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Se il Pd non vede il ritorno dell'odio

Sintesi degli editoriali dei principali giornali

Redazione InPiù 02/10/2024

Se il Pd non vede il ritorno dell'odio Se il Pd non vede il ritorno dell'odio Stefano Folli, la Repubblica
Su Repubblica Stefano Folli commenta l’attacco iraniano a Israele, a pochi giorni dal primo anniversario del 7 ottobre. La sensazione – scrive – è che sia l’inizio dello scontro definitivo, dopo di che — non sappiamo quando — la mappa geopolitica della regione potrebbe essere diversa. Nelle stesse ore qui a Roma tiene banco un tema connesso al dramma in corso, quasi lo svelamento di una “quinta colonna” che in forma consapevole o inconsapevole sostiene l’attacco a Israele. Fra tre giorni, sabato prossimo, Roma correrà il rischio di gravi disordini. Il centro della città, in particolare la zona del quartiere ebraico e della sinagoga, si annuncia come lo scenario di una manifestazione non autorizzata, messa in piedi per celebrare in modo esplicito il pogrom del 7 ottobre 2023 in cui circa 1.200 israeliani, compresi alcuni loro amici provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa, sono stati massacrati e 240 rapiti. Lo slogan che da allora ha attraversato l’Atlantico ed è risuonato nelle università americane come nelle piazze europee, Italia compresa, è inequivocabile: “Palestina libera dal fiume al mare”. Dal Giordano alle rive del Mediterraneo: proprio lo spazio geografico occupato dallo Stato di Israele, la cui legittimità è semplicemente negata, per cui diventa “l’entità coloniale sionista”. Non si può ammettere una manifestazione inneggiante al terrorismo nel cuore della capitale. Non si può ammettere in alcun caso. E non c’entra la tolleranza liberale per cui si garantisce il diritto di parola a tutti, soprattutto a chi la pensa in modo opposto. Qui siamo di fronte a una prova di forza in cui si mescola antisemitismo, odio verso l’Occidente, desiderio di distruggere Israele, plauso esplicito al pogrom dell’anno scorso, uno degli episodi più efferati degli ultimi decenni. Allora cosa hanno da dire le forze politiche in vista di sabato? Il governo ha vietato la manifestazione. Ma il centrosinistra? Silenzio. Chi si candida a governare l’Italia, a cominciare dal Pd ovviamente, non può restare nel vago davanti a una sfida esplicita ai valori in cui si riconosce la democrazia repubblicana.
 
Federico Rampini, Corriere della Sera
Chi avrebbe detto – scrive Federico Rampini sul Corriere della Sera – che un anno dopo la strage del 7 ottobre saremmo precipitati fino a questo punto? Il conflitto in Medio Oriente sembra sfuggito di mano a tutti i protagonisti: Israele, l’Iran con la sua galassia di organizzazioni terroristiche, l’America. Ieri c’è stato il grave attentato a Jaffa, e 181 missili dall’Iran su Israele. L’impressione di una spirale infernale, in cui ciascuno restituisce colpi all’impazzata senza calcolarne le conseguenze, deve però essere seguita da un bilancio più preciso. Tutto può ancora cambiare cento volte, ma oggi in difficoltà è soprattutto l’Iran. Quando il regime degli ayatollah diede via libera a Hamas per la carneficina di civili ebrei e la presa di ostaggi, di sicuro non voleva arrivare dodici mesi dopo al punto in cui si trova oggi. Ha visto decapitare le propaggini armate di Hezbollah e Hamas con cui terrorizza e ricatta il Medio Oriente da decenni. La sua credibilità è ridotta al punto che l’Iran oggi può apparire come una «tigre di carta», visto che anche la seconda ondata di attacchi missilistici contro Israele è stata neutralizzata, come già accadde ad aprile. Sul terreno politico, il conflitto in Medio Oriente è entrato in una fase nuova e sta prendendo una piega sorprendente. Si parla di escalation, allargamento della guerra, dimenticando che da dodici mesi in realtà c’è una grande assenza in questo conflitto: nessun Paese arabo si è lasciato coinvolgere; se non, occasionalmente, per aiutare Israele a intercettare missili iraniani, e per mandare aiuti umanitari a Gaza. È un’assenza clamorosa che dà la misura del fallimento iraniano. Buona parte del mondo arabo esulta per il colpo che le forze armate israeliane hanno sferrato a Hezbollah. E non si tratta solo delle leadership arabe, ma anche della popolazione. Altra sorpresa: la tenuta degli accordi di Abramo, con cui nel 2020 Israele fu riconosciuto da Emirati arabi uniti, Bahrain, poi anche Marocco e Sudan. Nonostante siano molto critici verso Netanyahu e appoggino la creazione di uno Stato palestinese, l’asse con Tel Aviv non si tocca. L’Arabia saudita è più defilata — non è ancora pronta a riconoscere Israele — ma su un punto è in sintonia coi suoi vicini: la minaccia esistenziale in Medio Oriente è l’Iran; se Israele riesce a indebolire «l’asse della resistenza» (Hamas Hezbollah Houthi) filo-iraniano, è un bene.
 
Annalisa  Cuzzocrea, La Stampa
Sulla Stampa Annalisa Cuzzocrea sottolinea come il cosiddetto “campo largo”, di cui si è annunciata la morte, in realtà non sia mai esistito. Quando mai – osserva – i leader di Pd, M5s, Alleanza Verdi Sinistra, Italia Viva, Azione, Più Europa si sono seduti intorno a un tavolo chiedendosi: che facciamo? Cosa portiamo con noi? Cosa mettiamo da parte? Che progetto abbiamo per questo Paese, o per questa regione, o per questa città? Come lo rendiamo convincente? Che parole usiamo, che non siano ormai lise da una politica talmente lontana da non rendersi conto che mentre i missili iraniani cadono su Tel Aviv e Gerusalemme, e mentre i carri armati israeliani entrano in Libano, e la Russia non molla la sua presa sull’Ucraina, sentire parlare di Renzi sì, Renzi no, posti nel cda Rai, strapuntini nei telegiornali, liste da compilare col Cencelli di una coalizione mai nata, è fuori dal tempo e da qualsiasi ragione? Giuseppe Conte e il suo antagonista preferito Matteo Renzi – il comportamento è da bambini e a spiegarlo possono aiutarci giusto le categorie delle fiabe – non si sono con tutta evidenza mai ripresi dalla caduta del Conte due. Il governo che il leader di Italia Viva aveva contribuito a far nascere prendendosi la soddisfazione di farlo fallire. Quello in cui Conte si era ritrovato quasi per caso, ma che poi lo aveva reso – agli occhi di qualcuno – «il punto di riferimento fortissimo dei progressisti». È durata finché ha creduto di poter essere lui a guidare. Poi, con la batosta delle elezioni e l’avvento di Elly Schlein, è cambiato tutto. È arrivata la paura di essere trattato come un cespuglio, quella di dover rendere il giocattolo a Beppe Grillo dopo una sequela insensata di cavillose pec legali, la difficoltà di gestire un Movimento in cui ha fatto in modo di non avere rivali ma che stenta a radicarsi, a consolidarsi, a darsi un’identità che non sia costruita su un nemico: e quale miglior nemico, per un 5 stelle, di un Renzi combattuto fin dalle origini e ridotto al 2 per cento? È lo stesso metodo della destra: definirsi per opposizione a qualcosa. Peccato che Meloni e compagni lo facciano sempre mettendo nel mirino la sinistra. E che dall’altra parte, invece, si cerchi sempre di colpire il più vicino possibile: per dimostrarsi più puri, integerrimi, onesti, sinceri.
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