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Una destra impalatabile che costringe però i critici a fare i conti con la realtà
Redazione InPiù 23/10/2024
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Claudio Cerasa, Il Foglio
Sul Foglio Claudio Cerasa commenta i primi due anni di vita festeggiati ieri dal governo Meloni, sottolineando come l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sia il fenomeno politico più interessante che esista in questo momento in Europa. La presidente del Consiglio continua a non essere la nostra cup of tea su un numero spropositato di temi. Ma questo giornale negli ultimi anni non ha potuto fare a meno di confrontare i suoi pregiudizi con i suoi giudizi su alcun temi importanti, che sono quelli su cui oggi si misura il giudizio sul governo Meloni. In politica estera, in attesa di Donald Trump, Meloni è andata magnificamente a braccetto con l’Amministrazione Biden e come posizionamento non ha sbagliato un colpo. Con l’Ucraina e contro Putin, senza se e senza ma, nonostante la demagogia sul no all’utilizzo delle armi inviate in Ucraina all’interno dei confini russi. E con Israele, e contro i terroristi che minacciano la sua esistenza, senza se e senza ma, nono- stante anche qui la demagogia sulle armi non inviate a Israele dopo il 7 ottobre. Sull’economia, anche qui, stessa storia. La demagogia è stata contenuta. L’attenzione al debito è stata reale. L’apertura agli investitori stranieri è stata concreta. E anche sulle pensioni Meloni ha fatto quello che un tempo mai avrebbe accettato di fare Matteo Salvini: non incentivare ma disincentivare le persone ad andare in pensione. Sul Pnrr, sul famoso Piano nazionale sulle riforme, non si può dire che il governo Meloni abbia dato il massimo. Ma il fatto che per Meloni sia stato un successo avere ottenuto un commissario europeo il cui scopo è anche il monitoraggio dei Pnrr d’Europa dimostra che anche i sovranisti possono arrivare a capire che per proteggere i paesi membri non serve meno Europa ma ne serve di più. Sull’Unione europea, anche qui, nonostante i tic demagogici emersi al momento della votazione di Ursula von der Leyen, Meloni tra l’approccio euroscettico, orbaniano, e quello europeista, e vonderleyano, ha scelto il secondo.
Mario Sechi, Libero
La sicurezza dello Stato – scrive Mario Sechi su Libero – è garantita dalla imparzialità della magistratura, delle forze dell’ordine, della Difesa, dei Servizi segreti, degli apparati dello Stato che monitorano, sorvegliano, fanno prevenzione e rispondono all’emergenza. Quando uno di questi elementi è deviato dal suo essere «neutro», le cose sono destinate a non andare bene. I tribunali che applicano il pregiudizio ideologico alle sentenze in materia di immigrazione (e non solo) sono un caso abnorme e non c’è bisogno di aggiungere niente a quel che già abbiamo scritto. Accusare la polizia italiana di razzismo, coprendosi con il cappello del Consiglio d’Europa, come ha fatto ieri la sinistra, è un’operazione spericolata sul piano politico e completamente falsa rispetto a quella che si chiama realtà. Ho visto all’opera la polizia in varie metropoli del mondo: i bobbies inglesi a Londra, gli agenti a Washington (compresi quelli del Secret service e, dopo l’assalto a Capitol Hill, anche l’esercito), i flic di Parigi, e posso assicurare che nel servizio d’ordine pubblico usano le maniere forti. Proprio su questo punto - il controllo della piazza e l’identificazione - c’è una grande differenza con la capacità di autocontrollo della Polizia italiana. Sono fatti noti e per questo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spento il fuoco della diffamazione che qualcuno ha cercato di appiccare contro i nostri agenti. Il Quirinale sa che calunnie e falsità - sciaguratamente rilanciate dalla sinistra - producono un senso di sfiducia tra le forze dell’ordine che invece godono di grande credito all’estero. Tanti anni fa, durante un incontro, il generale David H. Petraeus mi disse: «Lavorare coi Carabinieri è come giocare a basket con Magic Johnson». Il prestigio della Polizia è di pari livello, l’Fbi considera i nostri agenti tra i più preparati al mondo, anche perché conservano e coltivano un tratto di umanità e capacità di relazione che molti hanno perso o non hanno mai avuto per ragioni storiche e sociali.
Sul Foglio Claudio Cerasa commenta i primi due anni di vita festeggiati ieri dal governo Meloni, sottolineando come l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sia il fenomeno politico più interessante che esista in questo momento in Europa. La presidente del Consiglio continua a non essere la nostra cup of tea su un numero spropositato di temi. Ma questo giornale negli ultimi anni non ha potuto fare a meno di confrontare i suoi pregiudizi con i suoi giudizi su alcun temi importanti, che sono quelli su cui oggi si misura il giudizio sul governo Meloni. In politica estera, in attesa di Donald Trump, Meloni è andata magnificamente a braccetto con l’Amministrazione Biden e come posizionamento non ha sbagliato un colpo. Con l’Ucraina e contro Putin, senza se e senza ma, nonostante la demagogia sul no all’utilizzo delle armi inviate in Ucraina all’interno dei confini russi. E con Israele, e contro i terroristi che minacciano la sua esistenza, senza se e senza ma, nono- stante anche qui la demagogia sulle armi non inviate a Israele dopo il 7 ottobre. Sull’economia, anche qui, stessa storia. La demagogia è stata contenuta. L’attenzione al debito è stata reale. L’apertura agli investitori stranieri è stata concreta. E anche sulle pensioni Meloni ha fatto quello che un tempo mai avrebbe accettato di fare Matteo Salvini: non incentivare ma disincentivare le persone ad andare in pensione. Sul Pnrr, sul famoso Piano nazionale sulle riforme, non si può dire che il governo Meloni abbia dato il massimo. Ma il fatto che per Meloni sia stato un successo avere ottenuto un commissario europeo il cui scopo è anche il monitoraggio dei Pnrr d’Europa dimostra che anche i sovranisti possono arrivare a capire che per proteggere i paesi membri non serve meno Europa ma ne serve di più. Sull’Unione europea, anche qui, nonostante i tic demagogici emersi al momento della votazione di Ursula von der Leyen, Meloni tra l’approccio euroscettico, orbaniano, e quello europeista, e vonderleyano, ha scelto il secondo.
Mario Sechi, Libero
La sicurezza dello Stato – scrive Mario Sechi su Libero – è garantita dalla imparzialità della magistratura, delle forze dell’ordine, della Difesa, dei Servizi segreti, degli apparati dello Stato che monitorano, sorvegliano, fanno prevenzione e rispondono all’emergenza. Quando uno di questi elementi è deviato dal suo essere «neutro», le cose sono destinate a non andare bene. I tribunali che applicano il pregiudizio ideologico alle sentenze in materia di immigrazione (e non solo) sono un caso abnorme e non c’è bisogno di aggiungere niente a quel che già abbiamo scritto. Accusare la polizia italiana di razzismo, coprendosi con il cappello del Consiglio d’Europa, come ha fatto ieri la sinistra, è un’operazione spericolata sul piano politico e completamente falsa rispetto a quella che si chiama realtà. Ho visto all’opera la polizia in varie metropoli del mondo: i bobbies inglesi a Londra, gli agenti a Washington (compresi quelli del Secret service e, dopo l’assalto a Capitol Hill, anche l’esercito), i flic di Parigi, e posso assicurare che nel servizio d’ordine pubblico usano le maniere forti. Proprio su questo punto - il controllo della piazza e l’identificazione - c’è una grande differenza con la capacità di autocontrollo della Polizia italiana. Sono fatti noti e per questo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spento il fuoco della diffamazione che qualcuno ha cercato di appiccare contro i nostri agenti. Il Quirinale sa che calunnie e falsità - sciaguratamente rilanciate dalla sinistra - producono un senso di sfiducia tra le forze dell’ordine che invece godono di grande credito all’estero. Tanti anni fa, durante un incontro, il generale David H. Petraeus mi disse: «Lavorare coi Carabinieri è come giocare a basket con Magic Johnson». Il prestigio della Polizia è di pari livello, l’Fbi considera i nostri agenti tra i più preparati al mondo, anche perché conservano e coltivano un tratto di umanità e capacità di relazione che molti hanno perso o non hanno mai avuto per ragioni storiche e sociali.
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