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Le politiche che vanno collegate
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 19/10/2024
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Lucrezia Reichlin, Corriere della Sera
“Giovedì scorso, la Banca centrale europea (Bce) ha abbassato il tasso di interesse guida della politica monetaria di 25 punti base. È la terza volta consecutiva”. Lo scrive Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera: “Siamo passati da un tasso del 4% nel settembre 2023 – nota l’editorialista - a quello di oggi, del 3,25%. Il segnale è quindi quello di un’inversione di tendenza dal lungo ciclo di aumento dei tassi, durata dal luglio 2022 al settembre 2023. Non è stata una sorpresa. Tra gli osservatori c’è chi pensa che la Bce sia in ritardo e che avrebbe dovuto allentare la stretta prima e ora tagliare di 50 punti base come è stato fatto negli Stati Uniti. A sostegno di questa idea è il fatto che le sue previsioni hanno sovrastimato sia l’inflazione che l’andamento dell’economia reale, ambedue più deboli di quanto previsto solo pochi mesi fa. Oggi, con una riduzione di 25 punti base, le condizioni di finanziamento rimangono ancora restrittive, cosa che si evince dalla differenza tra il costo reale del credito e quel tasso ipotetico dove l’economia raggiunge il pieno impiego. Questa differenza – dice Reichlin - una specie di barometro della politica monetaria, ci dice che quest’ultima sta ancora comprimendo la domanda di beni e servizi. Lo ha detto esplicitamente la presidente Lagarde e lo ha giustificato con la necessità di un prudente gradualismo per evitare il rischio di una ripresa dell’inflazione. Ma il rischio del contrario, cioè di un prolungamento di condizioni anemiche di crescita e di un ritorno alla situazione pre-Covid, caratterizzata da una inflazione troppo bassa e da tassi di interesse negativi, non è da sottovalutare. Per il futuro, il regime che prevarrà, dipenderà da quanto velocemente si accelererà l’investimento nelle tecnologie rinnovabili. In Europa, come indicato dal rapporto Draghi, questo dipenderà soprattutto dalla volontà collettiva di mobilizzare risorse ingenti per questo scopo. In questo la politica monetaria avrà un ruolo secondario. Ma in uno scenario di boom di investimenti, dovrà essere coerente con tassi di interesse reali più alti che in passato. Il futuro dei tassi di interesse dipenderà quindi dall’insieme delle politiche pubbliche e non solo dalla politica monetaria. La sfida per la Banca centrale – conclude - sarà quella di saper leggere le tendenze dell’economia e discriminare tra spinte temporanee e permanenti di inflazione”.
Michele Ainis, la Repubblica
Michele Ainis su Repubblica invita a lasciare in pace la nostra ‘povera’ Costituzione: “La madre delle riforme è sempre incinta, come la madre dei cretini evocata da Flaiano. Ma in attesa di generare il premierato – osserva Ainis - l’impeto riformatore si rovescia su ogni norma della Costituzione, la rivolta come un calzino usato, vi aggiunge più grani di un rosario. Sono 117 i disegni di legge costituzionale via via presentati in Parlamento durante questo primo scorcio della legislatura. È la maledizione del nostro tempo: siamo diventati prolissi, verbosi, ridondanti. Infiliamo filastrocche di parole perché non abbiamo più nulla da dire. Ma è un esercizio vano, quando non anche nocivo, se applicato alle parole della legge. Da molti anni un virus nomenclatore infetta il nostro ordinamento. Questa incontinenza semantica e verbale è ancora più perniciosa rispetto alle parole della Costituzione. Non a caso, nel 1947, l’Assemblea costituente impegnò almeno un quarto delle proprie discussioni per espungere dal testo il sovrappiù, il superfluo, le disposizioni che non meritassero spazio nella legge fondamentale dello Stato. Oggi invece di spazio se ne trova, perfino nella Parte prima, quella sui principi e sui diritti, che dovrebbe essere intangibile come le tavole di Mosè. Nel 2022 – ricorda l’editorialista - il Parlamento ha approvato a voti unanimi la riscrittura dell’articolo 9, per aggiungervi la tutela dell’ambiente, senza accorgersi che la Consulta lo protegge già dagli anni Ottanta, né che questa parolina magica fosse stata introdotta nella Carta fin dal 2001. Nel 2023 le Camere, ancora una volta senza nessun voto contrario, hanno inciso l’articolo 33, scrivendo che lo sport fa bene alla salute. E ci mancherebbe, come non essere d’accordo? Ma allora scriviamoci pure che alla mamma si deve voler bene, o che la pastasciutta è il nostro piatto nazionale. Dara (Lega) s’accorge che nell’articolo 22 manca il diritto all’identità digitale. Boldrini (Pd) chiede di modificare l’articolo 37 per indicare la funzione familiare dei lavoratori, oltre che delle lavoratrici. Foti (FdI) vorrebbe introdurre nell’articolo 32 il principio della ‘sovranità alimentare’. E via via, viva la fantasia. Da qui una preghiera, anzi una prece, a mani giunte sull’altare della Costituzione: lasciatela in pace, povera donna”.
Alessandro De Angelis, La Stampa
“C’è un filo che tiene assieme il tutto, in questo derby populista, tutto a destra: Tirana e Palermo, Meloni e Salvini”. Lo scrive Alessandro De Angelis sulla Stampa sottolineando che questo “non è solo la ‘coda’ del cortocircuito coi giudici. Che tornano, in entrambi i casi, ‘toghe rosse’ da bersagliare. E da intimidire l'uno con le piazze, l'altra con un decreto che forzi la legge. Dove sia la «necessita e urgenza», neanche fosse l'alluvione che ha allagato l'Emilia, non è dato sapere, ma è l'icastica conclusione del vizio, tutto politico che, a monte, lega le due storie. Tanto ideologico quanto fallimentare. Sembrava un cambio di paradigma: verificata l'impossibilità del blocco navale e, appunto, del porti chiusi, Giorgia Meloni ha iniziato a occuparsi di Africa, scimmiottando (in parte) Minniti. Logica avrebbe suggerito di proseguire sulla via di un più incisivo investimento politico in quella direzione. Magari dando corpo al famoso piano Mattei, che ha il limite, oltre che di un eterno Godot, della logica del ‘paese solo’. Occuparsi seriamente di Mediterraneo – osserva l’editorialista - significa battersi per portare l'intera Europa a un accordo quadro con l'Africa: un modello, appunto, strutturale di gestione del fenomeno migratorio che, esso stesso, non è un'emergenza, ma un dato strutturale del corso del mondo. E invece: riecco la logica tutta emergenziale del "paese terzo" per preservare il racconto. Anche se non funziona né in termini di deterrenza né, come prevedibile, in termini giuridici. Il cortocircuito con la magistratura sull'applicabilità, sia nel caso di Open Arms sia nel caso dell'Albania, è diretta conseguenza degli accrocchi. Non ci voleva un giudice per immaginare che non avrebbe funzionato questo gioco dell'oca, tra Albania e Italia, sui poveri cristi. E il conflitto successivo con la magistratura è l'epilogo classico dello spartito populista: non sono i modelli messi in campo non funzionanti, mai giudici che, assieme ad altri poteri ostili, vogliono fermare la ‘rivoluzione’. Politicamente parlando, questo nuovo cambio di paradigma all'insegna del richiamo della foresta, tutto ideologico, non è a costo zero. Non solo come fallimento politico, ma anche per le conseguenze già innescate. Perché ha rimesso al centro della discussione il tema non del governo dei cosiddetti movimenti primari (dall'Africa all'Italia) ma dei movimenti secondari (il "dove li metto quando arrivano?").
“Giovedì scorso, la Banca centrale europea (Bce) ha abbassato il tasso di interesse guida della politica monetaria di 25 punti base. È la terza volta consecutiva”. Lo scrive Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera: “Siamo passati da un tasso del 4% nel settembre 2023 – nota l’editorialista - a quello di oggi, del 3,25%. Il segnale è quindi quello di un’inversione di tendenza dal lungo ciclo di aumento dei tassi, durata dal luglio 2022 al settembre 2023. Non è stata una sorpresa. Tra gli osservatori c’è chi pensa che la Bce sia in ritardo e che avrebbe dovuto allentare la stretta prima e ora tagliare di 50 punti base come è stato fatto negli Stati Uniti. A sostegno di questa idea è il fatto che le sue previsioni hanno sovrastimato sia l’inflazione che l’andamento dell’economia reale, ambedue più deboli di quanto previsto solo pochi mesi fa. Oggi, con una riduzione di 25 punti base, le condizioni di finanziamento rimangono ancora restrittive, cosa che si evince dalla differenza tra il costo reale del credito e quel tasso ipotetico dove l’economia raggiunge il pieno impiego. Questa differenza – dice Reichlin - una specie di barometro della politica monetaria, ci dice che quest’ultima sta ancora comprimendo la domanda di beni e servizi. Lo ha detto esplicitamente la presidente Lagarde e lo ha giustificato con la necessità di un prudente gradualismo per evitare il rischio di una ripresa dell’inflazione. Ma il rischio del contrario, cioè di un prolungamento di condizioni anemiche di crescita e di un ritorno alla situazione pre-Covid, caratterizzata da una inflazione troppo bassa e da tassi di interesse negativi, non è da sottovalutare. Per il futuro, il regime che prevarrà, dipenderà da quanto velocemente si accelererà l’investimento nelle tecnologie rinnovabili. In Europa, come indicato dal rapporto Draghi, questo dipenderà soprattutto dalla volontà collettiva di mobilizzare risorse ingenti per questo scopo. In questo la politica monetaria avrà un ruolo secondario. Ma in uno scenario di boom di investimenti, dovrà essere coerente con tassi di interesse reali più alti che in passato. Il futuro dei tassi di interesse dipenderà quindi dall’insieme delle politiche pubbliche e non solo dalla politica monetaria. La sfida per la Banca centrale – conclude - sarà quella di saper leggere le tendenze dell’economia e discriminare tra spinte temporanee e permanenti di inflazione”.
Michele Ainis, la Repubblica
Michele Ainis su Repubblica invita a lasciare in pace la nostra ‘povera’ Costituzione: “La madre delle riforme è sempre incinta, come la madre dei cretini evocata da Flaiano. Ma in attesa di generare il premierato – osserva Ainis - l’impeto riformatore si rovescia su ogni norma della Costituzione, la rivolta come un calzino usato, vi aggiunge più grani di un rosario. Sono 117 i disegni di legge costituzionale via via presentati in Parlamento durante questo primo scorcio della legislatura. È la maledizione del nostro tempo: siamo diventati prolissi, verbosi, ridondanti. Infiliamo filastrocche di parole perché non abbiamo più nulla da dire. Ma è un esercizio vano, quando non anche nocivo, se applicato alle parole della legge. Da molti anni un virus nomenclatore infetta il nostro ordinamento. Questa incontinenza semantica e verbale è ancora più perniciosa rispetto alle parole della Costituzione. Non a caso, nel 1947, l’Assemblea costituente impegnò almeno un quarto delle proprie discussioni per espungere dal testo il sovrappiù, il superfluo, le disposizioni che non meritassero spazio nella legge fondamentale dello Stato. Oggi invece di spazio se ne trova, perfino nella Parte prima, quella sui principi e sui diritti, che dovrebbe essere intangibile come le tavole di Mosè. Nel 2022 – ricorda l’editorialista - il Parlamento ha approvato a voti unanimi la riscrittura dell’articolo 9, per aggiungervi la tutela dell’ambiente, senza accorgersi che la Consulta lo protegge già dagli anni Ottanta, né che questa parolina magica fosse stata introdotta nella Carta fin dal 2001. Nel 2023 le Camere, ancora una volta senza nessun voto contrario, hanno inciso l’articolo 33, scrivendo che lo sport fa bene alla salute. E ci mancherebbe, come non essere d’accordo? Ma allora scriviamoci pure che alla mamma si deve voler bene, o che la pastasciutta è il nostro piatto nazionale. Dara (Lega) s’accorge che nell’articolo 22 manca il diritto all’identità digitale. Boldrini (Pd) chiede di modificare l’articolo 37 per indicare la funzione familiare dei lavoratori, oltre che delle lavoratrici. Foti (FdI) vorrebbe introdurre nell’articolo 32 il principio della ‘sovranità alimentare’. E via via, viva la fantasia. Da qui una preghiera, anzi una prece, a mani giunte sull’altare della Costituzione: lasciatela in pace, povera donna”.
Alessandro De Angelis, La Stampa
“C’è un filo che tiene assieme il tutto, in questo derby populista, tutto a destra: Tirana e Palermo, Meloni e Salvini”. Lo scrive Alessandro De Angelis sulla Stampa sottolineando che questo “non è solo la ‘coda’ del cortocircuito coi giudici. Che tornano, in entrambi i casi, ‘toghe rosse’ da bersagliare. E da intimidire l'uno con le piazze, l'altra con un decreto che forzi la legge. Dove sia la «necessita e urgenza», neanche fosse l'alluvione che ha allagato l'Emilia, non è dato sapere, ma è l'icastica conclusione del vizio, tutto politico che, a monte, lega le due storie. Tanto ideologico quanto fallimentare. Sembrava un cambio di paradigma: verificata l'impossibilità del blocco navale e, appunto, del porti chiusi, Giorgia Meloni ha iniziato a occuparsi di Africa, scimmiottando (in parte) Minniti. Logica avrebbe suggerito di proseguire sulla via di un più incisivo investimento politico in quella direzione. Magari dando corpo al famoso piano Mattei, che ha il limite, oltre che di un eterno Godot, della logica del ‘paese solo’. Occuparsi seriamente di Mediterraneo – osserva l’editorialista - significa battersi per portare l'intera Europa a un accordo quadro con l'Africa: un modello, appunto, strutturale di gestione del fenomeno migratorio che, esso stesso, non è un'emergenza, ma un dato strutturale del corso del mondo. E invece: riecco la logica tutta emergenziale del "paese terzo" per preservare il racconto. Anche se non funziona né in termini di deterrenza né, come prevedibile, in termini giuridici. Il cortocircuito con la magistratura sull'applicabilità, sia nel caso di Open Arms sia nel caso dell'Albania, è diretta conseguenza degli accrocchi. Non ci voleva un giudice per immaginare che non avrebbe funzionato questo gioco dell'oca, tra Albania e Italia, sui poveri cristi. E il conflitto successivo con la magistratura è l'epilogo classico dello spartito populista: non sono i modelli messi in campo non funzionanti, mai giudici che, assieme ad altri poteri ostili, vogliono fermare la ‘rivoluzione’. Politicamente parlando, questo nuovo cambio di paradigma all'insegna del richiamo della foresta, tutto ideologico, non è a costo zero. Non solo come fallimento politico, ma anche per le conseguenze già innescate. Perché ha rimesso al centro della discussione il tema non del governo dei cosiddetti movimenti primari (dall'Africa all'Italia) ma dei movimenti secondari (il "dove li metto quando arrivano?").
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