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Se il Golden Power è come il parmigiano reggiano
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 27/11/2024
Se il Golden Power è come il parmigiano reggiano
Ferruccio De Bortoli, Corriere della Sera
L’Offerta di pubblico scambio di Unicredit su Banco Bpm sarà anche temeraria e poco generosa (toccherà semmai alzarla) ma dimostra che le banche italiane sono in salute. Persino troppa a giudicare da come vengono trattati e poco remunerati i correntisti. Andrea Orcel, amministratore delegato della banca milanese, ha mostrato coraggio e competenza. Le stesse qualità messe in luce da Giuseppe Castagna nel muoversi, con il suo Banco Bpm, su Anima, gestione del risparmio, e Monte Paschi. Anche per tentare di contrastare le mire italiane di Crédit Agricole. È giusto che il governo abbia favorito la creazione di un nocciolo nazionale per il risanato Monte dei Paschi, ma le forze di maggioranza, e in particolare la Lega, devono guardarsi dal ripetere un errore storico del Pd: quello di creare una “gemellanza siamese”, usiamo un termine caro a Raffaele Mattioli, tra un partito e un istituto di credito. Porta male a entrambi. Dunque, lasciate fare al mercato, nel rispetto ovviamente delle regole, come correttamente nota Daniele Manca sul Corriere. Quando Intesa si prese Ubi non disse niente nessuno. Unicredit è, a dispetto dei timori di Salvini, una banca italiana. Se la consideriamo straniera noi, avrà buon gioco la Germania nel mettersi di traverso nell’operazione Commerzbank, se mai andrà avanti. Ed è inopportuno ipotizzare, come ha fatto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, l’uso del golden power, cioè l’autorizzazione governativa per acquisizioni dall’estero. In linea teorica, come conferma il giurista Luca Picotti, la misura è applicabile a tutti i soggetti appartenenti all’Unione europea «ivi compresi quelli residenti in Italia». Ma sarebbe politicamente non solo dannoso e autolesionista, ma persino ridicolo. Ormai il golden power che dovrebbe proteggere attività strategiche, nella difesa e nell’alta tecnologia, soprattutto da mire cinesi o russe, è come il parmigiano reggiano. Si può mettere su tutto. Anche sulla compravendita del negozio sotto casa.
Maurizio Molinari, La Repubblica
Su Repubblica Maurizio Molinari commenta l’intesa sul cessate il fuoco raggiunta da Israele e Hezbollah in Libano. Intesa – precaria e vulnerabile – frutto dell’azione congiunta dei presidenti americani Joe Biden e Donald Trump, il cui intento è innescare un effetto-domino in Medio Oriente per arrivare ad un accordo per far tacere le armi anche nella Striscia di Gaza, basata sulla liberazione di tutti gli ostaggi da parte di Hamas entro il 20 gennaio 2025, quando si insedierà la nuova amministrazione Usa. A 418 giorni dal 7 ottobre 2023, quando Hamas aggredì Israele innescando un feroce conflitto regionale, la tregua di 60 giorni nasce dalla sovrapposizione fra l’effetto-Trump e la mediazione dei negoziatori di Biden. Decisioni e parole del presidente eletto hanno fatto comprendere a Teheran — regista e protettore di Hamas e Hezbollah — che è in arrivo una resa dei conti con Washington. E Teheran, memore del pesante prezzo economico che pagò al primo mandato di Trump, ha fatto una concessione: accettando di slegare il fronte del Libano del Sud da quello di Gaza. Come riassume Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale Usa in pectore, “se tutti vengono al tavolo è grazie al presidente Trump”. La svolta avvenuta è evidente. Il defunto leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, entrò in guerra contro Israele l’8 ottobre 2023 con una pioggia di razzi e droni che da allora non si è mai interrotta, promettendo di tenere sempre legati e aperti i due fronti perché questa era la strategia del “cerchio di fuoco” degli ayatollah di Teheran, tesa a strangolare l’“Entità sionista”. Ma ora Nasrallah non c’è più, i suoi comandanti sono stati in gran parte eliminati, Hezbollah è molto indebolito e Teheran accetta il passo all’indietro. Anche se è solo tattico perché il fine vero è riorganizzare la sfida militare a Israele, riarmare il “Partito di Dio” in Libano e, forse, anche accelerare il programma nucleare, per potersi mettere al tavolo con Trump con più carte da giocare.
Jonathan Bazzi, La Stampa
Ragazzi, adolescenti, alcuni ancora bambini. Incappucciati, armati, decisi a sfasciare tutto. Molti di seconda generazione, ma non solo: a Milano – commenta sulla Stampa Jonathan Bazzi – il quartiere Corvetto brucia di rabbia, per la seconda notte le strade si affollano d’un centinaio di giovanissimi. Chiedono giustizia per l’amico - Ramy Elgaml, 19 anni - morto nella fuga dai carabinieri, e lo fanno con la lingua che conoscono, quella dello scontro e dello sfogo che sfonda vetri e appicca incendi. Sbagliando tutto, ma sbagliare è pur sempre un modo di esistere. I residenti sono terrorizzati, la polizia chiama rinforzi da Roma, si temono infiltrazioni dei gruppi anarchici. Il paragone facile è con le banlieue francesi, ma a stupirsi può essere solo chi ignora l’evoluzione della città in questi ultimi anni, la frenesia immobiliarista, i margini di cui ci si ricorda solo a parole. Mentre Milano cresceva sempre di più, svettante di grattacieli e ambizioni ben poco inclusive, la periferia è diventata un accessorio retorico buono per imbastire estetiche gentrificate, operazioni di cosmesi sociale, e supportare il grande sogno della città attrattiva. La tensione centro-periferie, interne ed esterne, a Milano continua a esasperarsi: all’ombra dei progetti architettonici multimilionari, che hanno reso maestoso lo skyline urbano, cova incandescente il disagio di chi non può prendere parte a nulla di ciò che rende luminosa, dall’esterno, la reputazione di questa città. Serviva un innesco, un simbolo, ed è arrivato con il volto di un ragazzo morto in circostanze ancora tutte da accertare. Forse la situazione rientrerà, forse è l’inizio di qualcosa destinato a ripetersi. Mentre le fake news su TikTok - «l’hanno fatto cadere apposta», «ecco il video dell’incidente» - circolano a fomentare la folla, le destre si affrettano a strumentalizzare, al solito, tutto. Milano ha bisogno di prendersi cura delle sue disuguaglianze, di ridistribuzione, non di essere militarizzata, conclude Bazzi. I fatti di queste ore lo dimostrano: puntare sull’esasperazione del conflitto rischia di mandare fuori controllo la situazione, e certo non solo al Corvetto. Perché il destino delle periferie, in realtà, ricade a cascata su tutti.
L’Offerta di pubblico scambio di Unicredit su Banco Bpm sarà anche temeraria e poco generosa (toccherà semmai alzarla) ma dimostra che le banche italiane sono in salute. Persino troppa a giudicare da come vengono trattati e poco remunerati i correntisti. Andrea Orcel, amministratore delegato della banca milanese, ha mostrato coraggio e competenza. Le stesse qualità messe in luce da Giuseppe Castagna nel muoversi, con il suo Banco Bpm, su Anima, gestione del risparmio, e Monte Paschi. Anche per tentare di contrastare le mire italiane di Crédit Agricole. È giusto che il governo abbia favorito la creazione di un nocciolo nazionale per il risanato Monte dei Paschi, ma le forze di maggioranza, e in particolare la Lega, devono guardarsi dal ripetere un errore storico del Pd: quello di creare una “gemellanza siamese”, usiamo un termine caro a Raffaele Mattioli, tra un partito e un istituto di credito. Porta male a entrambi. Dunque, lasciate fare al mercato, nel rispetto ovviamente delle regole, come correttamente nota Daniele Manca sul Corriere. Quando Intesa si prese Ubi non disse niente nessuno. Unicredit è, a dispetto dei timori di Salvini, una banca italiana. Se la consideriamo straniera noi, avrà buon gioco la Germania nel mettersi di traverso nell’operazione Commerzbank, se mai andrà avanti. Ed è inopportuno ipotizzare, come ha fatto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, l’uso del golden power, cioè l’autorizzazione governativa per acquisizioni dall’estero. In linea teorica, come conferma il giurista Luca Picotti, la misura è applicabile a tutti i soggetti appartenenti all’Unione europea «ivi compresi quelli residenti in Italia». Ma sarebbe politicamente non solo dannoso e autolesionista, ma persino ridicolo. Ormai il golden power che dovrebbe proteggere attività strategiche, nella difesa e nell’alta tecnologia, soprattutto da mire cinesi o russe, è come il parmigiano reggiano. Si può mettere su tutto. Anche sulla compravendita del negozio sotto casa.
Maurizio Molinari, La Repubblica
Su Repubblica Maurizio Molinari commenta l’intesa sul cessate il fuoco raggiunta da Israele e Hezbollah in Libano. Intesa – precaria e vulnerabile – frutto dell’azione congiunta dei presidenti americani Joe Biden e Donald Trump, il cui intento è innescare un effetto-domino in Medio Oriente per arrivare ad un accordo per far tacere le armi anche nella Striscia di Gaza, basata sulla liberazione di tutti gli ostaggi da parte di Hamas entro il 20 gennaio 2025, quando si insedierà la nuova amministrazione Usa. A 418 giorni dal 7 ottobre 2023, quando Hamas aggredì Israele innescando un feroce conflitto regionale, la tregua di 60 giorni nasce dalla sovrapposizione fra l’effetto-Trump e la mediazione dei negoziatori di Biden. Decisioni e parole del presidente eletto hanno fatto comprendere a Teheran — regista e protettore di Hamas e Hezbollah — che è in arrivo una resa dei conti con Washington. E Teheran, memore del pesante prezzo economico che pagò al primo mandato di Trump, ha fatto una concessione: accettando di slegare il fronte del Libano del Sud da quello di Gaza. Come riassume Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale Usa in pectore, “se tutti vengono al tavolo è grazie al presidente Trump”. La svolta avvenuta è evidente. Il defunto leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, entrò in guerra contro Israele l’8 ottobre 2023 con una pioggia di razzi e droni che da allora non si è mai interrotta, promettendo di tenere sempre legati e aperti i due fronti perché questa era la strategia del “cerchio di fuoco” degli ayatollah di Teheran, tesa a strangolare l’“Entità sionista”. Ma ora Nasrallah non c’è più, i suoi comandanti sono stati in gran parte eliminati, Hezbollah è molto indebolito e Teheran accetta il passo all’indietro. Anche se è solo tattico perché il fine vero è riorganizzare la sfida militare a Israele, riarmare il “Partito di Dio” in Libano e, forse, anche accelerare il programma nucleare, per potersi mettere al tavolo con Trump con più carte da giocare.
Jonathan Bazzi, La Stampa
Ragazzi, adolescenti, alcuni ancora bambini. Incappucciati, armati, decisi a sfasciare tutto. Molti di seconda generazione, ma non solo: a Milano – commenta sulla Stampa Jonathan Bazzi – il quartiere Corvetto brucia di rabbia, per la seconda notte le strade si affollano d’un centinaio di giovanissimi. Chiedono giustizia per l’amico - Ramy Elgaml, 19 anni - morto nella fuga dai carabinieri, e lo fanno con la lingua che conoscono, quella dello scontro e dello sfogo che sfonda vetri e appicca incendi. Sbagliando tutto, ma sbagliare è pur sempre un modo di esistere. I residenti sono terrorizzati, la polizia chiama rinforzi da Roma, si temono infiltrazioni dei gruppi anarchici. Il paragone facile è con le banlieue francesi, ma a stupirsi può essere solo chi ignora l’evoluzione della città in questi ultimi anni, la frenesia immobiliarista, i margini di cui ci si ricorda solo a parole. Mentre Milano cresceva sempre di più, svettante di grattacieli e ambizioni ben poco inclusive, la periferia è diventata un accessorio retorico buono per imbastire estetiche gentrificate, operazioni di cosmesi sociale, e supportare il grande sogno della città attrattiva. La tensione centro-periferie, interne ed esterne, a Milano continua a esasperarsi: all’ombra dei progetti architettonici multimilionari, che hanno reso maestoso lo skyline urbano, cova incandescente il disagio di chi non può prendere parte a nulla di ciò che rende luminosa, dall’esterno, la reputazione di questa città. Serviva un innesco, un simbolo, ed è arrivato con il volto di un ragazzo morto in circostanze ancora tutte da accertare. Forse la situazione rientrerà, forse è l’inizio di qualcosa destinato a ripetersi. Mentre le fake news su TikTok - «l’hanno fatto cadere apposta», «ecco il video dell’incidente» - circolano a fomentare la folla, le destre si affrettano a strumentalizzare, al solito, tutto. Milano ha bisogno di prendersi cura delle sue disuguaglianze, di ridistribuzione, non di essere militarizzata, conclude Bazzi. I fatti di queste ore lo dimostrano: puntare sull’esasperazione del conflitto rischia di mandare fuori controllo la situazione, e certo non solo al Corvetto. Perché il destino delle periferie, in realtà, ricade a cascata su tutti.
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