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Ecco che cosa potrebbe fare Trump con la guerra in Ucraina
Redazione InPiù 15/10/2024
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Dario Fertilio, Italia Oggi
Su Italia Oggi Dario Fertilio immagina ciò che potrebbe fare Trump con la guerra in Ucraina se diventasse presidente (e i sondaggi Stato per Stato oggi sembrano premiarlo). Finora, ricorda, Donald ha sparato bordate contraddittorie. Zekensky lo ha definito prima "un piazzista" e poi "un uomo d'acciaio". Lo ha schernito, quindi accolto alla Trump Tower. Ha descritto l'Ucraina come un "paese finito", che però alla fine "può vincere". Putin? Con lui è "in ottimi rapporti". Però, se fosse stato alla Casa Bianca al posto di Biden, il Cremlino non avrebbe "osato invadere Kyiv". In ogni caso, "risolverà tutto in ventiquattr'ore". Forse c'è del metodo in questa vistosa incoerenza, o forse no. Comunque, non disponendo di controprove, dobbiamo affidarci alle ipotesi. In passato, Trump ha minacciato il dittatore nord-coreano Kim Jong-di usare il "bottone atomico più grosso". Che cosa potrebbe succedere domani con Putin, rimane un mistero. Vediamo di usare un po' d'immaginazione. Con ogni probabilità, Trump non terrà conto del "Piano per la vittoria" illustrato da Zelesnky a Biden e agli europei. Potrebbe invece presentare a Putin, un progetto di pace "da non rifiutare", riassumibile in pochi punti. Primo: ritiro di tutte le truppe di Mosca presenti sul territorio ucraino, e di quelle di Kyiv dalle regioni tolte alla Russia, entrambe sostituite da amministrazioni civili temporanee e congiunte, in attesa di una definizione aggiornata dei confini. Secondo: realizzazione di una regione speciale autonoma in Crimea, sotto controllo internazionale. Terzo: dopo aver tenuto le elezioni sinora rinviate, concessione da parte di Kyiv di ampie autonomie federali agli oblast - le sue regioni - russofone. Quarto, risarcimento non soltanto simbolico di Mosca a Kyiv per i danni di guerra, in cambio della fine dell'embargo occidentale e della caduta delle accuse penali nei confronti del capo del Cremlino. La difficoltà maggiore, sicuramente, sarebbe legata al fatto che Mosca ha annesso ufficialmente i territori conquistati, e ne nascerebbe un problema costituzionale. Tuttavia, quando si ha a che fare con un presidente americano imprevedibile, forse Putin farebbe qualche riflessione in proposito. E qui dobbiamo fermare la nostra immaginazione. Con la speranza che, alla fine, tutti gli attori sul campo si accontentino di una onorevole "exit strategy". Immaginare non è peccato.
Mario Sechi, Libero
Dai e dai, commenta su Libero Mario Sechi, alla fine Carlos Tavares ha detto che Stellantis potrebbe ricorrere ai licenziamenti. Il manager dice di «non essere un mago», ma al volante c’è lui e il suo stile di guida fa venire il mal d’auto. Al Salone di Parigi Tavares parlerà in cinque eventi pubblici, speriamo trovi il tempo per riflettere, perché i suoi piani sono oscuri. Quando afferma che il passaggio dal motore endotermico a quello elettrico deve procedere rapidamente, ha in mente l’aumento costi per mantenere la doppia produzione dei propulsori e il rallentamento degli investimenti statali sulla transizione, ma i suoi calcoli finanziari (errati, visto l’allontanamento del capo della finanza di Stellantis), si scontrano con la realtà dettata dai consumatori (che non comprano l’auto elettrica), dai concessionari (che non riescono a venderla), dai governanti che prima hanno pompato la rivoluzione elettrica e ora si rendono conto dei rischi letali per l’occupazione. Nessun Paese al mondo può reggere l’urto di un crollo dell’industria dell’auto, basta ricordare cosa è successo durante la crisi finanziaria che travolse i colossi americani delle quattro ruote e diede nel 2009 a Sergio Marchionne l’occasione per fare il suo colpo da maestro, l’acquisto di uno dei simboli di Detroit, la Chrysler. Due anni dopo, nel 2011, Marchionne pronunciò sul futuro dell’auto parole sagge e regolarmente inascoltate. Il numero uno di Fiat-Chrysler avvisò i naviganti citando Bruce Springsteen, «siamo a un miglio dall’inferno», e poi lanciò una profezia: «Tutto lo sforzo normativo per promuovere l'auto elettrica porterebbe solo a un aumento dei costi, senza nessun beneficio immediato e concreto. Per ogni 500 elettrica venduta negli Usa perderemo circa 10mila dollari». Tredici anni fa Marchionne indicò il cortocircuito ideologico che avrebbe sviluppato l’incendio. Tavares è in mezzo al fuoco, lo ha alimentato, non sa come spegnerlo e ora, proiettando l’ombra dei licenziamenti, fa le prove generali del caos sociale.
Su Italia Oggi Dario Fertilio immagina ciò che potrebbe fare Trump con la guerra in Ucraina se diventasse presidente (e i sondaggi Stato per Stato oggi sembrano premiarlo). Finora, ricorda, Donald ha sparato bordate contraddittorie. Zekensky lo ha definito prima "un piazzista" e poi "un uomo d'acciaio". Lo ha schernito, quindi accolto alla Trump Tower. Ha descritto l'Ucraina come un "paese finito", che però alla fine "può vincere". Putin? Con lui è "in ottimi rapporti". Però, se fosse stato alla Casa Bianca al posto di Biden, il Cremlino non avrebbe "osato invadere Kyiv". In ogni caso, "risolverà tutto in ventiquattr'ore". Forse c'è del metodo in questa vistosa incoerenza, o forse no. Comunque, non disponendo di controprove, dobbiamo affidarci alle ipotesi. In passato, Trump ha minacciato il dittatore nord-coreano Kim Jong-di usare il "bottone atomico più grosso". Che cosa potrebbe succedere domani con Putin, rimane un mistero. Vediamo di usare un po' d'immaginazione. Con ogni probabilità, Trump non terrà conto del "Piano per la vittoria" illustrato da Zelesnky a Biden e agli europei. Potrebbe invece presentare a Putin, un progetto di pace "da non rifiutare", riassumibile in pochi punti. Primo: ritiro di tutte le truppe di Mosca presenti sul territorio ucraino, e di quelle di Kyiv dalle regioni tolte alla Russia, entrambe sostituite da amministrazioni civili temporanee e congiunte, in attesa di una definizione aggiornata dei confini. Secondo: realizzazione di una regione speciale autonoma in Crimea, sotto controllo internazionale. Terzo: dopo aver tenuto le elezioni sinora rinviate, concessione da parte di Kyiv di ampie autonomie federali agli oblast - le sue regioni - russofone. Quarto, risarcimento non soltanto simbolico di Mosca a Kyiv per i danni di guerra, in cambio della fine dell'embargo occidentale e della caduta delle accuse penali nei confronti del capo del Cremlino. La difficoltà maggiore, sicuramente, sarebbe legata al fatto che Mosca ha annesso ufficialmente i territori conquistati, e ne nascerebbe un problema costituzionale. Tuttavia, quando si ha a che fare con un presidente americano imprevedibile, forse Putin farebbe qualche riflessione in proposito. E qui dobbiamo fermare la nostra immaginazione. Con la speranza che, alla fine, tutti gli attori sul campo si accontentino di una onorevole "exit strategy". Immaginare non è peccato.
Mario Sechi, Libero
Dai e dai, commenta su Libero Mario Sechi, alla fine Carlos Tavares ha detto che Stellantis potrebbe ricorrere ai licenziamenti. Il manager dice di «non essere un mago», ma al volante c’è lui e il suo stile di guida fa venire il mal d’auto. Al Salone di Parigi Tavares parlerà in cinque eventi pubblici, speriamo trovi il tempo per riflettere, perché i suoi piani sono oscuri. Quando afferma che il passaggio dal motore endotermico a quello elettrico deve procedere rapidamente, ha in mente l’aumento costi per mantenere la doppia produzione dei propulsori e il rallentamento degli investimenti statali sulla transizione, ma i suoi calcoli finanziari (errati, visto l’allontanamento del capo della finanza di Stellantis), si scontrano con la realtà dettata dai consumatori (che non comprano l’auto elettrica), dai concessionari (che non riescono a venderla), dai governanti che prima hanno pompato la rivoluzione elettrica e ora si rendono conto dei rischi letali per l’occupazione. Nessun Paese al mondo può reggere l’urto di un crollo dell’industria dell’auto, basta ricordare cosa è successo durante la crisi finanziaria che travolse i colossi americani delle quattro ruote e diede nel 2009 a Sergio Marchionne l’occasione per fare il suo colpo da maestro, l’acquisto di uno dei simboli di Detroit, la Chrysler. Due anni dopo, nel 2011, Marchionne pronunciò sul futuro dell’auto parole sagge e regolarmente inascoltate. Il numero uno di Fiat-Chrysler avvisò i naviganti citando Bruce Springsteen, «siamo a un miglio dall’inferno», e poi lanciò una profezia: «Tutto lo sforzo normativo per promuovere l'auto elettrica porterebbe solo a un aumento dei costi, senza nessun beneficio immediato e concreto. Per ogni 500 elettrica venduta negli Usa perderemo circa 10mila dollari». Tredici anni fa Marchionne indicò il cortocircuito ideologico che avrebbe sviluppato l’incendio. Tavares è in mezzo al fuoco, lo ha alimentato, non sa come spegnerlo e ora, proiettando l’ombra dei licenziamenti, fa le prove generali del caos sociale.
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