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Ucraina e buoni propositi
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 30/09/2024
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Goffredo Buccini, Corriere della Sera
“Diciamocelo una buona volta: noi occidentali e gli ucraini siamo fatti per non capirci”. Lo scrive Goffredo Buccini sul Corriere della Sera parlando di ‘Ucraina e buoni propositi’: “E non è che loro non provino a spiegarsi. È che le basi di dialogo sono troppo distanti: le invocazioni di Zelensky e dei suoi ci arrivano flebili, voci da un altro mondo. Stiamo al loro fianco, certo, «fino alla vittoria», andiamo ripetendo. Talvolta preghiamo per la martoriata Ucraina. Ma c’è un limite, insomma. Noi, dopo quasi
ottant’anni di pace e di progresso, seduti in salotti che saranno ben riscaldati per l’inverno, ci arrovelliamo sul da farsi. Ci arrovelliamo sul concedere o meno a Kiev l’opportunità di difendersi con le nostre armi andando a colpire le basi militari, ovvia- mente ben dentro al territorio russo, da cui partono gli aerei e i missili che fanno strage di civili ucraini (noi italiani, va detto, con un supplemento di rovello, che ha annacquato parecchio la nostra posizione atlantista perché si sa, siamo fatti così, non riusciamo mai a stare da una parte sola senza fibrillare). E insomma – fa notare Buccini - s’è capito che il «piano per la vittoria» di Zelensky era in realtà un piano per la sopravvivenza. Dunque, tra noi occidentali e gli ucraini è in atto da più di due anni e mezzo un dialogo dell’irrealtà. Che gli ucraini tendono a mettere in mora con azioni di grande realismo. Zelensky sospetta che noi non vogliamo che perda, ma nemmeno davvero che vinca. Perché temiamo che, un attimo prima di cadere, il tiranno di Mosca userebbe l’arma di fine mondo. O, nell’ipotesi meno cruenta, paventiamo l’effetto di un suo crollo sui mercati e sul petrolio: vogliamo che logori Putin, in
uno stallo infinito. Questo calcolo, oltre a essere cinico, è miope. Putin sta già giocando una partita più larga. A fine ottobre si riuniranno in Russia, a Kazan, i Brics: un gruppo che ormai comprende una decina di Paesi, il 35% del Pil globale e il 45% della popolazione mondiale. Prevalendo sulla spinta democratica di India e Brasile, il tiranno moscovita si presenterà da trionfatore, con accanto Cina e Iran, per posizionare il gruppo contro l’Occidente. Forse – conclude Buccini - come diceva il Papa, la terza guerra mondiale è in corso da un pezzo. Ma noi non la vediamo: perché siamo troppo impegnati a discuterne”.
Gianni Vernetti, la Repubblica
Gianni Vernetti su Repubblica prefigura gli scenari post invasione Libano: “Ora – scrive l’editorialista - la profonda sconfitta militare e politica inferta ad Hezbollah dallo stato di Israele rende possibile pensare ad un Medio Oriente molto differente da quello che abbiamo conosciuto in questi anni. L’onda tellurica che si è dipanata dal quartiere di Dahieh a Beirut potrebbe però giungere fino a Teheran e far nascere un Medio Oriente difficilmente pensabile anche solo fino a poche settimane fa. E i festeggiamenti per la fine di Hezbollah in molte città del Golfo, nelle aree curde, nelle enclave della Siria che resistono, nelle città europee abitate dai molti esuli iraniani, sono un primo indizio di un cambiamento possibile. La comunità internazionale, a cominciare dall’Europa, dovrebbe cogliere fino in fondo le opportunità derivanti dalla fine di Hezbollah, Hamas e Houti, iniziando a pensare in modo innovativo come sostenere un nuovo Medio Oriente nel quale musulmani, ebrei e cristiani possano convivere e prosperare insieme. Si apre dunque per Europa e Usa – sottolinea Vernetti - una finestra di opportunità per rafforzare il campo della pace in Medio Oriente a partire dal rilancio di due progetti che potrebbero essere la cornice nella quale collocare questa nuova stagione: gli Accordi di Abramo e Imec, il Corridoio Economico India-Golfo-Israele-Europa. Gli Accordi di Abramo possono essere la nuova cornice giuridica e politica all’interno della quale collocare una serie di accordi di pace in grado di disegnare un nuovo Medio Oriente e possono essere estesi in tempi rapidi anche a Libano e Autorità Nazionale Palestinese. Ma la pace per essere duratura ha bisogno di sviluppo. Ed è qui che entra in gioco il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (Imec), che può rappresentare una grande opportunità di sviluppo e stabilità fra India, paesi del Golfo, Arabia Saudita, Israele ed Europa, attraverso la creazione di una rete multimodale di 4.800km di connessioni navali e ferroviarie. La fine delle organizzazioni terroristiche che hanno sequestrato il Medio Oriente almeno negli ultimi tre decenni apre delle opportunità che vanno rapidamente colte per disegnare un nuovo Medio Oriente nel quale stabilità e sviluppo saranno la regola”.
Stefano Stefanini, La Stampa
“Il dado è tratto. L’ingresso delle truppe di terra israeliane nel Libano meridionale, che da ieri sera sembra definitivamente avviato, vuol dire una cosa sola: Gerusalemme è arrivata alla conclusione strategica che la minaccia rappresentata da Hezbollah va estirpata”. Lo scrive Stefano Stefanini sulla Stampa parlando di ‘scommessa ad alto rischio’: “Non basta. Hezbollah come milizia armata va tolta di mezzo quanto meno dalla fascia del Libano a Sud del fiume Litani. Era quanto previsto dalla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2006, che abbiamo sentito spesso evocare da parte israeliana in questi mesi. Invano. Per Hamas a fare venir meno la tolleranza per motivi più che trasparenti è stata la strage del 7 ottobre. La guerra a Hezbollah rientra in un calcolo strategico più complesso. Attaccando frontalmente il Partito di Dio in Libano – osserva l’editorialista - Israele vuol rompere l’accerchiamento pazientemente realizzato dall’arco di resistenza sciita sotto regia di Teheran, comprendente Hamas (non sciita ma finanziato ed equipaggiato dall’Iran) a Sud, ma soprattutto «l’arco di resistenza» delle milizie pro-iraniane che va dagli Houthi in Yemen a varie milizie in Iraq e Siria, fino alla punta di diamante, Hezbollah in Libano. Il Partito di Dio si prepara da anni a questa invasione. Ha mili- zie numerose, ben armate e addestrate sui campi di battaglia della Siria. L’ingresso di truppe israeliane in Libano, specie se andrà oltre il “mordi e distruggi” è dunque una grossa e rischiosa scommessa militare – senza per ora addentraci negli scenari politici nei quali la grande incognita è cosa farà l’Iran: subire (ancora!) o reagire? Ma reagire non sarebbe proprio quello che Israele vuole? A Teheran, dove la dirigenza è divisa e il fronte interno fragile, ci si deve domandare come non cadere in una trappola israeliana e salvare la faccia – in Medio Oriente nulla è peggio che dare la percezione di debolezza. Chi ha ribaltato l’equazione dei rapporti di forza, esattamente un anno dopo il massacro del 7 ottobre, è Israele. Hezbollah, e l’Iran, non avevano capito che il dado era tratto da tempo. Quello che sta succedendo in Libano, dai pager che esplodono alle 80 bombe che hanno colpito il quartier generale che ospitava Narsrallah, non si improvvisa. E adesso – conclude - la parola passa all’operazione di terra”.
“Diciamocelo una buona volta: noi occidentali e gli ucraini siamo fatti per non capirci”. Lo scrive Goffredo Buccini sul Corriere della Sera parlando di ‘Ucraina e buoni propositi’: “E non è che loro non provino a spiegarsi. È che le basi di dialogo sono troppo distanti: le invocazioni di Zelensky e dei suoi ci arrivano flebili, voci da un altro mondo. Stiamo al loro fianco, certo, «fino alla vittoria», andiamo ripetendo. Talvolta preghiamo per la martoriata Ucraina. Ma c’è un limite, insomma. Noi, dopo quasi
ottant’anni di pace e di progresso, seduti in salotti che saranno ben riscaldati per l’inverno, ci arrovelliamo sul da farsi. Ci arrovelliamo sul concedere o meno a Kiev l’opportunità di difendersi con le nostre armi andando a colpire le basi militari, ovvia- mente ben dentro al territorio russo, da cui partono gli aerei e i missili che fanno strage di civili ucraini (noi italiani, va detto, con un supplemento di rovello, che ha annacquato parecchio la nostra posizione atlantista perché si sa, siamo fatti così, non riusciamo mai a stare da una parte sola senza fibrillare). E insomma – fa notare Buccini - s’è capito che il «piano per la vittoria» di Zelensky era in realtà un piano per la sopravvivenza. Dunque, tra noi occidentali e gli ucraini è in atto da più di due anni e mezzo un dialogo dell’irrealtà. Che gli ucraini tendono a mettere in mora con azioni di grande realismo. Zelensky sospetta che noi non vogliamo che perda, ma nemmeno davvero che vinca. Perché temiamo che, un attimo prima di cadere, il tiranno di Mosca userebbe l’arma di fine mondo. O, nell’ipotesi meno cruenta, paventiamo l’effetto di un suo crollo sui mercati e sul petrolio: vogliamo che logori Putin, in
uno stallo infinito. Questo calcolo, oltre a essere cinico, è miope. Putin sta già giocando una partita più larga. A fine ottobre si riuniranno in Russia, a Kazan, i Brics: un gruppo che ormai comprende una decina di Paesi, il 35% del Pil globale e il 45% della popolazione mondiale. Prevalendo sulla spinta democratica di India e Brasile, il tiranno moscovita si presenterà da trionfatore, con accanto Cina e Iran, per posizionare il gruppo contro l’Occidente. Forse – conclude Buccini - come diceva il Papa, la terza guerra mondiale è in corso da un pezzo. Ma noi non la vediamo: perché siamo troppo impegnati a discuterne”.
Gianni Vernetti, la Repubblica
Gianni Vernetti su Repubblica prefigura gli scenari post invasione Libano: “Ora – scrive l’editorialista - la profonda sconfitta militare e politica inferta ad Hezbollah dallo stato di Israele rende possibile pensare ad un Medio Oriente molto differente da quello che abbiamo conosciuto in questi anni. L’onda tellurica che si è dipanata dal quartiere di Dahieh a Beirut potrebbe però giungere fino a Teheran e far nascere un Medio Oriente difficilmente pensabile anche solo fino a poche settimane fa. E i festeggiamenti per la fine di Hezbollah in molte città del Golfo, nelle aree curde, nelle enclave della Siria che resistono, nelle città europee abitate dai molti esuli iraniani, sono un primo indizio di un cambiamento possibile. La comunità internazionale, a cominciare dall’Europa, dovrebbe cogliere fino in fondo le opportunità derivanti dalla fine di Hezbollah, Hamas e Houti, iniziando a pensare in modo innovativo come sostenere un nuovo Medio Oriente nel quale musulmani, ebrei e cristiani possano convivere e prosperare insieme. Si apre dunque per Europa e Usa – sottolinea Vernetti - una finestra di opportunità per rafforzare il campo della pace in Medio Oriente a partire dal rilancio di due progetti che potrebbero essere la cornice nella quale collocare questa nuova stagione: gli Accordi di Abramo e Imec, il Corridoio Economico India-Golfo-Israele-Europa. Gli Accordi di Abramo possono essere la nuova cornice giuridica e politica all’interno della quale collocare una serie di accordi di pace in grado di disegnare un nuovo Medio Oriente e possono essere estesi in tempi rapidi anche a Libano e Autorità Nazionale Palestinese. Ma la pace per essere duratura ha bisogno di sviluppo. Ed è qui che entra in gioco il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (Imec), che può rappresentare una grande opportunità di sviluppo e stabilità fra India, paesi del Golfo, Arabia Saudita, Israele ed Europa, attraverso la creazione di una rete multimodale di 4.800km di connessioni navali e ferroviarie. La fine delle organizzazioni terroristiche che hanno sequestrato il Medio Oriente almeno negli ultimi tre decenni apre delle opportunità che vanno rapidamente colte per disegnare un nuovo Medio Oriente nel quale stabilità e sviluppo saranno la regola”.
Stefano Stefanini, La Stampa
“Il dado è tratto. L’ingresso delle truppe di terra israeliane nel Libano meridionale, che da ieri sera sembra definitivamente avviato, vuol dire una cosa sola: Gerusalemme è arrivata alla conclusione strategica che la minaccia rappresentata da Hezbollah va estirpata”. Lo scrive Stefano Stefanini sulla Stampa parlando di ‘scommessa ad alto rischio’: “Non basta. Hezbollah come milizia armata va tolta di mezzo quanto meno dalla fascia del Libano a Sud del fiume Litani. Era quanto previsto dalla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2006, che abbiamo sentito spesso evocare da parte israeliana in questi mesi. Invano. Per Hamas a fare venir meno la tolleranza per motivi più che trasparenti è stata la strage del 7 ottobre. La guerra a Hezbollah rientra in un calcolo strategico più complesso. Attaccando frontalmente il Partito di Dio in Libano – osserva l’editorialista - Israele vuol rompere l’accerchiamento pazientemente realizzato dall’arco di resistenza sciita sotto regia di Teheran, comprendente Hamas (non sciita ma finanziato ed equipaggiato dall’Iran) a Sud, ma soprattutto «l’arco di resistenza» delle milizie pro-iraniane che va dagli Houthi in Yemen a varie milizie in Iraq e Siria, fino alla punta di diamante, Hezbollah in Libano. Il Partito di Dio si prepara da anni a questa invasione. Ha mili- zie numerose, ben armate e addestrate sui campi di battaglia della Siria. L’ingresso di truppe israeliane in Libano, specie se andrà oltre il “mordi e distruggi” è dunque una grossa e rischiosa scommessa militare – senza per ora addentraci negli scenari politici nei quali la grande incognita è cosa farà l’Iran: subire (ancora!) o reagire? Ma reagire non sarebbe proprio quello che Israele vuole? A Teheran, dove la dirigenza è divisa e il fronte interno fragile, ci si deve domandare come non cadere in una trappola israeliana e salvare la faccia – in Medio Oriente nulla è peggio che dare la percezione di debolezza. Chi ha ribaltato l’equazione dei rapporti di forza, esattamente un anno dopo il massacro del 7 ottobre, è Israele. Hezbollah, e l’Iran, non avevano capito che il dado era tratto da tempo. Quello che sta succedendo in Libano, dai pager che esplodono alle 80 bombe che hanno colpito il quartier generale che ospitava Narsrallah, non si improvvisa. E adesso – conclude - la parola passa all’operazione di terra”.
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