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Stato e burocrazia, il doppio errore da evitare

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 02/12/2024

Stato e burocrazia, il doppio errore da evitare Stato e burocrazia, il doppio errore da evitare Sabino Cassese, Corriere della Sera
Sul Corriere della Sera Sabino Cassese critica due proposte di norme, che dovranno essere approvate dal Parlamento entro la fine dell’anno. Esse regolano il potere dello Stato nei confronti della galassia semipubblica e privata che lo circonda e l’opera della Corte dei conti. Entrambe le proposte – afferma Cassese – sono giuste nelle finalità, ma sbagliate nei mezzi.  La prima è contenuta nella legge di bilancio per il 2025 e prevede la presenza di un rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze nei collegi dei revisori e dei sindaci di società, enti, organismi e fondazioni che ricevono, anche in modo indiretto, e sotto qualsiasi forma, contributi significativi a carico dello Stato. Essa prevede altresì un contenimento della spesa e limiti ai compensi degli amministratori di organismi para-pubblici. È giusto controllare l’uso che soggetti terzi fanno delle risorse pubbliche; ma non si poteva fare diversamente? Una norma di questo tipo, sproporzionata ed intrusiva, finisce per cambiare i rapporti tra Stato ed economia, per essere un’invasione nell’autonomia di organismi privati, inapplicabile nei casi in cui vi sia un sindaco unico o una società esterna di revisione. La seconda proposta, presentata dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, che va approvata entro dicembre, quando scade l’attuale «scudo erariale» per i dipendenti pubblici, appresta una difesa per la sempre bistrattata burocrazia, prevedendo un tetto alle condanne irrogate dalla Corte dei conti, una esclusione della responsabilità per colpa grave per i fatti derivanti da atti sottoposti al controllo preventivo di legittimità, un limite alla responsabilità, un obbligo e un incentivo ad assicurarsi contro il rischio di danno erariale per i dipendenti pubblici. Inoltre, è disposto il risarcimento delle spese per chi viene assolto, ed ampliato l’ambito del controllo preventivo di legittimità sugli enti territoriali. Ma la proposta, anche se introdotta per una finalità giusta, consiste di rimedi e scappatoie, dilatando la funzione consultivo-preventiva per fare da scudo nei casi di colpa grave, ed escludendola per gli atti conformi a pareri della Corte dei conti; fa diventare la Corte stessa un consulente dell’amministrazione, un controllore a richiesta del controllato, come è già successo in passato, con la conseguenza di aumentare i controlli preventivi, che riescono a vedere le pagliuzze, ma non le travi, e di allungare i tempi delle procedure.
 
Lucio Caracciolo, la Repubblica
La ripresa in grande stile del conflitto di Siria – commenta Lucio Caracciolo su Repubblica – connette i due epicentri che stanno ridisegnando i rapporti di forza nel mondo: l’ucraino e il mediorientale. Una sola guerra calda, ormai. Nella quale sono più o meno direttamente coinvolte tutte le potenze massime. Da venerdì scorso, quando una variegata miscela di milizie jihadiste e ribelli anti-Asad ha occupato Aleppo abbandonata dalle truppe di Damasco per puntare in velocità verso la capitale, la Siria è rientrata nell’equazione della “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco. Il regime sembra in via di dissoluzione. Per decrittare la scena strategica, studiamola alla luce radente di tre fari. Il primo e più immediato è lo scontro fra Israele e Iran. Per Gerusalemme l’obiettivo strategico è spezzare o almeno allentare il corridoio imperiale iraniano che connette Teheran al Mediterraneo via Baghdad e Damasco, con sbocco a Beirut e ambigua appendice a Sanaa. Di qui l’attacco a Hezbollah, in Libano, che continua sotto copertura di fittizio “cessate il fuoco”. Il secondo riguarda proprio la Turchia, principale sponsor dei ribelli jihadisti. Da otto anni si è riaffacciata sul suo Levante con il doppio obiettivo di stroncare i curdi del Pkk ed estendersi oltre i confini attuali, verso est e verso sud, seguendo le orme ottomane e i precetti geopolitici fissati nel Patto nazionale di Atatürk (1920). Il terzo concerne la Russia e si riflette immediatamente sulla guerra in Ucraina. Il regime siriano è (era?) il gioiello del Levante già filosovietico oggi filorusso. Dopo averlo salvato nel 2015, ora Putin rischia di perderlo. Tra le varianti dell’incerta partita siriana, una sotterranea ma decisiva. La resa di al-Asad potrebbe infatti entrare nel pacchetto della tregua in Ucraina che Trump spera di stabilire entro la primavera prossima e che dovrebbe essere preceduta da un vero cessate-il-fuoco fra Israele, Hamas e Hezbollah. La perdita della “sua” Siria come sovrapprezzo pagato da Putin per l’annessione di fatto dei territori strappati a Kiev e per le ambigue formule che potrebbero mascherare la rinuncia di Zelensky o di un suo successore alla ”irrinunciabile” integrazione atlantica — rinunciabile secondo diversi atlantici, americani inclusi.
 
Alessandro Sallusti, Il Giornale
Attenzione alle parole – avverte sul Giornale Alessandro Sallusti – quelle pronunciate dagli agitatori delle piazze il più delle volte esprimono concetti che non hanno a che fare con la verità. Prendiamo le ultime pronunciate da Elly Schlein e Maurizio Landini. Dice la prima: «Grave l’attacco del governo alla libertà di sciopero, Meloni ignora lavoratrici e lavoratori». Le fa eco il secondo: «Sugli scioperi è in corso un attacco ai diritti dei lavoratori». Pd e Cgil, insomma, vogliono fare credere che utilizzare lo strumento della precettazione per limitare i danni di uno sciopero sia una forzatura di un governo autoritario. Nulla di più falso. Lo strumento della precettazione è uno dei punti qualificanti della legge che dal 1990 regola il diritto di sciopero, una legge voluta fortemente anche dalle sinistre e dai leader sindacali dell’epoca con la quale si è cercato di mettere ordine nella giungla degli scioperi. In particolare, soprattutto nei servizi di pubblica utilità - trasporti ma non soltanto - si è cercato di fare convivere il diritto allo sciopero previsto dall’articolo 40 della Costituzione con altri diritti altrettanto garantiti dalla Carta. Da allora le organizzazioni sindacali devono sottoporre al prefetto il programma di uno sciopero per verificare che le modalità siano a norma di legge. In caso di divergenze la questione viene demandata all’Autorità di controllo e, in ultima istanza, eventualmente al Tar. Così ha sempre funzionato, indipendentemente dal colore del governo in carica. E così è stato anche per lo sciopero generale di venerdì scorso: comanda  la legge, non la Schlein né Landini. A loro andrebbe ricordato che quando fu approvata l’attuale legge, giugno 1990, che limita la libertà di sciopero entro precisi steccati, Giorgia Meloni aveva 13 anni e Salvini 18; Tajani era più grandicello, di anni ne aveva 33 ma si occupava di cronaca al Giornale. Difficile, quindi, imputare a loro un presunto “attacco alla libertà di sciopero” per una legge nata sotto il sesto governo Andreotti di cui faceva parte anche Sergio Mattarella, ministro dell’Istruzione.
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