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Altro parere

C'era una volta in Libano

Redazione InPiù 24/09/2024

Altro parere Altro parere Marco Travaglio, Fatto Quotidiano
“La storia è maestra di vita perché insegna che la storia non insegna niente”.  Così Marco Travaglio racconta il conflitto in Medio Oriente: “Bibi Netanyahu attacca il Libano raccontando che ‘sconfiggerà il terrorismo’ di Hezbollah. Ma, se conoscesse la storia di Israele, saprebbe che due guerre in Libano per sconfiggere il terrorismo hanno già visto Israele sconfitto e il terrorismo vincitore. La prima la scatenò il governo Begin nel 1982 per scacciare le milizie Olp che vi imperversavano dal 1970. Anche in Libano i feddayin di Arafat&C. misero su uno Stato nello Stato, destabilizzando i precari equilibri politici fra le varie milizie. Tutti contro tutti, fino all’invasione siriana del 1976 e a quella israeliana del 1982, detta ‘Pace in Galilea’. La guidò il ministro della Difesa Sharon, che doveva ripulire il Sud del Libano, usato dall’Olp come rampa di lancio per razzi e missili contro i villaggi dell’Alta Galilea. Il 22 agosto – scrive Travaglio - il giovane leader cristiano Bashir Gemayel, alleato di Tel Aviv, fu eletto presidente del Libano. Era pronto a fare pace con Israele, come l’egiziano Sadat, appena assassinato come traditore della causa araba. E il 14 settembre fu ucciso anche lui, insieme a 30 collaboratori e guardie del corpo, da un commando filosiriano. I suoi falangisti cristiano-maroniti, nella notte fra il 16 e il 17 settembre, scatenarono una feroce rappresaglia nei campi profughi di Sabra e Chatila, nei dintorni di Beirut, senza distinguere fra terroristi armati dell’Olp e civili inermi. La Corte Suprema israeliana, pur escludendo sue responsabilità dirette, costrinse Sharon a dimettersi da ministro della Difesa (fine della sua carriera per quasi 20 anni). Intanto Arafat&C., dopo una guerra civile con gruppi palestinesi dissidenti, furono cacciati pure dal Libano e traslocarono in Tunisia. Prontamente sostituiti dalle milizie sciite di Hezbollah, il “partito di Dio” filo-iraniano. Che ripresero da dove l’Olp aveva interrotto, bombardando incessantemente l’Alta Galilea per un quarto di secolo. Nel 2006 il premier israeliano Ehud Olmert lanciò la seconda guerra del Libano, prima via aria poi via terra, per annientare Hezbollah: 34 giorni di scontri, 1.100 morti libanesi e 154 israeliani, e nulla di fatto. Ora – conclude - con Netanyahu, non c’è il due senza il tre”.
 
Angelo Moro, il Manifesto
“È singolare come la crisi che sta attraversando l’auto elettrica sembri suscitare presso alcuni settori della politica (e probabilmente, ma celatamente, anche del sindacato) una strana nostalgia dell’«era Marchionne»”. Lo scrive Angelo Moro sul Manifesto: “La miopia rispetto alla possibilità di una transizione verso l’elettrico, a più riprese mostrata dal manager italo-canadese durante la sua gestione di Fiat prima e di Fca dopo, viene ora rivalutata anacronisticamente come una forma di lungimiranza rispetto alle difficoltà che il settore sta mostrando a livello europeo a sostenere una domanda di massa di veicoli elettrici. Questa strana condiscendenza della posterità sembra dimenticare che proprio lo stesso Marchionne ha posto le radici per la crisi strutturale del settore automotive in Italia, che non solo sono antecedenti rispetto alle problematiche poste dalla transizione all’elettrico, ma addirittura rischiano di amplificarle notevolmente rispetto a quanto avviene in altri paesi produttori. La strategia su cui Fca ha puntato il suo rilancio - e che non ha caso è stata presentata all’opinione pubblica come «piano Marchionne» (ma in realtà di piani ce ne sono stati diversi) – si basava quasi esclusivamente sulla concentrazione in Italia della produzione di veicoli cosiddetti premium, ovverosia a più alto valore aggiunto e dunque con più margini di guadagno per l’impresa, mentre puntava sulla delocalizzazione delle produzioni con minori margini verso paesi col costo del lavoro più basso (Polonia, Turchia e Serbia, per restare al solo marchio Fiat). E – aggiunge Moro - se la casa italo-americana e più recentemente francese, ma con sede fiscale in Olanda, ha forse beneficiato di tale strategia dal punto di vista dei suoi risultati finanziari (nel cui conto va però aggiunta anche la dismissione di aziende strategiche come Magneti Marelli e Comau), il conto dei «piani Marchionne» lo hanno pagato le lavoratrici e i lavoratori. Non solo quelli di Fiat-Fca-Stellantis, ma anche e quelli impiegati nelle aziende di un settore della componentistica che solo troppo recentemente ha iniziato ad acquisire margini d’indipendenza rispetto alla posizione dominante dell’unico grande produttore nazionale Su questo sfondo, i rischi della transizione all’elettrico appaiono moltiplicati in Italia in un settore che ha già affrontato una dolorosa riconversione: quello del passaggio alla produzione di auto per soli ricchi”.
 
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