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Uno strappo che lascia il segno
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 28/11/2024
Uno strappo che lascia il segno
Stefano Cappellini, Repubblica
Su Repubblica Stefano Cappellini commenta lo strappo di ieri di Forza Italia che, votando insieme alle opposizioni, ha affossato un emendamento della Lega, su cui il governo aveva dato parere favorevole, per abbassare il canone Rai. “Non bisogna mai sottovalutare il momento in cui un partito di maggioranza decide di votare in Parlamento contro il governo di cui fa parte – scrive Cappellini -. Per quanto il dissenso riguardi una questione specifica, e certo il governo non sta per cadere, il guaio è serio. Fin qui il governo Meloni ha spesso nascosto i numerosi dissensi interni alla sua coalizione con l’argomento che nessuna contesa è mai sfociata in una spaccatura parlamentare. Da oggi l’obiezione non è più spendibile. Ciò che è peggio, per Meloni, è che la scelta del partito di Tajani diventa un precedente: sulle future diatribe è difficile che il partito fuori linea rinunci a esprimere in aula il proprio dissenso. Per una maggioranza che dall’inizio della legislatura campa di baratti, rischia di essere più che una complicazione: può essere l’inizio di una dissoluzione. Sarebbe infatti miope pensare che dietro questo inciampo parlamentare ci sia solo uno scontro di interessi, che pure è evidente nella scelta di FI. L’esperienza insegna che gli interessi possono sempre comporsi. Più arduo, alla lunga, è mettere insieme traiettorie politiche così distanti. Come si può pensare che resti ininfluente la divisione dei partiti italiani di centrodestra sulla nuova Commissione Ue? Come può essere marginale il fatto che su Ucraina e Medio Oriente il governo italiano parli con voci così diverse? La mossa di Forza Italia potrebbe aprire una fase diversa nella quale i limiti e le contraddizioni del governo, anziché svaporare nella cappa del potere, si condensano nell’aria fino a renderla irrespirabile. Succede che i governi sopravvivano alla loro consunzione, specie quando non c’è un’alternativa pronta o credibile. Questo non significa che siano vivi”.
Flavia Perina, La Stampa
Anche Flavia Perina, sulla Stampa, analizza la zuffa di ieri tra Forza Italia e Lega, attribuendone la causa al successo della leadership di Giorgia Meloni. “Meloni ha salvato due partiti esausti, uno stremato dalla scomparsa del fondatore e dalla perdita di ogni spinta propulsiva, l’altro affondato dalle mattane della stagione felpa&Papeete. Restituendo a Lega e FI ministeri e incarichi ha evitato in extremis che sprofondassero nell’irrilevanza. E forse proprio qui va cercato il nocciolo della faccenda, oltre le Regionali, l’Autonomia, i terzi mandati, oltre Marina Berlusconi o la potenziale, nuova concorrenza dei Moderati di Maurizio Lupi. Nell’incapacità di Salvini e Tajani di giocare da comprimari una partita che avevano interpretato come l’avvio di una rivincita anche personale. Salvini era abituato a considerare Meloni un’imitatrice e un’inseguitrice con cui competere e trionfare sul terreno a lui più favorevole: estremismo, sovranismo, cattivismo. Vittoria facile, pensava. Ora se la ritrova da un’altra parte, alleata di ferro di Ursula von der Leyen, interlocutrice dei Popolari, paladina degli equilibri di bilancio, e per di più ancora solida nel consenso. Anche Tajani confidava in quel tipo di competizione e si sentiva al sicuro come ago europeo della bilancia. L’uomo che poteva parlare al Ppe, il garante della destra, il mediatore principe. A Bruxelles era l’unico di casa, sei lustri eurodeputato, due volte Commissario, poi presidente del Parlamento. È stato scavalcato da una premier che ha trovato vie di dialogo dirette e per di più ha incoronato plenipotenziario Raffaele Fitto, ex-delfino di Silvio Berlusconi. Il cambio di passo di Meloni sull’Europa, sui bilanci, su tutto – conclude Perina -, ha tolto a entrambi gli alleati il ruolo che avevano immaginato per se stessi. Con lei non possono litigare, non ne hanno la forza. Così litigano tra loro, un modo come un altro per dire: ricordatevi di noi”.
Ernesto Galli della Loggia, Corriere della sera
"Se in Italia si va in piazza sotto le insegne delle mani insanguinate, se si dà fuoco a fantocci raffiguranti questo o quel ministro, se queste cose accadono ma non suscitano alcuna decisa condanna da parte dei partiti dell’opposizione, questo è forse qualcosa di più di un episodio. E se poi capita di ascoltare un ministro della Repubblica compiacersi per la morte di uno sciagurato, o affibbiare uno stigma offensivo come «zecche rosse» ai suoi concittadini, allora è evidente che nella nostra democrazia c’è qualcosa che non va". Lo scrive sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia. “Questa sorta di male oscuro – osserva - è il modo in cui in Italia s’intende la politica e il relativo dibattito pubblico. All’insegna dell’insofferenza infastidita per qualunque cosa dica l’avversario, del sospetto di malafede abitualmente insinuato sul suo conto, della negazione sistematica di qualunque sua affermazione. Ne è uno specchio perfetto quel simil-parlamento che sono i talk televisivi. Dove la regola è la smaccata partigianeria del cosiddetto moderatore e della composizione del panel degli «ospiti», dove nessuno dei politici risponde mai a domande e obiezioni rivoltegli, dove lo sport preferito da ognuno è perlopiù parlar d’altro. Esiste un ovvio rapporto tra questo modo di «dire» e di «parlare» la politica da parte della grande maggioranza degli addetti ai lavori e il modo di «vivere» e di «agire» la medesima nelle piazze. È il modo che non mette mai al centro il «come» ma il «chi»; che non sa essere a favore di «qualcosa» ma sempre, unicamente, appassionatamente, contro «qualcuno». L’educazione politica del Paese è avvenuta in questo modo, con questi modelli. È avvenuta sotto la coltre spessissima della delegittimazione e di un crescente vuoto d’idee. La violenza delle piazze e la rissa delle serate televisive servono a riempire un tale vuoto”.
Su Repubblica Stefano Cappellini commenta lo strappo di ieri di Forza Italia che, votando insieme alle opposizioni, ha affossato un emendamento della Lega, su cui il governo aveva dato parere favorevole, per abbassare il canone Rai. “Non bisogna mai sottovalutare il momento in cui un partito di maggioranza decide di votare in Parlamento contro il governo di cui fa parte – scrive Cappellini -. Per quanto il dissenso riguardi una questione specifica, e certo il governo non sta per cadere, il guaio è serio. Fin qui il governo Meloni ha spesso nascosto i numerosi dissensi interni alla sua coalizione con l’argomento che nessuna contesa è mai sfociata in una spaccatura parlamentare. Da oggi l’obiezione non è più spendibile. Ciò che è peggio, per Meloni, è che la scelta del partito di Tajani diventa un precedente: sulle future diatribe è difficile che il partito fuori linea rinunci a esprimere in aula il proprio dissenso. Per una maggioranza che dall’inizio della legislatura campa di baratti, rischia di essere più che una complicazione: può essere l’inizio di una dissoluzione. Sarebbe infatti miope pensare che dietro questo inciampo parlamentare ci sia solo uno scontro di interessi, che pure è evidente nella scelta di FI. L’esperienza insegna che gli interessi possono sempre comporsi. Più arduo, alla lunga, è mettere insieme traiettorie politiche così distanti. Come si può pensare che resti ininfluente la divisione dei partiti italiani di centrodestra sulla nuova Commissione Ue? Come può essere marginale il fatto che su Ucraina e Medio Oriente il governo italiano parli con voci così diverse? La mossa di Forza Italia potrebbe aprire una fase diversa nella quale i limiti e le contraddizioni del governo, anziché svaporare nella cappa del potere, si condensano nell’aria fino a renderla irrespirabile. Succede che i governi sopravvivano alla loro consunzione, specie quando non c’è un’alternativa pronta o credibile. Questo non significa che siano vivi”.
Flavia Perina, La Stampa
Anche Flavia Perina, sulla Stampa, analizza la zuffa di ieri tra Forza Italia e Lega, attribuendone la causa al successo della leadership di Giorgia Meloni. “Meloni ha salvato due partiti esausti, uno stremato dalla scomparsa del fondatore e dalla perdita di ogni spinta propulsiva, l’altro affondato dalle mattane della stagione felpa&Papeete. Restituendo a Lega e FI ministeri e incarichi ha evitato in extremis che sprofondassero nell’irrilevanza. E forse proprio qui va cercato il nocciolo della faccenda, oltre le Regionali, l’Autonomia, i terzi mandati, oltre Marina Berlusconi o la potenziale, nuova concorrenza dei Moderati di Maurizio Lupi. Nell’incapacità di Salvini e Tajani di giocare da comprimari una partita che avevano interpretato come l’avvio di una rivincita anche personale. Salvini era abituato a considerare Meloni un’imitatrice e un’inseguitrice con cui competere e trionfare sul terreno a lui più favorevole: estremismo, sovranismo, cattivismo. Vittoria facile, pensava. Ora se la ritrova da un’altra parte, alleata di ferro di Ursula von der Leyen, interlocutrice dei Popolari, paladina degli equilibri di bilancio, e per di più ancora solida nel consenso. Anche Tajani confidava in quel tipo di competizione e si sentiva al sicuro come ago europeo della bilancia. L’uomo che poteva parlare al Ppe, il garante della destra, il mediatore principe. A Bruxelles era l’unico di casa, sei lustri eurodeputato, due volte Commissario, poi presidente del Parlamento. È stato scavalcato da una premier che ha trovato vie di dialogo dirette e per di più ha incoronato plenipotenziario Raffaele Fitto, ex-delfino di Silvio Berlusconi. Il cambio di passo di Meloni sull’Europa, sui bilanci, su tutto – conclude Perina -, ha tolto a entrambi gli alleati il ruolo che avevano immaginato per se stessi. Con lei non possono litigare, non ne hanno la forza. Così litigano tra loro, un modo come un altro per dire: ricordatevi di noi”.
Ernesto Galli della Loggia, Corriere della sera
"Se in Italia si va in piazza sotto le insegne delle mani insanguinate, se si dà fuoco a fantocci raffiguranti questo o quel ministro, se queste cose accadono ma non suscitano alcuna decisa condanna da parte dei partiti dell’opposizione, questo è forse qualcosa di più di un episodio. E se poi capita di ascoltare un ministro della Repubblica compiacersi per la morte di uno sciagurato, o affibbiare uno stigma offensivo come «zecche rosse» ai suoi concittadini, allora è evidente che nella nostra democrazia c’è qualcosa che non va". Lo scrive sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia. “Questa sorta di male oscuro – osserva - è il modo in cui in Italia s’intende la politica e il relativo dibattito pubblico. All’insegna dell’insofferenza infastidita per qualunque cosa dica l’avversario, del sospetto di malafede abitualmente insinuato sul suo conto, della negazione sistematica di qualunque sua affermazione. Ne è uno specchio perfetto quel simil-parlamento che sono i talk televisivi. Dove la regola è la smaccata partigianeria del cosiddetto moderatore e della composizione del panel degli «ospiti», dove nessuno dei politici risponde mai a domande e obiezioni rivoltegli, dove lo sport preferito da ognuno è perlopiù parlar d’altro. Esiste un ovvio rapporto tra questo modo di «dire» e di «parlare» la politica da parte della grande maggioranza degli addetti ai lavori e il modo di «vivere» e di «agire» la medesima nelle piazze. È il modo che non mette mai al centro il «come» ma il «chi»; che non sa essere a favore di «qualcosa» ma sempre, unicamente, appassionatamente, contro «qualcuno». L’educazione politica del Paese è avvenuta in questo modo, con questi modelli. È avvenuta sotto la coltre spessissima della delegittimazione e di un crescente vuoto d’idee. La violenza delle piazze e la rissa delle serate televisive servono a riempire un tale vuoto”.
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