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Alleanze (utili) in Europa

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 04/11/2024

Alleanze (utili) in Europa Alleanze (utili) in Europa Francesco Giavazzi, Corriere della Sera
Per ridare smalto all’Unione Europea, oggi sempre più affatica e lenta nelle scelte, Francesco Giavazzi, sul Corriere della Sera, suggerisce di ricorrere alle «Cooperazioni rafforzate», opzione prevista dai trattati, cominciando a forgiare alleanze limitate ad alcuni Paesi, per poi possibilmente estenderle ad altri. Ma questo – osserva – richiede leadership e visione, qualità purtroppo scarse oggi in Europa. Se Giorgia Meloni fosse capace di attivare tali alleanze, il nostro peso nell’Ue aumenterebbe, e con esso la nostra capacità di influire sulle scelte comuni. Invece ci accontentiamo di trarre beneficio dal fatto che la presidente del Consiglio italiana pare essere l’unica che dialoga con Orbán. Un governo si misura anche dal ritardo nel comprendere i cambiamenti in atto, il che comporta inevitabilmente un ritardo nell’affrontarli. Ad esempio dal capire troppo tardi che anziché sgravare un’azienda di parte dei contributi da versare quando assume un nuovo operaio specializzato — che comunque non si trova perché scuole che gli insegnino quella particolare specializzazione non esistono — sarebbe meglio stanziare una somma equivalente per formare un giovane ancora fuori dal mercato del lavoro. Considerate i progetti di transizione verde nel settore automobilistico: richiederanno la riqualificazione di milioni di lavoratori in tutti i Paesi europei, che dovranno essere addestrati per imparare nuovi mestieri. Potrebbe essere questa una proposta italiana di cooperazione rafforzata. Ma se non siamo capaci neppure di far funzionare i nostri 550 Centri per l’impiego (con la sola eccezione di quello di Milano che è un raro gioiello) figuriamoci se possiamo aspirare ad essere un modello per l’Europa. L’unica proposta che sinora siamo stati in grado di fare è il «progetto Albania» nell’illusione che qualcun altro in Europa ci segua: finora non è accaduto.
 
Paolo Garimberti, la Repubblica
Su Repubblica Paolo Garimberti si occupa delle presidenziali americane di martedì, e sottolinea come in questa campagna elettorale Trump abbia dato il peggio di sé con pesanti attacchi personali, una retorica violenta, un linguaggio offensivo, spesso intriso di scurrilità e volgari allusioni sessuali. Superando di gran lunga le bassezze esibite nelle campagne del 2016 contro Hillary Clinton e del 2020 contro Joe Biden. E finendo così per accentuare la polarizzazione del fronte politico americano con due fazioni ferocemente contrapposte con toni da guerra civile. Secondo il Pew Research Center c’è stato in questa campagna elettorale “un forte incremento dei sentimenti negativi nei confronti di chi la pensa in modo diverso, con sempre più americani convinti che i sostenitori dell’altra parte hanno una mentalità chiusa, sono disonesti, immorali e poco intelligenti”. L’associazione degli psicologi americani ha rilevato che per il 69 per cento degli americani le elezioni presidenziali sono un fattore di stress, una percentuale ben più alta di quella rilevata nel 2016, quando la sfida era tra Trump e Hillary Clinton. Una delle cause di questa condizione psicologica è l’incertezza del risultato che potrebbe prolungarsi per le contestazioni, soprattutto se Kamala Harris dovesse vincere con uno stretto margine. Trump, anche in questo, ha gettato litri di benzina sul fuoco, affermando che ci sono dei «radical left lunatics», lunatici di estrema sinistra, che imbroglieranno i risultati elettorali e dovrebbero essere arrestati dalla guardia nazionale o addirittura dall’esercito. E ha già incaricato centinaia di giuristi repubblicani di attrezzarsi per provare a invalidare il voto nel caso di sua sconfitta. Kamala Harris, dal canto suo, è riuscita, pur con credenziali modeste, una vicepresidenza grigia e una candidatura tardiva, a diventare una contendente credibile e a sfidare il tycoon del Maga all’ultimo voto. Alla fine c’è da sperare che vinca, se non il migliore, il male minore. Per la democrazia americana e per il mondo che crede nel suo modello.
 
Vittorio Macioce, il Giornale
Sul Giornale Vittorio Macioce si occupa invece della trasmissione Report di Sigfrido Ranucci, in onda su Rai3. E del suo metodo, un metodo antico, commenta. È la cultura della faida, quando al nemico non va lasciato quartiere. Non è più umano. È da abbattere, in qualsiasi modo. Non lo riconosci. Non lo legittimi. Non può esserci un punto d’incontro: o si inginocchia o l’offensiva sarà senza redenzione. L’arma di questa faida politica è lo scandalo, giudiziario e morale. Qualcosa si trova sempre, e va bene, ma se non è abbastanza allora bisogna puntare l’obiettivo e non lasciargli tregua. Cosa succede se però l’affondo non è abbastanza efficace? Si allarga il cerchio. Tocca ai familiari. È quello che sta accadendo con il ministro della Cultura. Alessandro Giuli non è caduto. L’inchiesta di Report, prestigioso programma di inchieste televisive, sembra non averlo scalfito. Ha avuto più che altro il sapore di un avvertimento, troppo poco per mettergli pressione. Cosa può davvero destabilizzare il ministro? Cosa può fare più male? Giuli è molto legato alla sorella. Basta questo. Ti diranno che non è vero. Quella di Report su Antonella Giuli è solo un’inchiesta giornalistica. C’è il sospetto che lei da ufficio stampa della Camera dei deputati lavori sotto sotto per il partito, per Fratelli d’Italia, per Arianna Meloni. Eccolo, lo scandalo. Cosa fa la sorella del ministro il sabato e la domenica? Antonella Giuli deve raccontare una questione privata che non avrebbe voluto rendere pubblica. Uno dei suoi due figli ha una «patologia curabile ma non guaribile». E fa una domanda: «Era necessario che mi spingessi a tanto?». Forse Sigfrido Ranucci ha una risposta. Il sospetto, al di là del lavoro da giornalista, è che lui si senta dalla parte dei giusti e dei buoni. È un po’ come accadeva con i padri domenicani della Santa Inquisizione. È l’etica superiore che assolve da tutti i peccati. Le faide spesso sono una questione di fede.
 
 
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