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Un Paese strano, l'America

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 27/09/2024

Un Paese strano, l'America Un Paese strano, l'America Aldo Cazzullo, Corriere della Sera
La guerra nucleare non è mai stata così vicina; ma solo il 2 per cento degli americani – sottolinea Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera – voterà pensando alla politica estera. Il 21% voterà per «la difesa della democrazia»: sono ovviamente democratici convinti che Trump rappresenti un pericolo per le istituzioni. Ma un’ampia maggioranza relativa, il 41%, voterà pensando all’economia. Perché l’America è sì una grande democrazia; ma è anche la prima potenza economica mondiale. È una democrazia capitalista, dove si vota sui prezzi, sui salari, sull’occupazione. E sulle tasse. Non a caso, Trump promette una bella sforbiciata al fisco. E, sempre non a caso, il 50% degli intervistati sostiene che Trump governerebbe l’economia meglio della Harris; soltanto il 39% pensa il contrario, gli altri non si esprimono. E il sondaggio non è stato commissionato dalla Fox, la rete dei conservatori, bensì dalla Cnn, la rete dei progressisti. Questo non significa che Trump vincerà. Significa che la partita è apertissima. Soprattutto, significa che noi europei fatichiamo a capire Trump e la sua America. Eppure è importante capire perché il voto del 5 novembre sia così in bilico. L’economia non è necessariamente «roba da repubblicani». Ma quando l’economia va bene, la priorità, più che gli aiuti, diventano i dividendi. Trump ha un piano di tagli alle tasse e di «reindustrializzazione del Paese» che piace sia ai lavoratori sia a un certo tipo di imprese, meno digitalizzate e più tradizionali. Ma il suo piano include anche dazi, destinati a provocare ritorsioni sui prodotti americani. Il trumpismo è America first, cioè isolazionismo, protezionismo, prudenza o ritiro dagli scenari di crisi. Però la forza dell’America non è solo nelle basi militari e nelle portaerei. È nel fatto che le sue aziende tecnologiche, quelle che trainano la Borsa, hanno un mercato illimitato, da otto miliardi di consumatori.  L’America resta la prima potenza mondiale anche perché è attrattiva. Se c’è una scoperta scientifica o un caso letterario, un vaccino o un prodotto high-tech, è da lì che viene. È un sistema che ha aspetti terribili, che seleziona e scarta, che considera la salute non un diritto ma un bene da comprare e da vendere, come il cibo e la casa. Ma è un sistema che funziona.
 
Gabriele Segre, La Stampa
Sulla Stampa Gabriele Segre indica una soluzione per l’attuale crisi della democrazia, gravemente malata. Le notizie più recenti sul suo stato di salute – scrive – sono arrivate dal Brandeburgo, dove la Germania è riuscita a rallegrarsi per il fatto che sia rimasto un sottilissimo 1, 7% a separare i vincitori socialdemocratici dall’estrema destra di AfD. E tutto ciò mentre il terzo posto del partito della sinistra radicale Bsw ci ricorda quanto il populismo possa prescindere dal colore politico. È piuttosto naturale che la democrazia presenti qualche acciacco, considerando da quanto tempo regola la vita dei cittadini in questa parte del mondo. Tuttavia, ciò non rende la questione meno allarmante soprattutto perché le cause del malessere sono tanto evidenti quanto disarmanti: la democrazia ha smesso di rispondere alle nostre aspettative. Non si tratta solo di benessere economico, ma di prospettive: i genitori non vedono i propri figli progredire nell’ascesa sociale che sembrava destinata a ogni generazione, né i giovani sembrano pronti a «mangiarsi il futuro» che un tempo appariva come un’opportunità, ma che ora è sempre più percepito come una minaccia. Quando queste forme di delusione si accumulano, assistiamo a un rigetto dello spazio democratico che, col tempo, finisce per autoalimentarsi: più cresce la sfiducia nella democrazia meno essa riesce a rispondere alle aspettative. Tuttavia, evitare di demonizzare tali manifestazioni contribuirebbe a rafforzare la cultura democratica. La guarigione non avverrà trattando le forze antidemocratiche come se fossero elementi estranei al corpo che le ha generate. Ancora peggio sarebbe ignorarle, tentando di isolarle nell’illusione che la società plurale possa guarire da sola, oppure, all’opposto, dando quest’ultima per spacciata, priva ormai di ogni forza per reagire. Allora sì che saremmo veramente nei guai.
 
Paolo Balduzzi, Il Messaggero
Uno dei grandi paradossi economici del nostro paese, perlomeno negli ultimi tempi, osserva sul Messaggero Paolo Balduzzi, è legato all’andamento della produzione industriale. Nonostante i dati positivi sull’occupazione, che continua a crescere, e sul reddito, che aumenta a ritmi non certo entusiasmanti ma ormai regolarmente positivi, il livello di produzione industriale risulta in diminuzione da un anno e mezzo, e i dati più recenti della produzione industriale domestica stabiliscono addirittura il livello minimo negli ultimi dieci anni. Per comprendere e contrastare questa tendenza, secondo Balduzzi, bisogna considerare il contributo che il settore dei servizi – il cosiddetto “terziario” – può dare al sistema economico. In effetti, i servizi attirano sempre più personale e oggi occupano oltre il 70% della forza lavoro. Si tratta di un dato in crescita, tanto nel lungo quanto nel breve periodo. Il settore secondario, cioè l’industria, al contrario, mostra una dinamica opposta di regolare diminuzione dei lavoratori. Il problema è che questa transizione avviene a discapito della produttività, perché interessa principalmente servizi dove questa è più bassa (come la ristorazione e il turismo) e poco, o quasi per nulla, quelli dove invece  è più elevata (come ad esempio, i servizi finanziari, in campo economico, o quelli informatici e legati all’intelligenza artificiale, in campo tecnologico). Per questa ragione, il terziario compensa il calo della produzione industriale – e infatti il prodotto interno lordo continua a crescere – ma non ci permette, ancora, di fare quel salto di qualità che il Paese aspetta da tempo. Cosa servirebbe dunque per tale cambiamento? La risposta deve essere articolata. Da un lato, infatti, non si può e non si deve accettare la dinamica negativa dell’industria come una tendenza irreversibile. Dall’altro lato, non si può che provare a valorizzare ulteriormente proprio il settore terziario e a farlo crescere. 
 
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