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Disfide pericolose
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 28/11/2024
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Francesco Verderami, Corriere della Sera
“Non c’è nulla di più insidioso per un governo di una baruffa strumentale tra i partiti di governo”. Lo scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera: “E non – osserva l’editorialista - per gli effetti politici che la lite produce ma per i danni che questa miscela corrosiva provoca nel rapporto con l’opinione pubblica. È chiaro che lo scontro dell’altro ieri in maggioranza non mette in discussione la stabilità dell’esecutivo e dell’alleanza, ma comporta intanto la perdita di una piccola quota del credito che i cittadini ripongono in chi è chiamato a risolvere i problemi e non a crearli. Giorgia Meloni è consapevole di questa condizione, primo stadio di una difficoltà che, se non venisse affrontata e risolta rapidamente, causerebbe danni molto più seri. Perché la dinamica del braccio di ferro nel centrodestra esplicita come le relazioni politiche siano prive della solidarietà che dovrebbe invece accomunare forze alleate. È evidente infatti che il taglio di venti euro del canone Rai proposto da Matteo Salvini non fosse la riduzione delle tasse che il Paese si aspetta. Semmai è parso un gesto teso a provocare il fallo di reazione di Forza Italia, perché il tema delle tv ha evocato il conflitto d’interessi e lo ha scaricato sul partito di Silvio Berlusconi sorretto oggi dai suoi eredi. La reazione c’è stata ed è così che si è prodotto il cortocircuito in Parlamento: per la prima volta dopo due anni di governo – sottolinea - Meloni ha visto la sua maggioranza dividersi in un voto. E questi derby, di piccolo o grande cabotaggio a seconda delle opinioni, tolgono energie alla coalizione e distolgono l’attenzione dell’esecutivo dalle prove che lo attendono. Di più. Per Meloni inducono i cittadini a pensare che «ci risiamo», che anche stavolta sia come tutte le altre volte. Perciò la presidente del Consiglio vuole intervenire per non far passare questa tesi che considera una minaccia più di quanto oggi non le appaiano le battaglie dell’opposizione. Ma imporre una linea che sia condivisa dagli alleati vuol dire avere una soluzione che li soddisfi. Senza un accordo che faccia cessare le ostilità interne, i danni maggiori alla lunga li subirebbe Meloni. Ora, non si sa quale forma di compromesso possa offrire la presidente del Consiglio. Di sicuro il modello adottato in Europa si è rivelato vincente. È questo il paradosso per la premier, che fatica in Italia mentre accumula risultati in politica estera”.
Michele Ainis, la Repubblica
“Gli elettori sono stanchi, sfiduciati, disillusi. Uno su due diserta abitualmente il voto. Quasi nessuno crede ancora nei partiti. La politica annoia, non interessa”. Ne parla Michele Ainis su Repubblica chiedendosi però “come si spiega l’alto grado di partecipazione alla Costituente del Movimento 5 Stelle? E come si giustifica l’ondata di firme che sommerge ogni referendum, su qualsivoglia oggetto? Cominciamo da qui, dai 5 Stelle. Ciascuno è libero di pensarla come crede sul loro gradimento, sui loro destini. Ma un dato è certo: il successo dell’operazione che si è conclusa domenica scorsa. Da qui una doppia lezione. Innanzitutto non è vero, non è del tutto vero, che l’apatia abbia sommerso definitivamente la nostra vita pubblica. Non è vero che gli italiani siano ormai rassegnati o peggio indifferenti rispetto al loro destino collettivo. C’è invece, sottotraccia, un’energia, una voglia di decidere. Però dal basso, non sotto dettatura. Dopotutto è questa la differenza tra l’esperimento inaugurato dai 5 Stelle e i vecchi quesiti della piattaforma Rousseau, che cadevano dall’alto senza alcun controllo, con una formulazione che già suggeriva la risposta. Ed è questa – scrive l’editorialista - la differenza tra la democrazia delegata delle consultazioni elettorali e la democrazia diretta dei referendum. Nella prima scegli chi deciderà in tua vece, e anzi non lo scegli, se il suo nome figura in un listino bloccato; nella seconda decidi in prima persona, selezionando le questioni su cui vuoi decidere. C’è però anche un’altra lezione di cui dovremmo far tesoro. Questa: contro l’astensionismo serve il voto online. Come hanno appena fatto i 5 Stelle o i milioni di italiani che sottoscrivono i nuovi referendum. Perché non potremmo anche votare da remoto alle politiche o alle amministrative? Dice: però attenzione ai brogli, alle truffe telematiche. Giusto, ma il rischio sussiste per ciascuna delle operazioni che svolgiamo sulla Rete. Basterà attrezzarsi, usando le risorse della tecnologia contro i pericoli della tecnologia. E sviluppando un’esperienza che non è affatto alle sue prime battute. Ovunque gli esempi si moltiplicano. Invece alle nostre latitudini si moltiplica l’astensionismo elettorale. Tuttavia c’è ancora un popolo che ha voglia di rispondere all’appello. Si tratta soltanto di cambiare gli strumenti con cui lo interpelliamo”.
Chiara Saraceno, La Stampa
Chiara Saraceno sulla Stampa parla dell’’imbroglio’ dell’aumento del finanziamento pubblico ai partiti e si rivolge al Pd: “Spiace – scrive l’editorialista - che anche il Pd sia favorevole all’estensione al 2 per mille del meccanismo in vigore per l’8 per mille, in base al quale anche la quota non destinata dai contribuenti viene distribuita tra le diverse confessioni religiose in proporzione alle scelte della che ne indica la destinazione. Senza entrare in merito al diverso uso che fanno di questi fondi le diverse confessioni religiose, dell'utilità sociale delle iniziative che vengono finanziate, si tratta di un meccanismo molto criticato non solo da persone anticlericali, ma anche da molti fedeli. Perché si tratta di un imbroglio che maschera, sotto il velo della scelta individuale, quello che di fatto è un obbligo collettivo (di chi paga le tasse) al finanziamento pubblico delle (di alcune) confessioni religiose, in cui a decidere quanto ciascuna deve ricevere è una minoranza. Chiedere di applicare questo meccanismo anche al finanziamento dei partiti – sottolinea Saraceno - significa di fatto raddoppiare l'imbroglio nei confronti dei contribuenti, che si vedrebbero non solo costretti, anche contro la loro volontà, a finanziare i partiti, ma a farlo in base alle scelte di una minoranza. Invece di sostenere l'estensione a proprio vantaggio di un meccanismo poco democratico e poco rispettoso delle effettive scelte dei cittadini, il Pd dovrebbe opporsi, e contestualmente adoperarsi per una revisione di almeno questo punto del Concordato con la Chiesa Cattolica e delle successive Intese con le varie confessioni religiose. Non si può ovviare alla diminuzione degli iscritti e dei parlamentari tenuti a versare al partito una quota del proprio stipendio obbligando al finanziamento tutti i contribuenti, ricorrendo a quello che di fatto è un imbroglio. Se si vuole tornare a un finanziamento pubblico, se ne argomentino pubblicamente le ragioni e, se del caso, lo si faccia in modo diretto, senza nascondersi dietro scelte dei contribuenti che sono tali solo apparentemente, o solo per una minoranza. Lo stop del presidente Mattarella all'emendamento sul 2 per mille offre l'opportunità per riflettere meglio e – conclude - per arrivare a proposte più democratiche e rispettose della libertà di scelta circa a che cosa destinare una quota delle proprie imposte”.
“Non c’è nulla di più insidioso per un governo di una baruffa strumentale tra i partiti di governo”. Lo scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera: “E non – osserva l’editorialista - per gli effetti politici che la lite produce ma per i danni che questa miscela corrosiva provoca nel rapporto con l’opinione pubblica. È chiaro che lo scontro dell’altro ieri in maggioranza non mette in discussione la stabilità dell’esecutivo e dell’alleanza, ma comporta intanto la perdita di una piccola quota del credito che i cittadini ripongono in chi è chiamato a risolvere i problemi e non a crearli. Giorgia Meloni è consapevole di questa condizione, primo stadio di una difficoltà che, se non venisse affrontata e risolta rapidamente, causerebbe danni molto più seri. Perché la dinamica del braccio di ferro nel centrodestra esplicita come le relazioni politiche siano prive della solidarietà che dovrebbe invece accomunare forze alleate. È evidente infatti che il taglio di venti euro del canone Rai proposto da Matteo Salvini non fosse la riduzione delle tasse che il Paese si aspetta. Semmai è parso un gesto teso a provocare il fallo di reazione di Forza Italia, perché il tema delle tv ha evocato il conflitto d’interessi e lo ha scaricato sul partito di Silvio Berlusconi sorretto oggi dai suoi eredi. La reazione c’è stata ed è così che si è prodotto il cortocircuito in Parlamento: per la prima volta dopo due anni di governo – sottolinea - Meloni ha visto la sua maggioranza dividersi in un voto. E questi derby, di piccolo o grande cabotaggio a seconda delle opinioni, tolgono energie alla coalizione e distolgono l’attenzione dell’esecutivo dalle prove che lo attendono. Di più. Per Meloni inducono i cittadini a pensare che «ci risiamo», che anche stavolta sia come tutte le altre volte. Perciò la presidente del Consiglio vuole intervenire per non far passare questa tesi che considera una minaccia più di quanto oggi non le appaiano le battaglie dell’opposizione. Ma imporre una linea che sia condivisa dagli alleati vuol dire avere una soluzione che li soddisfi. Senza un accordo che faccia cessare le ostilità interne, i danni maggiori alla lunga li subirebbe Meloni. Ora, non si sa quale forma di compromesso possa offrire la presidente del Consiglio. Di sicuro il modello adottato in Europa si è rivelato vincente. È questo il paradosso per la premier, che fatica in Italia mentre accumula risultati in politica estera”.
Michele Ainis, la Repubblica
“Gli elettori sono stanchi, sfiduciati, disillusi. Uno su due diserta abitualmente il voto. Quasi nessuno crede ancora nei partiti. La politica annoia, non interessa”. Ne parla Michele Ainis su Repubblica chiedendosi però “come si spiega l’alto grado di partecipazione alla Costituente del Movimento 5 Stelle? E come si giustifica l’ondata di firme che sommerge ogni referendum, su qualsivoglia oggetto? Cominciamo da qui, dai 5 Stelle. Ciascuno è libero di pensarla come crede sul loro gradimento, sui loro destini. Ma un dato è certo: il successo dell’operazione che si è conclusa domenica scorsa. Da qui una doppia lezione. Innanzitutto non è vero, non è del tutto vero, che l’apatia abbia sommerso definitivamente la nostra vita pubblica. Non è vero che gli italiani siano ormai rassegnati o peggio indifferenti rispetto al loro destino collettivo. C’è invece, sottotraccia, un’energia, una voglia di decidere. Però dal basso, non sotto dettatura. Dopotutto è questa la differenza tra l’esperimento inaugurato dai 5 Stelle e i vecchi quesiti della piattaforma Rousseau, che cadevano dall’alto senza alcun controllo, con una formulazione che già suggeriva la risposta. Ed è questa – scrive l’editorialista - la differenza tra la democrazia delegata delle consultazioni elettorali e la democrazia diretta dei referendum. Nella prima scegli chi deciderà in tua vece, e anzi non lo scegli, se il suo nome figura in un listino bloccato; nella seconda decidi in prima persona, selezionando le questioni su cui vuoi decidere. C’è però anche un’altra lezione di cui dovremmo far tesoro. Questa: contro l’astensionismo serve il voto online. Come hanno appena fatto i 5 Stelle o i milioni di italiani che sottoscrivono i nuovi referendum. Perché non potremmo anche votare da remoto alle politiche o alle amministrative? Dice: però attenzione ai brogli, alle truffe telematiche. Giusto, ma il rischio sussiste per ciascuna delle operazioni che svolgiamo sulla Rete. Basterà attrezzarsi, usando le risorse della tecnologia contro i pericoli della tecnologia. E sviluppando un’esperienza che non è affatto alle sue prime battute. Ovunque gli esempi si moltiplicano. Invece alle nostre latitudini si moltiplica l’astensionismo elettorale. Tuttavia c’è ancora un popolo che ha voglia di rispondere all’appello. Si tratta soltanto di cambiare gli strumenti con cui lo interpelliamo”.
Chiara Saraceno, La Stampa
Chiara Saraceno sulla Stampa parla dell’’imbroglio’ dell’aumento del finanziamento pubblico ai partiti e si rivolge al Pd: “Spiace – scrive l’editorialista - che anche il Pd sia favorevole all’estensione al 2 per mille del meccanismo in vigore per l’8 per mille, in base al quale anche la quota non destinata dai contribuenti viene distribuita tra le diverse confessioni religiose in proporzione alle scelte della che ne indica la destinazione. Senza entrare in merito al diverso uso che fanno di questi fondi le diverse confessioni religiose, dell'utilità sociale delle iniziative che vengono finanziate, si tratta di un meccanismo molto criticato non solo da persone anticlericali, ma anche da molti fedeli. Perché si tratta di un imbroglio che maschera, sotto il velo della scelta individuale, quello che di fatto è un obbligo collettivo (di chi paga le tasse) al finanziamento pubblico delle (di alcune) confessioni religiose, in cui a decidere quanto ciascuna deve ricevere è una minoranza. Chiedere di applicare questo meccanismo anche al finanziamento dei partiti – sottolinea Saraceno - significa di fatto raddoppiare l'imbroglio nei confronti dei contribuenti, che si vedrebbero non solo costretti, anche contro la loro volontà, a finanziare i partiti, ma a farlo in base alle scelte di una minoranza. Invece di sostenere l'estensione a proprio vantaggio di un meccanismo poco democratico e poco rispettoso delle effettive scelte dei cittadini, il Pd dovrebbe opporsi, e contestualmente adoperarsi per una revisione di almeno questo punto del Concordato con la Chiesa Cattolica e delle successive Intese con le varie confessioni religiose. Non si può ovviare alla diminuzione degli iscritti e dei parlamentari tenuti a versare al partito una quota del proprio stipendio obbligando al finanziamento tutti i contribuenti, ricorrendo a quello che di fatto è un imbroglio. Se si vuole tornare a un finanziamento pubblico, se ne argomentino pubblicamente le ragioni e, se del caso, lo si faccia in modo diretto, senza nascondersi dietro scelte dei contribuenti che sono tali solo apparentemente, o solo per una minoranza. Lo stop del presidente Mattarella all'emendamento sul 2 per mille offre l'opportunità per riflettere meglio e – conclude - per arrivare a proposte più democratiche e rispettose della libertà di scelta circa a che cosa destinare una quota delle proprie imposte”.
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