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Il falso scandalo del modello albanese
Redazione InPiù 16/10/2024
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Claudio Cerasa, Il Foglio
Lo scandalo albanese è uno scandalo che non c’è – afferma Claudio Cerasa sul Foglio, commentando l’apertura dei centri di accoglienza italiani in Albania. Ed è uno scandalo così poco scandaloso – aggiunge – da aver incuriosito in modo scandaloso molti leader europei, e non solo a destra. Ieri Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, nella lettera inviata ai leader dell’Unione europea in vista del Consiglio europeo del 17-18 ottobre, ha utilizzato parole soft sul tema del modello Albania. Il Pse, ieri, ha scelto di venire incontro alla posizione del Pd, molto critico con Meloni per la scelta dell’esternalizzazione in Albania, ma nel farlo ha comunque dato uno schiaffetto al Pd. La capogruppo dei socialisti e democratici Iratxe García Pérez, spagnola, ha detto che “i Socialisti e Democratici sono contrari alla creazione di hub di rimpatrio e a qualsiasi forma di esternalizzazione della politica di asilo”. Ma poi ha aggiunto: “Per decenni, abbiamo chiesto un approccio olistico alle sfide migratorie e dopo otto anni di negoziati, finalmente, lo scorso maggio è stato adottato il Nuovo patto sull’asilo e la migrazione”. Problema: il Pd ha votato contro questo patto, che il Pse dice di essere quello giusto su cui misurare le ambizioni dell’Europa, mentre ad aver votato sì, in Italia, sono scandalosamente i nemici del Pse, ovvero Fratelli d’Italia e Forza Italia. A proposito di scandali, poi, se ci si guarda in giro per l’Europa si scoprirà facilmente che le sinistre che si trovano al governo hanno spesso sull’immigrazione un approccio molto diverso dalle sinistre, come quella italiana, che si trovano all’opposizione. Keir Starmer, leader laburista inglese, ha detto a Giorgia Meloni che le esternalizzazioni modello Albania meritano di essere studiate. Lo stesso ha fatto il cancelliere tedesco Olaf Scholz, socialdemocratico, progressista. Ci si chiederà perché mai molti paesi europei osservano con curiosità e interesse il modello italiano? Da una parte c’è una questione anche qui tecnica spiegata mesi fa da Sabino Cassese sul nostro giornale: “La finalità del modello albanese mi pare quella di potenziamento della capacità amministrativa, e principalmente di evitare movimenti secondari, ciò che farà felici i paesi che sono destinatari dei movimenti secondari, in particolare Germania e Francia. Da questo punto di vista, mi sembra un accordo utile”. Dall’altra parte c’è invece un tema di carattere politico: se vuoi salvare i confini interni dell’Europa ed evitare che siano gli Orbán a dettare l’agenda sull’immigrazione devi trovare un modo non solo per redistribuire i migranti che arrivano (Patto sull’asilo e migrazione) ma anche per provare a governare i confini esterni dell’Europa.
Ferdinando Adornato, Il Messaggero
Sul Messaggero Ferdinando Adornato commenta gli sviluppi del conflitto in Medio Oriente dopo l’attacco israeliano alle basi Unifil in Libano, episodio apparentemente inspiegabile. Il fatto è che, dopo il 7 ottobre, dall’assedio di Gaza all’attacco al Libano, il vero obiettivo del governo israeliano, secondo Adornato, è stato quello di “interdire” qualsiasi possibilità di una soluzione politica della crisi. L’unica strategia, immaginata fin dall’inizio, è stata quella di mettere in campo una “lunga campagna militare”, se possibile definitiva, contro le organizzazioni terroriste e il loro sponsor iraniano. Lo scopo, neanche tanto recondito, era ed è quello di togliere per sempre dal tavolo del Medio Oriente ogni ipotesi sulla nascita di un qualsivoglia Stato palestinese. Del resto, la stessa lunghezza d’onda aveva ispirato il premier israeliano anche prima del 7 ottobre, allorché favorì la crescita di Hamas rispetto al ruolo dell’Autorità palestinese. Ecco allora il vero motivo dell’attacco alle forze dell’Onu. Non solo perché d’intralcio all’azione militare nella zona che va dal Nord di Israele al fiume Litani: ma anche per rendere simbolicamente chiaro il rifiuto di qualsiasi mediazione politica o diplomatica alla propria “guerra totale”. Netanyahu segna così una “rottura” storica con qualsiasi altro leader israeliano. Ma si può forse dire che la missione Unifil sia stata un successo? Certamente no. Dal 2006, quando ebbe inizio la sua seconda fase, pochi degli obiettivi indicati sono stati raggiunti. Comunque, a prescindere da tale fallimento, che testimonia una volta di più la crisi dell’Onu, oggi si fa sempre più incalzante un interrogativo: una volta che la guerra è esplosa in tutta la sua virulenza, ha ancora senso prolungare la presenza di Unifil? Il “caso Unifil” propone dunque due verità complementari, eppure tra loro contraddittorie. Ecco perché non ha senso abbandonarsi, come pure si è visto ieri in Parlamento, ad atteggiamenti faziosi e unilaterali, magari fino a proporre l’assurdità di rompere le nostre relazioni con Israele.
Lo scandalo albanese è uno scandalo che non c’è – afferma Claudio Cerasa sul Foglio, commentando l’apertura dei centri di accoglienza italiani in Albania. Ed è uno scandalo così poco scandaloso – aggiunge – da aver incuriosito in modo scandaloso molti leader europei, e non solo a destra. Ieri Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, nella lettera inviata ai leader dell’Unione europea in vista del Consiglio europeo del 17-18 ottobre, ha utilizzato parole soft sul tema del modello Albania. Il Pse, ieri, ha scelto di venire incontro alla posizione del Pd, molto critico con Meloni per la scelta dell’esternalizzazione in Albania, ma nel farlo ha comunque dato uno schiaffetto al Pd. La capogruppo dei socialisti e democratici Iratxe García Pérez, spagnola, ha detto che “i Socialisti e Democratici sono contrari alla creazione di hub di rimpatrio e a qualsiasi forma di esternalizzazione della politica di asilo”. Ma poi ha aggiunto: “Per decenni, abbiamo chiesto un approccio olistico alle sfide migratorie e dopo otto anni di negoziati, finalmente, lo scorso maggio è stato adottato il Nuovo patto sull’asilo e la migrazione”. Problema: il Pd ha votato contro questo patto, che il Pse dice di essere quello giusto su cui misurare le ambizioni dell’Europa, mentre ad aver votato sì, in Italia, sono scandalosamente i nemici del Pse, ovvero Fratelli d’Italia e Forza Italia. A proposito di scandali, poi, se ci si guarda in giro per l’Europa si scoprirà facilmente che le sinistre che si trovano al governo hanno spesso sull’immigrazione un approccio molto diverso dalle sinistre, come quella italiana, che si trovano all’opposizione. Keir Starmer, leader laburista inglese, ha detto a Giorgia Meloni che le esternalizzazioni modello Albania meritano di essere studiate. Lo stesso ha fatto il cancelliere tedesco Olaf Scholz, socialdemocratico, progressista. Ci si chiederà perché mai molti paesi europei osservano con curiosità e interesse il modello italiano? Da una parte c’è una questione anche qui tecnica spiegata mesi fa da Sabino Cassese sul nostro giornale: “La finalità del modello albanese mi pare quella di potenziamento della capacità amministrativa, e principalmente di evitare movimenti secondari, ciò che farà felici i paesi che sono destinatari dei movimenti secondari, in particolare Germania e Francia. Da questo punto di vista, mi sembra un accordo utile”. Dall’altra parte c’è invece un tema di carattere politico: se vuoi salvare i confini interni dell’Europa ed evitare che siano gli Orbán a dettare l’agenda sull’immigrazione devi trovare un modo non solo per redistribuire i migranti che arrivano (Patto sull’asilo e migrazione) ma anche per provare a governare i confini esterni dell’Europa.
Ferdinando Adornato, Il Messaggero
Sul Messaggero Ferdinando Adornato commenta gli sviluppi del conflitto in Medio Oriente dopo l’attacco israeliano alle basi Unifil in Libano, episodio apparentemente inspiegabile. Il fatto è che, dopo il 7 ottobre, dall’assedio di Gaza all’attacco al Libano, il vero obiettivo del governo israeliano, secondo Adornato, è stato quello di “interdire” qualsiasi possibilità di una soluzione politica della crisi. L’unica strategia, immaginata fin dall’inizio, è stata quella di mettere in campo una “lunga campagna militare”, se possibile definitiva, contro le organizzazioni terroriste e il loro sponsor iraniano. Lo scopo, neanche tanto recondito, era ed è quello di togliere per sempre dal tavolo del Medio Oriente ogni ipotesi sulla nascita di un qualsivoglia Stato palestinese. Del resto, la stessa lunghezza d’onda aveva ispirato il premier israeliano anche prima del 7 ottobre, allorché favorì la crescita di Hamas rispetto al ruolo dell’Autorità palestinese. Ecco allora il vero motivo dell’attacco alle forze dell’Onu. Non solo perché d’intralcio all’azione militare nella zona che va dal Nord di Israele al fiume Litani: ma anche per rendere simbolicamente chiaro il rifiuto di qualsiasi mediazione politica o diplomatica alla propria “guerra totale”. Netanyahu segna così una “rottura” storica con qualsiasi altro leader israeliano. Ma si può forse dire che la missione Unifil sia stata un successo? Certamente no. Dal 2006, quando ebbe inizio la sua seconda fase, pochi degli obiettivi indicati sono stati raggiunti. Comunque, a prescindere da tale fallimento, che testimonia una volta di più la crisi dell’Onu, oggi si fa sempre più incalzante un interrogativo: una volta che la guerra è esplosa in tutta la sua virulenza, ha ancora senso prolungare la presenza di Unifil? Il “caso Unifil” propone dunque due verità complementari, eppure tra loro contraddittorie. Ecco perché non ha senso abbandonarsi, come pure si è visto ieri in Parlamento, ad atteggiamenti faziosi e unilaterali, magari fino a proporre l’assurdità di rompere le nostre relazioni con Israele.
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