al programma Gcap». L’accordo con i tedeschi di Rheinmetall invece vi dà un ruolo leader nei mezzi corazzati. Quanto peserà negli assetti europei della difesa? «È la prima chiara dimostrazione che si può creare uno spazio europeo della difesa a livello industriale, in cui possiamo essere sherpa dei governi. Il punto vincente è la sinergia tecnologica: noi sulla parte digitale siamo utili a Rheinmetall mentre loro hanno un tank allo stato dell’arte, il Panther. È il classico caso in cui uno più uno fa tre». Voi all’inizio del millennio  eravate protagonisti nel mercato dei droni con il Falco: oggi Leonardo è ancora nella partita? «Posso dire senza giri di parole che sui droni abbiamo perso il treno. L’unico modo di superare il gap è fare accordi internazionali che puntino sulle nostre capacità digitali: ci stiamo lavorando intensamente». Lo spazio è sempre più la nuova frontiera. Con quali prospettive? «Leonardo non poteva continuare a essere un operatore invisibile, nel senso che le nostre partecipazioni non comparivano nel bilancio. Abbiamo creato una divisione spazio e razionalizzato tutto: ad esempio, Telespazio è stata consolidata rinegoziando gli accordi con Thales. Andremo a intercettare la fetta di mercato più ricca della space economy: il nostro focus saranno i servizi satellitari, end to end, dalla costellazione alla stazione di terra». Voi avete una collaborazione con Starlink di Elon Musk, intendete ampliarla? «Per ora Starlink è un nostro fornitore: per noi è assolutamente normale comprare banda da diverse costellazioni di satelliti. Ovviamente in futuro non escludo altre collaborazioni». Il settore più in difficoltà è quello degli aerei civili, che risente della crisi di Boeing. Cosa farete a Grottaglie e negli altri impianti? «Ora c’è ottimismo sulla ripresa di Boeing. Ma abbiamo accumulato perdite pesanti negli ultimi sette anni. Il settore civile è dominato da due big: essere loro fornitori implica tanto lavoro con grandi investimenti e solo il 5% di margine. È un modello di business rischioso. Questa è una compagnia che sta crescendo molto bene, gli investitori lo hanno capito: nelle altre divisioni ho un margine tra il 10 e il 20%. Allora anche in quegli impianti devo creare una speranza: non perdere un solo posto trasferendo lì altre produzioni e costruire subito alleanze internazionali di tipo nuovo per rilanciare».
 
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