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Caos Francia: ora il macronismo è morto
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 05/12/2024
Caos Francia: ora il macronismo è morto
Aldo Cazzullo, Corriere della Sera
Il macronismo è morto, sentenzia sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo, all’indomani della caduta del governo Barnier, sfiduciato dall’Assemblea nazionale. Proprio nell’anno che, nella fantasia del suo fondatore, doveva essere quello della consacrazione. E anche una certa idea dell’Europa si sente poco bene. Perché ha vinto l’alleanza rosso-bruna tra i due opposti populismi. Alle elezioni del giugno scorso, il presidente aveva fermato l’avanzata di Marine Le Pen grazie a un’alleanza, non dichiarata ma evidente, con la sinistra. Poi però ha varato un governo appeso alla benevolenza di Marine Le Pen. Non poteva durare. E non è durato. Il macronismo è finito. L’idea di tagliare le ali e avanzare al centro ha funzionato per due elezioni presidenziali, ma è crollata di fronte alla crisi sociale e all’impopolarità del presidente. Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, l’estrema sinistra e l’estrema destra hanno votato insieme. Il fallimento di Macron non è una buona notizia per l’Europa. Anche perché è speculare al fallimento del cancelliere Olaf Scholz. L’impotenza dei governi europeisti dei due più grandi Paesi dell’Ue conferma che il vento della storia tira nella direzione del sovranismo, o per meglio dire del neo-nazionalismo. Che può essere letto come una sorta di egoismo di massa, ma anche come una legittima reazione dei popoli, che chiedono allo Stato nazionale la protezione dallo strapotere del capitalismo globale. Eppure non saranno Le Pen e Mélenchon a risolvere il crollo del potere d’acquisto, l’indebolimento del ceto medio, l’irrilevanza dell’Europa nelle guerre alle sue frontiere orientali e meridionali. Certo, il fallimento di Macron all’apparenza è una buona notizia per Giorgia Meloni, che con il presidente francese non ha mai legato. Ma se i Paesi dell’Ue, a cominciare dal nostro, pensano di affrontare Trump e le sue minacce – i dazi, il disimpegno dalla Nato, l’abbandono del continente a Putin – ognuno per proprio conto, preparano davvero il suicidio europeo.
Piero Benassi, la Repubblica
La caduta del primo ministro Barnier – commenta su Repubblica Piero Benassi – apre uno scenario complesso con uno stallo che, se non superato velocemente, genera una crisi politica interna in Francia dai rari precedenti. E un complicato riverbero in Europa e nei rapporti tra Parigi – unico Paese Ue nucleare e membro permanente del Consiglio di sicurezza all’Onu – e il resto del mondo. Con il pretesto della legge di bilancio, ma con il presidente Macron nel mirino sia di Marine Le Pen che di Jean-Luc Mélenchon, la caduta di Barnier va sanata dall’Eliseo con una soluzione alternativa dentro una finestra di possibilità sempre più stretta e con una situazione di bilancio che vede Parigi alle prese con un debito pubblico in crescita esponenziale e con un deficit oltre il 6 per cento che la manovra oggetto dello scontro avrebbe dovuto riportare al 5 e poi al 3 entro il 2029. La dinamica dei mercati, con lo spread in rialzo da mesi e il permanere delle tensioni sociali mai sopite in più componenti dell’elettorato, renderà incalzante la necessità per Macron di correre ai ripari. La situazione economica e sociale della Francia, da anni sotto stress, a partire dall’epoca dei gilet gialli, è il paradigma di una crisi che sotto diverse modalità investe molti Paesi europei, Germania su tutti. Un affanno prodotto dalle difficili prospettive economiche e sociali e dalla crescente frammentazione del quadro politico interno di molti Stati membri. Berlino, già in campagna elettorale e con lo spettro dell’avanzata dell’estrema destra, la neonazista Afd, risulta presumibilmente avviata a un cambio della guardia nella Cancelleria con la Cdu a formare una coalizione di governo, ibrida ma istituzionale. L’impasse di Parigi, anche in caso di una soluzione emergenziale di cui non si vedono ancora i contorni, appare destinata anch’essa a protrarsi, con Macron alle prese con una seconda parte di mandato di visibile crepuscolo e con la Francia dentro una forbice tra sofferenze interne e responsabilità esterne. Ne consegue un periodo di vuoto a livello europeo destinato a protrarsi per mesi.
Paolo Pombeni, Il Messaggero
L’anomalo e per certi versi cervellotico tentativo di golpe del presidente della Corea del Sud – osserva sul Messaggero Paolo Pombeni – si iscrive indubbiamente in un contesto peculiare. Tuttavia è significativo, sia pure quasi per paradosso, della crisi che attraversano i sistemi ispirati al costituzionalismo occidentale E da questo episodio, pur con tutte le cautele del caso, perché non basta un singolo evento per dichiarare leggi universali, possiamo osservare alcune cose. La prima è che a determinate condizioni la democrazia si rivela esportabile: certo in Corea del Sud hanno concorso circostanze particolari (la presenza costante degli americani a tutela di quel sistema), mentre in altri casi, vedi il Vietnam, così non è stato. Però non è vero in assoluto che i valori cosiddetti occidentali non possano convivere con altri contesti culturali: bisogna trovare il modo di creare un amalgama opportunamente dosato. Il secondo è che, all’opposto, essendoci come si usa dire la globalizzazione, le debolezze del sistema costituzionale occidentale possono anch’esse fare scuola e non in senso positivo. L’idea che la politica sia manipolabile dall’alto, che la democrazia possa essere illiberale (per usare una formula ormai entrata nell’uso), che ci sia spazio per una presunta domanda di avere l’uomo o la donna forte al comando, sono elementi che spingono i vertici politici deboli a forzare la situazione. Giustamente si è fatto notare che molti, da Kim Il Sung a Putin, dagli ayatollah di Teheran ai vari autocrati più o meno dichiarati che sono oggi attivi, avrebbero visto con piacere crollare la democrazia costituzionale sudcoreana e un suo allinearsi a modelli che ormai vengono definiti non occidentali (come se questo desse loro una giustificazione, anzi addirittura li nobilitasse come esempi di una nuova fase storica). Il segnale dovrebbe essere percepito con attenzione e preoccupazione anche in occidente. È vero che in questo contesto gli anticorpi dovrebbero essere più forti. Ma è altrettanto vero che i nostri sistemi politici soffrono di una certa stanchezza, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione dei cittadini: evidente con l’astensionismo elettorale, ma ancor più preoccupante con la crisi di utilizzo dei mezzi di informazione e di formazione, dalla stampa alla televisione, alle agenzie sociali in cui si matura in un confronto comunitario.
Il macronismo è morto, sentenzia sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo, all’indomani della caduta del governo Barnier, sfiduciato dall’Assemblea nazionale. Proprio nell’anno che, nella fantasia del suo fondatore, doveva essere quello della consacrazione. E anche una certa idea dell’Europa si sente poco bene. Perché ha vinto l’alleanza rosso-bruna tra i due opposti populismi. Alle elezioni del giugno scorso, il presidente aveva fermato l’avanzata di Marine Le Pen grazie a un’alleanza, non dichiarata ma evidente, con la sinistra. Poi però ha varato un governo appeso alla benevolenza di Marine Le Pen. Non poteva durare. E non è durato. Il macronismo è finito. L’idea di tagliare le ali e avanzare al centro ha funzionato per due elezioni presidenziali, ma è crollata di fronte alla crisi sociale e all’impopolarità del presidente. Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, l’estrema sinistra e l’estrema destra hanno votato insieme. Il fallimento di Macron non è una buona notizia per l’Europa. Anche perché è speculare al fallimento del cancelliere Olaf Scholz. L’impotenza dei governi europeisti dei due più grandi Paesi dell’Ue conferma che il vento della storia tira nella direzione del sovranismo, o per meglio dire del neo-nazionalismo. Che può essere letto come una sorta di egoismo di massa, ma anche come una legittima reazione dei popoli, che chiedono allo Stato nazionale la protezione dallo strapotere del capitalismo globale. Eppure non saranno Le Pen e Mélenchon a risolvere il crollo del potere d’acquisto, l’indebolimento del ceto medio, l’irrilevanza dell’Europa nelle guerre alle sue frontiere orientali e meridionali. Certo, il fallimento di Macron all’apparenza è una buona notizia per Giorgia Meloni, che con il presidente francese non ha mai legato. Ma se i Paesi dell’Ue, a cominciare dal nostro, pensano di affrontare Trump e le sue minacce – i dazi, il disimpegno dalla Nato, l’abbandono del continente a Putin – ognuno per proprio conto, preparano davvero il suicidio europeo.
Piero Benassi, la Repubblica
La caduta del primo ministro Barnier – commenta su Repubblica Piero Benassi – apre uno scenario complesso con uno stallo che, se non superato velocemente, genera una crisi politica interna in Francia dai rari precedenti. E un complicato riverbero in Europa e nei rapporti tra Parigi – unico Paese Ue nucleare e membro permanente del Consiglio di sicurezza all’Onu – e il resto del mondo. Con il pretesto della legge di bilancio, ma con il presidente Macron nel mirino sia di Marine Le Pen che di Jean-Luc Mélenchon, la caduta di Barnier va sanata dall’Eliseo con una soluzione alternativa dentro una finestra di possibilità sempre più stretta e con una situazione di bilancio che vede Parigi alle prese con un debito pubblico in crescita esponenziale e con un deficit oltre il 6 per cento che la manovra oggetto dello scontro avrebbe dovuto riportare al 5 e poi al 3 entro il 2029. La dinamica dei mercati, con lo spread in rialzo da mesi e il permanere delle tensioni sociali mai sopite in più componenti dell’elettorato, renderà incalzante la necessità per Macron di correre ai ripari. La situazione economica e sociale della Francia, da anni sotto stress, a partire dall’epoca dei gilet gialli, è il paradigma di una crisi che sotto diverse modalità investe molti Paesi europei, Germania su tutti. Un affanno prodotto dalle difficili prospettive economiche e sociali e dalla crescente frammentazione del quadro politico interno di molti Stati membri. Berlino, già in campagna elettorale e con lo spettro dell’avanzata dell’estrema destra, la neonazista Afd, risulta presumibilmente avviata a un cambio della guardia nella Cancelleria con la Cdu a formare una coalizione di governo, ibrida ma istituzionale. L’impasse di Parigi, anche in caso di una soluzione emergenziale di cui non si vedono ancora i contorni, appare destinata anch’essa a protrarsi, con Macron alle prese con una seconda parte di mandato di visibile crepuscolo e con la Francia dentro una forbice tra sofferenze interne e responsabilità esterne. Ne consegue un periodo di vuoto a livello europeo destinato a protrarsi per mesi.
Paolo Pombeni, Il Messaggero
L’anomalo e per certi versi cervellotico tentativo di golpe del presidente della Corea del Sud – osserva sul Messaggero Paolo Pombeni – si iscrive indubbiamente in un contesto peculiare. Tuttavia è significativo, sia pure quasi per paradosso, della crisi che attraversano i sistemi ispirati al costituzionalismo occidentale E da questo episodio, pur con tutte le cautele del caso, perché non basta un singolo evento per dichiarare leggi universali, possiamo osservare alcune cose. La prima è che a determinate condizioni la democrazia si rivela esportabile: certo in Corea del Sud hanno concorso circostanze particolari (la presenza costante degli americani a tutela di quel sistema), mentre in altri casi, vedi il Vietnam, così non è stato. Però non è vero in assoluto che i valori cosiddetti occidentali non possano convivere con altri contesti culturali: bisogna trovare il modo di creare un amalgama opportunamente dosato. Il secondo è che, all’opposto, essendoci come si usa dire la globalizzazione, le debolezze del sistema costituzionale occidentale possono anch’esse fare scuola e non in senso positivo. L’idea che la politica sia manipolabile dall’alto, che la democrazia possa essere illiberale (per usare una formula ormai entrata nell’uso), che ci sia spazio per una presunta domanda di avere l’uomo o la donna forte al comando, sono elementi che spingono i vertici politici deboli a forzare la situazione. Giustamente si è fatto notare che molti, da Kim Il Sung a Putin, dagli ayatollah di Teheran ai vari autocrati più o meno dichiarati che sono oggi attivi, avrebbero visto con piacere crollare la democrazia costituzionale sudcoreana e un suo allinearsi a modelli che ormai vengono definiti non occidentali (come se questo desse loro una giustificazione, anzi addirittura li nobilitasse come esempi di una nuova fase storica). Il segnale dovrebbe essere percepito con attenzione e preoccupazione anche in occidente. È vero che in questo contesto gli anticorpi dovrebbero essere più forti. Ma è altrettanto vero che i nostri sistemi politici soffrono di una certa stanchezza, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione dei cittadini: evidente con l’astensionismo elettorale, ma ancor più preoccupante con la crisi di utilizzo dei mezzi di informazione e di formazione, dalla stampa alla televisione, alle agenzie sociali in cui si matura in un confronto comunitario.
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