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Altro parere

Disastro auto, manager complici

Redazione InPiù 26/09/2024

Altro parere Altro parere Nicola Porro, Il Giornale
Se un signore viene pagato 37 milioni all’anno, sostiene sul Giornale Nicola Porro, si presume che abbia dei meriti per godersi questa retribuzione. Se il medesimo manager chiude fabbriche, mette in cassa integrazione i suoi dipendenti, si può sempre ritenere che lo faccia per il «bene supremo» dell’azienda, anche se in contrasto con gli interessi della manodopera. Se però l’azienda che guida ha perso la metà del suo valore in Borsa ed è ritornata alla casella di partenza di tre anni fa beh, allora stiamo parlando di Carlos Tavares, il numero uno di Stellantis, secondo produttore di auto in Europa, aggregatore dei marchi Fiat, Peugeot e Opel e strenuo difensore del virus che ha ucciso l’industria automobilistica europea: l’elettrificazione. Questa enorme crisi dell’auto nel Vecchio continente viene spesso attribuita alle folli politiche green della prima commissione Ursula. È senz’altro così: politici e burocrati hanno forzato la mano alle scelte del mercato. Ma i ricchi signori dell’auto che facevano, mentre costruivano la ghigliottina? Gli azionisti e i loro strapagati manager che dicevano? Nulla, in silenzio, senza fiatare. Magari sperando in un’ondata di sussidi pubblici che li potesse proteggere. La politica ha le sue colpe, ma il privato è stato complice. Possiamo dire finalmente che la classe dirigente continentale di questa industria è stata del tutto inadeguata alla sfida del futuro? Dei nani, schiacciati da Bruxelles e da Pechino. Vedete, nel 2017 un gigante aveva previsto  tutto. Si chiamava Sergio Marchionne. A differenza dei suoi successori, diceva chiaramente che la rivoluzione green nell’auto era una follia. In occasione del conferimento di una laurea Honoris causa, aveva spiegato tre paradossi. Il primo è che le auto elettriche non sono neutrali dal punto di vista del carbonio, perché per produrle si impiega molta energia. La seconda è che hanno dei limiti strutturali enormi in termini di autonomia e ricarica. E il terzo, quello fondamentale per il comparto, è che il loro costo di produzione sarà elevatissimo e, dunque, il prezzo per i consumatori improponibile. Marchionne era un manager, pensava ai suoi azionisti, al sano profitto, al mercato, ed era pragmatico. Purtroppo morì un anno dopo questa sua profezia.
 
Alessandra Ricciardi, Italia Oggi
E tre – scrive Alessandra Ricciardi su Italia Oggi. Dopo il Jobs act e l'autonomia differenziata, la sinistra scende in campo on un altro referendum, questa volta per la cittadinanza agli stranieri. Grazie alla mobilitazione del Pd, e alla sponsorizzazione di volti noti della tv e del cinema, gli ex radicali di +Europa sono riusciti a raccogliere in questi giorni le 500mila firme necessarie per presentare il quesito abrogativo di una parte della legge 91 del 1992. Si prevede in sostanza che invece di 10 anni di regolare residenza sul nostro territorio come requisito base per chiedere la cittadinanza ne bastino solo 5 e che la stessa si trasferisca ai figli minorenni, a beneficio immediato di quasi due milioni e mezzo di immigrati che si ritroverebbero a essere cittadini italiani. Il quesito per essere considerato ammissibile dovrà superare il vaglio della Corte di cassazione e della Corte costituzionale. Ed è il primo scoglio. C’è poi il quorum: perché il referendum sia valido si dovrà recare alle urne la maggioranza degli aventi diritto, cosa che dal 1997 ad oggi è accaduta solo una volta. Se tutto dovesse andare secondo gli auspici dei promotori, in primavera vi sarebbero ben tre referendum, due che mirano al cuore delle politiche del governo Meloni, l’autonomia differenziata e la stretta sugli ingressi degli immigrati irregolari; il terzo che punta a smantellare il Jobs act, uno dei pilastri del riformismo del Pd di Matteo Renzi. Un riformismo a cui Elly Schlein ha girato le spalle per abbracciare le rivendicazioni massimaliste della Cgil. Tre quesiti sui quali la Schlein punta per costruire dal punto di vista programmatico e del consenso quel campo largo delle sinistre che rappresenta l’unica strada per poter essere competitiva elettoralmente rispetto al centrodestra. Ma tornando al quesito sulla cittadinanza, resta un tema di fondo: siamo sicuri che bastino 5 anni per dirsi cittadini italiani? Altri paesi come Francia e Germania, che per anni sono stati modelli di accoglienza e integrazione, con governi di centrosinistra hanno innescato la retromarcia approvando norme molto più stringenti sugli ingressi e sulla cittadinanza. Di fronte ai problemi di integrazione di un’immigrazione di massa di popoli con culture e costumi diversi da quelli occidentali Macron e Scholz hanno fatto un bagno di realismo.
 
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