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Controlli e poteri
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 05/11/2024
In edicola
Federico Rampini, Corriere della Sera
“L’America non elegge un dittatore per quattro anni. I poteri della presidenza sono limitati dai «checks and balance», controlli e bilanciamenti”. Ne parla Federico Rampini sul Corriere della Sera ricordando che “il primo di questi contropoteri è il ramo legislativo, anch’esso rinnovato in questo Election Day. Si è votato per l’intera Camera e un terzo del Senato, oltre che per numerose cariche locali e referendum. Il Congresso è essenziale per le politiche economiche in senso lato. Qualunque legge che comporti nuove tasse o spese, deve ottenere l’approvazione delle Camere. Questo vale anche per grandi riforme, dalla sanità all’immigrazione, che hanno un contenuto economico. Politica estera e difesa sono prerogative della Casa Bianca; anche in questo caso però il sostegno del Congresso diventa indispensabile non appena occorrono nuovi stanziamenti. Nel caso in cui uno dei rami del Congresso, o tutti e due, abbiano una maggioranza diversa da quella che ha eletto il presidente, si parla di «divided government». Lo scenario di un governo diviso o condiviso – spiega l’editorialista - si applica anche a prescindere da una vittoria dell’opposizione in uno dei rami del Congresso. Al Senato vige la regola del «filibuster», il diritto all’ostruzionismo illimitato, che può essere bloccato solo da una maggioranza qualificata di sessanta senatori su cento. Da tempo nessun partito ha superato la soglia dei sessanta, quindi al Senato la ricerca di un compromesso con l’opposizione è stata la regola durante varie legislature. Questo fattore di moderazione, regolarmente irrita il partito di maggioranza. L’insofferenza verso i «checks and balance» è vecchia quanto la Repubblica americana. Soprattutto in tempi moderni, da quando l’America è diventata la più grande economia del pianeta e poi una superpotenza militare, il potere esecutivo ha ritenuto di aver bisogno di una libertà di manovra maggiore. La scorciatoia dei decreti ha un’efficacia limitata: un presidente può emanarli con una firma, allo stesso modo il suo successore può abrogarli. Il «governo condiviso» ha dei vantaggi: spinge il mondo politico ad accantonare la virulenza delle polemiche elettorali e cercare convergenze. Questo – conclude - ricorda che su terreni concreti — immigrazione, energia e ambiente, dazi contro la Cina— le posizioni di democratici e repubblicani si sono avvicinate negli ultimi anni”.
Stefano Folli, la Repubblica
“È escluso che Giorgia Meloni, persona accorta e ormai esperta di come si naviga nei palazzi romani, non sapesse che prendere un caffè con il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (il Csm) all’insaputa o quasi del presidente della Repubblica costituiva una scortesia grave nei confronti di quest’ultimo”. Lo scrive Stefano Folli su Repubblica sottolineando che “se ha deciso di procedere lo stesso, vuol dire che ha messo nel conto la polemica. O per meglio dire, una frizione che quando coinvolge le istituzioni al loro massimo livello non può essere minimizzata facendo spallucce. Tutti hanno capito — in particolare lo hanno compreso quei consiglieri del Csm che hanno a loro volta protestato — la sostanza dell’affare. Dietro la tazzina del caffè s’intravede un’operazione politica che continua e forse s’intensifica. Giorgia Meloni ha scelto il terreno del confronto con la magistratura. Per isolare la cosiddetta ‘magistratura militante’, quella che non applica il decreto sui ‘Paesi sicuri’ per i migranti rimandati indietro; quella che subisce la tentazione di porsi come contro-potere, si mormora dalle parti di palazzo Chigi e soprattutto negli uffici del vicepremier Salvini: in questo caso contro-potere a difesa dei migranti e dei loro diritti, a cominciare da quello di non finire in Albania. Alla presidente del Consiglio – osserva Folli - non pare che il Csm faccia tutto quello che deve per riportare i magistrati all’interno della loro orbita. Quindi, altro che caffè. È uno scontro di tutto riguardo che arriva a lambire il capo dello Stato. Ma il Csm, organismo presieduto da Mattarella, la cui mano si avverte nella definizione dell’agenda, è davvero esente da colpe e responsabilità nell’esercizio delle sue funzioni? Il tema è antico e controverso, ma il giurista Mattarella, con la prudenza che tutti gli riconoscono, ha sempre agito per mantenere un equilibrio. Riaccendere il conflitto fra politica e magistratura, come negli anni più caldi del berlusconismo, rischia di logorare le istituzioni oltre misura. È chiaro allora a chi è rivolto il messaggio di Meloni. E la magistratura è l’avversario scelto, indicato all’opinione pubblica come concausa del disordine. È una mossa spregiudicata? Senz’altro sì – conclude - soprattutto se arriva fino al portone del Quirinale”.
Giordano Stabile, La Stampa
“Il mondo guarda l’America e l’America guarda il mondo. È una nazione fondata e costruita da immigrati. Il pendolo oscilla ma certo Harris è più in sintonia con il nuovo spirito del tempo che soffia da Sud”. Così Giordano Stabile sulla Stampa: “Le idee di Trump, in questo senso – sottolinea l’editorialista - sembrano da restaurazione. Non solo vuole essere ringraziato, ma anche pagato per la protezione e la benevolenza americana. Dai coreani, giapponesi, e dagli europei. Eppure, persino se The Donald dovesse ribaltare gli ultimi pronostici e farcela lui, una pagina dei rapporti tra America e mondo si chiude. La pagina dell’egemonia, dell’iperpotenza sola a governare tutti. La pagina post-coloniale. Dal Restore Hope in Somalia all’inizio degli anni Novanta all’Enduring Freedom in Afghanistan nel 2001-2021, per trent’anni i neocon democratici e repubblicani hanno provato a raddrizzare il legno storto di autocrazie, dittature e altri nemici dei valori occidentali. Quasi sempre le missioni si sono concluse con una ritirata. Il progetto di nuovo Medio Oriente, il progetto Wolfowitz – spiega Stabile - ha lasciato soprattutto macerie e due Stati, uno nucleare, l’altro quasi, che sono alla resa dei conti. Il mondo arabo musulmano è ancora dominato dalle autocrazie, Israele oscilla tra piani grandiosi di espansione e la sottile paura di essere abbandonata e sommersa da un vicinato islamico e ostile, un miliardo e mezzo di persone. Ma soprattutto, tra queste macerie fumanti, le ultime quelle di Gaza, è emerso un sentimento vasto, a volte incontenibile, sul doppio standard, uomini con più diritti e altri meno, un’insofferenza alle lezioni sul «come è giusto vivere» che arrivano da Washington, e pure dalle capitali europee. E quindi la grande formattazione del mondo secondo i canoni statunitensi, programmata trent’anni fa, torna nel cassetto dei sogni. Ma ci sarà da difendere l’Ucraina da una Russia che si allea con il Global South e nel contempo si allarga con pratiche da vecchio colonialismo, una contraddizione così evidente da essere una buona leva da usare per separare, per quanto possibile, Mosca da Pechino. E poi – conclude - ci sarà da chiarire che futuro dare ai palestinesi, e se hanno diritto allo stesso livello di protezione, per esempio, che si cerca di dare agli ucraini, oppure no. Harris sembra avere le qualità per farlo, meglio di Trump.
“L’America non elegge un dittatore per quattro anni. I poteri della presidenza sono limitati dai «checks and balance», controlli e bilanciamenti”. Ne parla Federico Rampini sul Corriere della Sera ricordando che “il primo di questi contropoteri è il ramo legislativo, anch’esso rinnovato in questo Election Day. Si è votato per l’intera Camera e un terzo del Senato, oltre che per numerose cariche locali e referendum. Il Congresso è essenziale per le politiche economiche in senso lato. Qualunque legge che comporti nuove tasse o spese, deve ottenere l’approvazione delle Camere. Questo vale anche per grandi riforme, dalla sanità all’immigrazione, che hanno un contenuto economico. Politica estera e difesa sono prerogative della Casa Bianca; anche in questo caso però il sostegno del Congresso diventa indispensabile non appena occorrono nuovi stanziamenti. Nel caso in cui uno dei rami del Congresso, o tutti e due, abbiano una maggioranza diversa da quella che ha eletto il presidente, si parla di «divided government». Lo scenario di un governo diviso o condiviso – spiega l’editorialista - si applica anche a prescindere da una vittoria dell’opposizione in uno dei rami del Congresso. Al Senato vige la regola del «filibuster», il diritto all’ostruzionismo illimitato, che può essere bloccato solo da una maggioranza qualificata di sessanta senatori su cento. Da tempo nessun partito ha superato la soglia dei sessanta, quindi al Senato la ricerca di un compromesso con l’opposizione è stata la regola durante varie legislature. Questo fattore di moderazione, regolarmente irrita il partito di maggioranza. L’insofferenza verso i «checks and balance» è vecchia quanto la Repubblica americana. Soprattutto in tempi moderni, da quando l’America è diventata la più grande economia del pianeta e poi una superpotenza militare, il potere esecutivo ha ritenuto di aver bisogno di una libertà di manovra maggiore. La scorciatoia dei decreti ha un’efficacia limitata: un presidente può emanarli con una firma, allo stesso modo il suo successore può abrogarli. Il «governo condiviso» ha dei vantaggi: spinge il mondo politico ad accantonare la virulenza delle polemiche elettorali e cercare convergenze. Questo – conclude - ricorda che su terreni concreti — immigrazione, energia e ambiente, dazi contro la Cina— le posizioni di democratici e repubblicani si sono avvicinate negli ultimi anni”.
Stefano Folli, la Repubblica
“È escluso che Giorgia Meloni, persona accorta e ormai esperta di come si naviga nei palazzi romani, non sapesse che prendere un caffè con il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (il Csm) all’insaputa o quasi del presidente della Repubblica costituiva una scortesia grave nei confronti di quest’ultimo”. Lo scrive Stefano Folli su Repubblica sottolineando che “se ha deciso di procedere lo stesso, vuol dire che ha messo nel conto la polemica. O per meglio dire, una frizione che quando coinvolge le istituzioni al loro massimo livello non può essere minimizzata facendo spallucce. Tutti hanno capito — in particolare lo hanno compreso quei consiglieri del Csm che hanno a loro volta protestato — la sostanza dell’affare. Dietro la tazzina del caffè s’intravede un’operazione politica che continua e forse s’intensifica. Giorgia Meloni ha scelto il terreno del confronto con la magistratura. Per isolare la cosiddetta ‘magistratura militante’, quella che non applica il decreto sui ‘Paesi sicuri’ per i migranti rimandati indietro; quella che subisce la tentazione di porsi come contro-potere, si mormora dalle parti di palazzo Chigi e soprattutto negli uffici del vicepremier Salvini: in questo caso contro-potere a difesa dei migranti e dei loro diritti, a cominciare da quello di non finire in Albania. Alla presidente del Consiglio – osserva Folli - non pare che il Csm faccia tutto quello che deve per riportare i magistrati all’interno della loro orbita. Quindi, altro che caffè. È uno scontro di tutto riguardo che arriva a lambire il capo dello Stato. Ma il Csm, organismo presieduto da Mattarella, la cui mano si avverte nella definizione dell’agenda, è davvero esente da colpe e responsabilità nell’esercizio delle sue funzioni? Il tema è antico e controverso, ma il giurista Mattarella, con la prudenza che tutti gli riconoscono, ha sempre agito per mantenere un equilibrio. Riaccendere il conflitto fra politica e magistratura, come negli anni più caldi del berlusconismo, rischia di logorare le istituzioni oltre misura. È chiaro allora a chi è rivolto il messaggio di Meloni. E la magistratura è l’avversario scelto, indicato all’opinione pubblica come concausa del disordine. È una mossa spregiudicata? Senz’altro sì – conclude - soprattutto se arriva fino al portone del Quirinale”.
Giordano Stabile, La Stampa
“Il mondo guarda l’America e l’America guarda il mondo. È una nazione fondata e costruita da immigrati. Il pendolo oscilla ma certo Harris è più in sintonia con il nuovo spirito del tempo che soffia da Sud”. Così Giordano Stabile sulla Stampa: “Le idee di Trump, in questo senso – sottolinea l’editorialista - sembrano da restaurazione. Non solo vuole essere ringraziato, ma anche pagato per la protezione e la benevolenza americana. Dai coreani, giapponesi, e dagli europei. Eppure, persino se The Donald dovesse ribaltare gli ultimi pronostici e farcela lui, una pagina dei rapporti tra America e mondo si chiude. La pagina dell’egemonia, dell’iperpotenza sola a governare tutti. La pagina post-coloniale. Dal Restore Hope in Somalia all’inizio degli anni Novanta all’Enduring Freedom in Afghanistan nel 2001-2021, per trent’anni i neocon democratici e repubblicani hanno provato a raddrizzare il legno storto di autocrazie, dittature e altri nemici dei valori occidentali. Quasi sempre le missioni si sono concluse con una ritirata. Il progetto di nuovo Medio Oriente, il progetto Wolfowitz – spiega Stabile - ha lasciato soprattutto macerie e due Stati, uno nucleare, l’altro quasi, che sono alla resa dei conti. Il mondo arabo musulmano è ancora dominato dalle autocrazie, Israele oscilla tra piani grandiosi di espansione e la sottile paura di essere abbandonata e sommersa da un vicinato islamico e ostile, un miliardo e mezzo di persone. Ma soprattutto, tra queste macerie fumanti, le ultime quelle di Gaza, è emerso un sentimento vasto, a volte incontenibile, sul doppio standard, uomini con più diritti e altri meno, un’insofferenza alle lezioni sul «come è giusto vivere» che arrivano da Washington, e pure dalle capitali europee. E quindi la grande formattazione del mondo secondo i canoni statunitensi, programmata trent’anni fa, torna nel cassetto dei sogni. Ma ci sarà da difendere l’Ucraina da una Russia che si allea con il Global South e nel contempo si allarga con pratiche da vecchio colonialismo, una contraddizione così evidente da essere una buona leva da usare per separare, per quanto possibile, Mosca da Pechino. E poi – conclude - ci sarà da chiarire che futuro dare ai palestinesi, e se hanno diritto allo stesso livello di protezione, per esempio, che si cerca di dare agli ucraini, oppure no. Harris sembra avere le qualità per farlo, meglio di Trump.
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