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Richard Gowan "La Corte dell'Aja limiterà i movimenti del leader. Ma Israele sarà più duro"

Francesco Semprini, La Stampa, 23 novembre

Redazione InPiù 24/11/2024

Richard Gowan Richard Gowan "La Corte dell'Aja limiterà i movimenti del leader. Ma Israele sarà più duro" "La decisione della Corte penale `internazionale limita la libertà di movimento di Benjamin Netanyahu, ma lui e il suo governo si sentono rafforzati dal punto di vista interno e raddoppieranno gli sforzi nelle operazioni militari israeliane». A dirlo, in una intervista alla Stampa di Francesco Semprini sabato 23 novembre, è Richard Gowan, esperto dell'International Crisis Group e tra i massimi conoscitori del sistema dell'Onu e delle missioni di pace, oltre che di sicurezza e prevenzione dei conflitti. Secondo Gowan, nonostante tutto, la permanenza di Unifil in Libano «è l'ultima opportunità politica per l'Europa di avere voce sul conflitto tra Stato ebraico ed Hezbollah e, più in generale, nel grande gioco mediorientale». Cosa pensa del pronunciamento dell'Aj a? «Benjamin Netanyahu e la sua squadra di governo sembrano spesso trarre linfa vitale e forte motivazione dalle critiche degli organismi multilaterali e delle corti internazionali. Temo che il premier israeliano si limiterà a respingere l'accusa e raddoppierà gli sforzi nelle operazioni militari». Dal punto di vista internazionale? «Questa mossa ha fatto andare su tutte le furie al contempo l'amministrazione di Joe Biden e la nuova amministrazione di Donald Trump che, probabilmente, la userà come base per imporre sanzioni ai funzionari della Cpi e indebolire i finanziamenti al più ampio sistema delle Nazioni Unite. Il mandato significa che la libertà di movimento del premier Netanyahu a livello globale è limitata. Non farà viaggi in Europa o America Latina a breve. Ma sarà comunque il benvenuto negli Stati Uniti». Cosa pensa degli attacchi ai militari (italiani) di Unifil? «Unifil ha dimostrato coerenza e coraggio nel non indietreggiare e lasciare i contingenti al loro posto, l'Onu ritiene che un richiamo della missione significherebbe minimizzare il focus e l'attenzione internazionale sulla situazione nel Libano meridionale, creerebbe spazio per manovre su larga scala da parte dello Stato ebraico e favorirebbe un conflitto aperto con Hezbollah con conseguenze umanitarie pesanti. In ultima istanza potrebbe scatenare una guerra civile in seno al Paese dei cedri». Perché i governi non dovrebbero ritirare i loro soldati? «La missione Unifil è l'ultima opportunità politica per l'Europa di avere ancora un ruolo nel Libano meridionale e più in generale nel grande gioco mediorientale. Se Unifil se ne dovesse andare l'Ue non avrebbero più voce in capitolo». Quindi il ritorno vale il rischio? «Nessuno sa di preciso cosa potrebbe accadere se uno o più caschi blu dovessero morire nel corso di questi scambi di fuoco, ci auguriamo che ciò non accada, ma non lo possiamo escludere. Credo che entrambe le parti abbiano chiaro in mente che un conto è intimidire un conto è uccidere un militare di Unifil Se dovesse accadere qualcuno potrebbe dire di averne abbastanza e procedere al richiamo dei propri militari dalla missione. Occorre anche fare i conti con le insidie assai pronunciate insite in un ritiro, data la situazione precaria nell'area imporrebbe una movimentazione rischiosa di uomini e mezzi. Ne potrebbe conseguire una escalation, Israele potrebbe colpire di nuovo, più o meno per errore, come fatto in passato, ed Hezbollah approfittarne di nuovo, magari prendendo in ostaggio alcuni peacekeeper». Se c'erano difficoltà a dare attuazione al mandato in tempo di pace figuriamoci in guerra. Rimanere quindi in quale ruolo? «Senza dubbio in questo momento il ruolo di Unifil è molto ridotto rispetto a quello previsto nella risoluzione 1701 del 2006, quindi principalmente rimanere per osservare e riportare al Palazzo di Vetro. Dal punto di vista israeliano, al momento, l'unica forma di sicurezza su cui contano è quella stabilita con la loro superiorità militare e del resto l'efficienza con cui hanno portato a compimento le loro sortite dimostra come stessero lavorando da tempo a questo piano. La presenza della missione, però, è ancora una minima garanzia e gli attacchi originati, dall'una e dall'altra parte, ne sono la conferma». Non ci sono alternative? «È chiaro che Israele e altri attori abbiano perso fiducia nella missione Unifil, ma è anche vero che è altamente improbabile trovare una soluzione diversa da Unifil Qualcuno ha invocato il "modello Kosovo", ma dobbiamo ricordare che lì gran parte del lavoro è stato fatto dalla missione Nato (Kfor). E la Nato non invierà certo truppe al confine tra Israele e Libano, già è complicato attuare un'operazione di "peacekeeping" figuriamoci una di "peace enforcing"». Cosa pensa del piano del cessate il fuoco? «Occorre capire quante garanzie il governo libanese, che è debole, potrà dare in termini di osservazione delle misure imposte nei confronti di Hezbollah, a partire dal ritiro al di sopra del fiume Litani. Si tratta di una condizione essenziale della bozza di accordo e deve essere tutelata e garantita Unifil, comunque, avrà un ruolo, sebbene a distanza di 18 anni dalla risoluzione 1701 possiamo dire che l'intento di utili77are la missione Onu per normalizzare i rapporti di forza tra Israele e Libano si è rivelato non proprio realistico». Quindi qualcosa dovrebbe essere cambiato, ma cosa? «Basterebbe una reale attuazione della 1701.11 Consiglio di sicurezza potrebbe ragionare sul mandato per fare chiarezza sul limite fino a cui Unifil si può spingere per contenere Hezbollah. Si può altresì rafforzare la missione con la fornitura di materiale militare suppletivo, o ampliare la forza sebbene non ritengo ci sia la volontà politica di voler allargare la missione sul campo. Non credo che Italia, Spagna o Francia vogliano trovarsi immischiate in un altro Afghanistan o in un altro Iraq. In realtà, non credo che al momento nessuno abbia chiaro in mente cosa fare o non fare per cambiare lo status quo della missione».
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