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Il venerdì nero del sindacato
Redazione InPiù 28/11/2024
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Vittorio Macioce, il Giornale
“Stop. È un disagio come un altro, da metropoli fuori misura, che ha perso il passo dell’uomo e comunque ti ci abitui. È come i lavori in corso lungo le autostrade o le code per andare via il fine settimana. È un venerdì un po’ più nero degli altri, non fosse altro che questa volta ne porta anche il nome, rigorosamente in inglese. Non fa paura, non significa nulla, non ha neppure più un senso”. Vittorio Macioce sul Giornale commenta così lo sciopero generale indetto per oggi da Cgil e Uil: “È solo un fastidio, senza empatia. Non sa di lotta, non sa di operai, non evoca battaglie sui salari e ormai neppure sui diritti. È lo spettacolo settimanale di ciò che resta dei sindacati, così lontani dalla realtà da rappresentare solo se stessi, un coriandolo di sigle che si sentono vive certificando in comunicati che nessuno legge il rito civile della protesta. E allora va bene pure così, senza enfasi e senza passione. Solo non chiamatelo «sciopero generale». È un’altra cosa. Non ha nulla delle lotte sacrosante di Giuseppe Di Vittorio. Non ha le piazze di Lama, Carniti, Benvenuto. È pura accademia. È il sindacato per il sindacato. È manierismo. Non a caso la controparte non è più la Confindustria, gli industriali, ma la politica del governo, verso cui ci si oppone a prescindere, per vocazione metafisica. È uno sciopero disossato – sottolinea Macioce - che vive di comunicazione, adesioni mirate e blocchi strategici. Basta vedere come funziona. L’aspetto centrale è l’annuncio: il prossimo venerdì ci sarà uno sciopero. La lista dei motivi si dimentica in fretta. La stragrande maggioranza degli italiani non lo sa. Quello che conta è sapere che sarà una giornata complicata. I milanesi e i romani si organizzano. C’è chi, anche se non coinvolto nella protesta, se ne sta comunque a casa e trova una scusa per non perdere neppure un giorno in busta paga. C’è chi arriva in ritardo e sbuffa con l’alibi già in tasca. Siccome è venerdì c’è pure l’occasione per allungare fino a lunedì. I numeri delle adesioni poi sono importanti fino a un certo punto. L’annuncio è sufficiente a fermare i mezzi pubblici e nell’età dell’automazione servono pochi addetti a bloccare le macchine. Lo sciopero poi si sente soprattutto nelle grandi città, per la provincia e i paesini è un venerdì come un altro. È l’Italia che spesso nessuno vede”.
Carlo Valentini, Italia Oggi
“Giorgia Meloni è riuscita a collocare Raffaele Fitto nel board dell’Ue, sottolineando l’importanza che dev’essere riconosciuta al nostro Paese in ambito europeo”. Lo scrive Carlo Valentini su Italia Oggi sottolineando che “la stessa determinazione dovrebbe essere rivolta verso la Germania, e indirettamente l’Ue, sulla vicenda Unicredit-Commerzbank. Ovvero non è ammissibile che in Italia possano avvenire impunemente acquisti di asset anche strategici (dalla Parmalat alla Fiat) ma quando un’impresa italiana si affaccia all’estero per operazioni importanti venga frenata dalla politica di questo o quel Paese. Com’è avvenuto per Fitto il governo italiano deve difendere, sia a Berlino che a Bruxelles, le strategie internazionali delle nostre imprese. Una parte della politica si è lamentata per l’offerta pubblica di acquisto di Unicredit verso Bpm. In parte questa mossa può essere letta come reazione allo stallo, imposto dalla politica tedesca, all’operazione con Commerzbank che rischia di fare sfumare la creazione di una potente banca europea in grado di competere alla pari con gli istituti americani (e cinesi). L’Italia – osserva Valentini - può giocare, nel credito, un ruolo da protagonista ma a questi livelli serve che la politica faccia il suo dovere e difenda le regole del mercato. Altrimenti bisogna prendere atto dell’incapacità di difendere i nostri diritti con la conseguenza che le banche straniere (dal Crédit Agricole a Bnp Paribas a Deutsche Bank) si rafforzano nel mercato italiano e quelle italiane vengono bloccate al confine. Non a caso l’Unione bancaria, che dovrebbe costituire uno dei pilastri dell’Ue, segna il passo e la reale motivazione è che ci sono Paesi, con in testa la Germania, che non intendono cedere sul protezionismo del proprio sistema. Un chiaro segnale antieuropeo. Di fronte al quale l’Italia non può rimanere impassibile. Nessuno ha battuto ciglio quando Crèdit Agricole s’è rafforzato in Bpm o Bnp Paribas ha scalato Bnl. Lo stesso comportamento è doveroso chiederlo ai tedeschi sull’ingresso di Unicredit in Commerzbank. Sarebbe una sconfitta, non solo per Unicredit, se l’istituto fosse costretto al ritiro e poco importa se con un cospicuo guadagno”.
“Stop. È un disagio come un altro, da metropoli fuori misura, che ha perso il passo dell’uomo e comunque ti ci abitui. È come i lavori in corso lungo le autostrade o le code per andare via il fine settimana. È un venerdì un po’ più nero degli altri, non fosse altro che questa volta ne porta anche il nome, rigorosamente in inglese. Non fa paura, non significa nulla, non ha neppure più un senso”. Vittorio Macioce sul Giornale commenta così lo sciopero generale indetto per oggi da Cgil e Uil: “È solo un fastidio, senza empatia. Non sa di lotta, non sa di operai, non evoca battaglie sui salari e ormai neppure sui diritti. È lo spettacolo settimanale di ciò che resta dei sindacati, così lontani dalla realtà da rappresentare solo se stessi, un coriandolo di sigle che si sentono vive certificando in comunicati che nessuno legge il rito civile della protesta. E allora va bene pure così, senza enfasi e senza passione. Solo non chiamatelo «sciopero generale». È un’altra cosa. Non ha nulla delle lotte sacrosante di Giuseppe Di Vittorio. Non ha le piazze di Lama, Carniti, Benvenuto. È pura accademia. È il sindacato per il sindacato. È manierismo. Non a caso la controparte non è più la Confindustria, gli industriali, ma la politica del governo, verso cui ci si oppone a prescindere, per vocazione metafisica. È uno sciopero disossato – sottolinea Macioce - che vive di comunicazione, adesioni mirate e blocchi strategici. Basta vedere come funziona. L’aspetto centrale è l’annuncio: il prossimo venerdì ci sarà uno sciopero. La lista dei motivi si dimentica in fretta. La stragrande maggioranza degli italiani non lo sa. Quello che conta è sapere che sarà una giornata complicata. I milanesi e i romani si organizzano. C’è chi, anche se non coinvolto nella protesta, se ne sta comunque a casa e trova una scusa per non perdere neppure un giorno in busta paga. C’è chi arriva in ritardo e sbuffa con l’alibi già in tasca. Siccome è venerdì c’è pure l’occasione per allungare fino a lunedì. I numeri delle adesioni poi sono importanti fino a un certo punto. L’annuncio è sufficiente a fermare i mezzi pubblici e nell’età dell’automazione servono pochi addetti a bloccare le macchine. Lo sciopero poi si sente soprattutto nelle grandi città, per la provincia e i paesini è un venerdì come un altro. È l’Italia che spesso nessuno vede”.
Carlo Valentini, Italia Oggi
“Giorgia Meloni è riuscita a collocare Raffaele Fitto nel board dell’Ue, sottolineando l’importanza che dev’essere riconosciuta al nostro Paese in ambito europeo”. Lo scrive Carlo Valentini su Italia Oggi sottolineando che “la stessa determinazione dovrebbe essere rivolta verso la Germania, e indirettamente l’Ue, sulla vicenda Unicredit-Commerzbank. Ovvero non è ammissibile che in Italia possano avvenire impunemente acquisti di asset anche strategici (dalla Parmalat alla Fiat) ma quando un’impresa italiana si affaccia all’estero per operazioni importanti venga frenata dalla politica di questo o quel Paese. Com’è avvenuto per Fitto il governo italiano deve difendere, sia a Berlino che a Bruxelles, le strategie internazionali delle nostre imprese. Una parte della politica si è lamentata per l’offerta pubblica di acquisto di Unicredit verso Bpm. In parte questa mossa può essere letta come reazione allo stallo, imposto dalla politica tedesca, all’operazione con Commerzbank che rischia di fare sfumare la creazione di una potente banca europea in grado di competere alla pari con gli istituti americani (e cinesi). L’Italia – osserva Valentini - può giocare, nel credito, un ruolo da protagonista ma a questi livelli serve che la politica faccia il suo dovere e difenda le regole del mercato. Altrimenti bisogna prendere atto dell’incapacità di difendere i nostri diritti con la conseguenza che le banche straniere (dal Crédit Agricole a Bnp Paribas a Deutsche Bank) si rafforzano nel mercato italiano e quelle italiane vengono bloccate al confine. Non a caso l’Unione bancaria, che dovrebbe costituire uno dei pilastri dell’Ue, segna il passo e la reale motivazione è che ci sono Paesi, con in testa la Germania, che non intendono cedere sul protezionismo del proprio sistema. Un chiaro segnale antieuropeo. Di fronte al quale l’Italia non può rimanere impassibile. Nessuno ha battuto ciglio quando Crèdit Agricole s’è rafforzato in Bpm o Bnp Paribas ha scalato Bnl. Lo stesso comportamento è doveroso chiederlo ai tedeschi sull’ingresso di Unicredit in Commerzbank. Sarebbe una sconfitta, non solo per Unicredit, se l’istituto fosse costretto al ritiro e poco importa se con un cospicuo guadagno”.
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