- Altro parere
- Violenza e giudizio storico
- Altro parere
- Scoperti al centro
- Altro parere
- Perché i moderati fanno la differenza
- Copiare non basta (più)
- Marco Armoni: «Spie usate dai politici. Ma la nostra sicurezza è vecchia e ...
- Abdullah Al-Dannan: "Netanyahu sogna il Nuovo Medio Oriente ma non può ...
- Altro parere
- Così l'Onu è finita ai margini
- Il Mondo alle 20
- Altro parere
- I migranti come arma impropria
- Altro parere
I migranti e le strade possibili
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 10/09/2024
In edicola
Goffredo Buccini, Corriere della Sera
“Le migrazioni tornano a incendiare la politica europea e, sia pure in scala minore, quella di casa nostra”. Lo scrive Goffredo Buccini sul Corriere della Sera: “Cos’è accaduto? Semplice. Nell’ultimo decennio s’è assottigliato di nuovo un margine decisivo: fattori di instabilità quali la guerra di Putin, la crisi energetica con annessa inflazione e l’impoverimento crescente delle classi lavoratrici hanno ristretto di molto la riserva di tolleranza degli autoctoni verso gli ultimi arrivati, specie in quei quartieri, in quelle città o in quei territori dove la precarietà economica è più diffusa: tra i dimenticati. La questione migratoria va affrontata con cuore caldo e testa fredda, coniugando solidarietà e sicurezza. È di tutta evidenza che la nostra Europa soffre ancora oggi di antichi errori legati a due trattati fondamentali. Con Schengen – ricorda l’editorialista - è stata creata un’immensa area di libera circolazione senza provvedere alla difesa comune dei confini esterni e con Dublino è stata minata alla radice la solidarietà nella gestione dei flussi in arrivo. Ovvio che un Paese come il nostro, proiettato nel Mediterraneo, ne sconti il prezzo maggiore. Ma è altrettanto ovvio che una politica insieme accorta e visionaria può tramutare questo prezzo in un vantaggio. A fine agosto uno studio della Cgia di Mestre ha evidenziato come nel nostro Mezzogiorno si paghino più pensioni che stipendi, aggiungendo che presto il sorpasso sarà compiuto anche nel resto d’Italia. Il dato, coniugato con la crisi demografica, rende evidenti due conseguenze: la prima è l’impossibilità di anticipare i pensionamenti e la vacuità di slogan quali l’eliminazione della legge Fornero; la seconda è la necessità di un’immigrazione funzionale all’Italia. La revisione della nostra vecchia legge sulla cittadinanza del 1992 (ancora basata sullo ius sanguinis e dunque tutta tarata sul Paese di emigranti che fummo) viene ora proposta anche in via referendaria da un largo comitato di sigle. Può essere un passaggio sul quale la destra sbaglierebbe ad arroccarsi, specie dopo avere riconosciuto la necessità di integrare gli stranieri con un decreto flussi record da quasi mezzo milione di ingressi in tre anni. Ma un compito serio – conclude - grava anche sull’opposizione e, nello specifico, sulla sinistra: riconoscere che la sicurezza non è un valore oscuramente fascistoide ma una funzione democratica di garanzia per i cittadini più deboli”.
Francesco Bei, la Repubblica
Sulla partita delle nomine europee “il gioco, alla mano finale, non ha retto. Troppo grande la contraddizione politica che ne era alla base”. Così Francesco Bei su Repubblica: “Meloni, che da tempo ha rinunciato a spostarsi al centro e ha abbandonato quel cammino di avvicinamento al Ppe che alcuni — anche in Italia — avevano auspicato, ha infatti già votato due volte contro i nuovi vertici europei. Prima in Consiglio, quindi al Parlamento europeo. Roma, sulla base di una logica intergovernativa, di equilibrio fra gli Stati, dovrebbe avere un commissario di peso e magari una vicepresidenza esecutiva. Ma in questo momento storico l’Italia ha un governo sovranista, ostile all’integrazione, vicino all’Ungheria. Non c’entra assolutamente nulla la persona di Raffaele Fitto, il meno euroscettico tra i sovranisti meloniani. L’apertura del Pd a suo favore significa che non c’erano e non ci sono pregiudizi personali sul ministro. Il problema – sottolinea l’editorialista - è più grande, va oltre la figura di Fitto. Il problema vero è la crisi istituzionale provocata dallo scontro tra la logica intergovernativa, entro cui si muove la trattativa tra Meloni e von der Leyen, e la logica comunitaria che vede nella Commissione il governo dell’Ue, l’unico a ricevere la fiducia dal Parlamento eletto da 300 milioni di cittadini europei. Per risolvere questa crisi una via d’uscita ci sarebbe e forse non è troppo tardi per percorrerla. Giorgia Meloni dovrebbe ispirarsi al fondatore del centrodestra, Silvio Berlusconi, che nel 1994 nominò 2 commissari europei — Mario Monti ed Emma Bonino — andando a pescare fuori dal recinto della sua Forza Italia. A Meloni basterebbe scegliere una figura non appartenente al suo partito o a quello di Salvini, ancora più inviso agli europeisti della maggioranza Ursula. Un tecnico pro Ue, oppure un esponente di Forza Italia (che fa parte del Ppe). Certo – conclude - bisognerebbe uscire dalla stretta logica dell’appartenenza e della fedeltà alla capa, cosa che in questi due anni la leader di Fratelli d’Italia non ha mai dimostrato di voler abbandonare”.
Davide Tabarelli, La Stampa
Davide Tabarelli sulla Stampa prova a spiegare perché i prezzi dell’energia in Europa (e in Italia) sono più alti: “Peccato che di petrolio – scrive l’editorialista - non si voglia mai parlare nella politica europea, come confermato in queste ore dal rapporto Draghi che ha al centro l'energia quale fattore di svantaggio competitivo. E’ singolare questo silenzio rispetto al fatto che il petrolio, con i suoi derivati, conta per più del 90% della domanda di energia dei trasporti, settore al quale il rapporto dedica uno specifico capitolo, evitando accuratamente di parlare di cosa fa muovere le macchine, i camion, le navi, gli aerei. Ma possiamo pensare a una difesa europea senza preoccuparci delle nostre raffinerie di petrolio? Un carro armato fa 300 metri con un litro di benzina e ha bisogno di 5 camion per la logistica, ognuno dei quali fa tre chilometri con un litro. Occorre riconoscere che il rapporto Draghi è fatto molto bene nell'analisi, perché finalmente mette in chiaro l'insostenibile differenza che esiste nei costi dell'energia alle imprese in Europa rispetto a quelli di Cina e Stati Uniti: da noi l'elettricità è a 200 euro per megawattora (MWh) negli Usa e in Cina sotto gli 80 euro. Per il gas le distanze sono maggiori, 60 euro/MWh da noi, 12 negli Usa. Quanto ai mancati benefici delle rinnovabili in termini di costi per i consumatori, aggiunge Tabarelli, “questi sarebbero i bassi costi di produzione che non arrivano ai consumatori. Innanzitutto, i costi delle rinnovabili non sono confrontabili con quelli delle fonti tradizionali, perché l'elettricità da centrali a gas, a carbone, nucleari è disponibile e programmabile sempre in grandissime quantità, tutte le 8760 ore che sommate fanno un anno e non solo le 1500 ore del solare, o le 2500 ore dell'eolico. Le cose sono molto più semplici, quasi banali. I prezzi degli Stati Uniti dell'elettricità sono scandalosamente bassi perché usano volumi enormi di gas a prezzi stracciati per una produzione interna che è esplosa grazie alla tecnologia del fracking, della fratturazione idraulica. Un merito che va totalmente ai cattivi petrolieri, quelli americani, il cui petrolio esce a fiotti dal Texas e consente a noi europei di parlare di alchimie dei mercati. I prezzi dell'elettricità della Cina sono bassi perché usano il carbone interno che ha costi irrisori, mentre noi in Italia stiamo chiudendo le poche centrali a carbone che avevamo costruito con tanta fatica in passato. Una mezza follia per un'Italia che – conclude - non cresce e che, come testimoniano le tabelle di Draghi, ha i prezzi dell'elettricità più alti in Europa e, pertanto, al mondo”.
“Le migrazioni tornano a incendiare la politica europea e, sia pure in scala minore, quella di casa nostra”. Lo scrive Goffredo Buccini sul Corriere della Sera: “Cos’è accaduto? Semplice. Nell’ultimo decennio s’è assottigliato di nuovo un margine decisivo: fattori di instabilità quali la guerra di Putin, la crisi energetica con annessa inflazione e l’impoverimento crescente delle classi lavoratrici hanno ristretto di molto la riserva di tolleranza degli autoctoni verso gli ultimi arrivati, specie in quei quartieri, in quelle città o in quei territori dove la precarietà economica è più diffusa: tra i dimenticati. La questione migratoria va affrontata con cuore caldo e testa fredda, coniugando solidarietà e sicurezza. È di tutta evidenza che la nostra Europa soffre ancora oggi di antichi errori legati a due trattati fondamentali. Con Schengen – ricorda l’editorialista - è stata creata un’immensa area di libera circolazione senza provvedere alla difesa comune dei confini esterni e con Dublino è stata minata alla radice la solidarietà nella gestione dei flussi in arrivo. Ovvio che un Paese come il nostro, proiettato nel Mediterraneo, ne sconti il prezzo maggiore. Ma è altrettanto ovvio che una politica insieme accorta e visionaria può tramutare questo prezzo in un vantaggio. A fine agosto uno studio della Cgia di Mestre ha evidenziato come nel nostro Mezzogiorno si paghino più pensioni che stipendi, aggiungendo che presto il sorpasso sarà compiuto anche nel resto d’Italia. Il dato, coniugato con la crisi demografica, rende evidenti due conseguenze: la prima è l’impossibilità di anticipare i pensionamenti e la vacuità di slogan quali l’eliminazione della legge Fornero; la seconda è la necessità di un’immigrazione funzionale all’Italia. La revisione della nostra vecchia legge sulla cittadinanza del 1992 (ancora basata sullo ius sanguinis e dunque tutta tarata sul Paese di emigranti che fummo) viene ora proposta anche in via referendaria da un largo comitato di sigle. Può essere un passaggio sul quale la destra sbaglierebbe ad arroccarsi, specie dopo avere riconosciuto la necessità di integrare gli stranieri con un decreto flussi record da quasi mezzo milione di ingressi in tre anni. Ma un compito serio – conclude - grava anche sull’opposizione e, nello specifico, sulla sinistra: riconoscere che la sicurezza non è un valore oscuramente fascistoide ma una funzione democratica di garanzia per i cittadini più deboli”.
Francesco Bei, la Repubblica
Sulla partita delle nomine europee “il gioco, alla mano finale, non ha retto. Troppo grande la contraddizione politica che ne era alla base”. Così Francesco Bei su Repubblica: “Meloni, che da tempo ha rinunciato a spostarsi al centro e ha abbandonato quel cammino di avvicinamento al Ppe che alcuni — anche in Italia — avevano auspicato, ha infatti già votato due volte contro i nuovi vertici europei. Prima in Consiglio, quindi al Parlamento europeo. Roma, sulla base di una logica intergovernativa, di equilibrio fra gli Stati, dovrebbe avere un commissario di peso e magari una vicepresidenza esecutiva. Ma in questo momento storico l’Italia ha un governo sovranista, ostile all’integrazione, vicino all’Ungheria. Non c’entra assolutamente nulla la persona di Raffaele Fitto, il meno euroscettico tra i sovranisti meloniani. L’apertura del Pd a suo favore significa che non c’erano e non ci sono pregiudizi personali sul ministro. Il problema – sottolinea l’editorialista - è più grande, va oltre la figura di Fitto. Il problema vero è la crisi istituzionale provocata dallo scontro tra la logica intergovernativa, entro cui si muove la trattativa tra Meloni e von der Leyen, e la logica comunitaria che vede nella Commissione il governo dell’Ue, l’unico a ricevere la fiducia dal Parlamento eletto da 300 milioni di cittadini europei. Per risolvere questa crisi una via d’uscita ci sarebbe e forse non è troppo tardi per percorrerla. Giorgia Meloni dovrebbe ispirarsi al fondatore del centrodestra, Silvio Berlusconi, che nel 1994 nominò 2 commissari europei — Mario Monti ed Emma Bonino — andando a pescare fuori dal recinto della sua Forza Italia. A Meloni basterebbe scegliere una figura non appartenente al suo partito o a quello di Salvini, ancora più inviso agli europeisti della maggioranza Ursula. Un tecnico pro Ue, oppure un esponente di Forza Italia (che fa parte del Ppe). Certo – conclude - bisognerebbe uscire dalla stretta logica dell’appartenenza e della fedeltà alla capa, cosa che in questi due anni la leader di Fratelli d’Italia non ha mai dimostrato di voler abbandonare”.
Davide Tabarelli, La Stampa
Davide Tabarelli sulla Stampa prova a spiegare perché i prezzi dell’energia in Europa (e in Italia) sono più alti: “Peccato che di petrolio – scrive l’editorialista - non si voglia mai parlare nella politica europea, come confermato in queste ore dal rapporto Draghi che ha al centro l'energia quale fattore di svantaggio competitivo. E’ singolare questo silenzio rispetto al fatto che il petrolio, con i suoi derivati, conta per più del 90% della domanda di energia dei trasporti, settore al quale il rapporto dedica uno specifico capitolo, evitando accuratamente di parlare di cosa fa muovere le macchine, i camion, le navi, gli aerei. Ma possiamo pensare a una difesa europea senza preoccuparci delle nostre raffinerie di petrolio? Un carro armato fa 300 metri con un litro di benzina e ha bisogno di 5 camion per la logistica, ognuno dei quali fa tre chilometri con un litro. Occorre riconoscere che il rapporto Draghi è fatto molto bene nell'analisi, perché finalmente mette in chiaro l'insostenibile differenza che esiste nei costi dell'energia alle imprese in Europa rispetto a quelli di Cina e Stati Uniti: da noi l'elettricità è a 200 euro per megawattora (MWh) negli Usa e in Cina sotto gli 80 euro. Per il gas le distanze sono maggiori, 60 euro/MWh da noi, 12 negli Usa. Quanto ai mancati benefici delle rinnovabili in termini di costi per i consumatori, aggiunge Tabarelli, “questi sarebbero i bassi costi di produzione che non arrivano ai consumatori. Innanzitutto, i costi delle rinnovabili non sono confrontabili con quelli delle fonti tradizionali, perché l'elettricità da centrali a gas, a carbone, nucleari è disponibile e programmabile sempre in grandissime quantità, tutte le 8760 ore che sommate fanno un anno e non solo le 1500 ore del solare, o le 2500 ore dell'eolico. Le cose sono molto più semplici, quasi banali. I prezzi degli Stati Uniti dell'elettricità sono scandalosamente bassi perché usano volumi enormi di gas a prezzi stracciati per una produzione interna che è esplosa grazie alla tecnologia del fracking, della fratturazione idraulica. Un merito che va totalmente ai cattivi petrolieri, quelli americani, il cui petrolio esce a fiotti dal Texas e consente a noi europei di parlare di alchimie dei mercati. I prezzi dell'elettricità della Cina sono bassi perché usano il carbone interno che ha costi irrisori, mentre noi in Italia stiamo chiudendo le poche centrali a carbone che avevamo costruito con tanta fatica in passato. Una mezza follia per un'Italia che – conclude - non cresce e che, come testimoniano le tabelle di Draghi, ha i prezzi dell'elettricità più alti in Europa e, pertanto, al mondo”.
Altre sull'argomento
Il rebus dei “paesi sicuri”
Il rimpallo tra governo, Ue e giudici italiani ed europei
Il rimpallo tra governo, Ue e giudici italiani ed europei
Altro parere
Finché c'è Conte stiamo tranquilli
Finché c'è Conte stiamo tranquilli
Scoperti al centro
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Perché i moderati fanno la differenza
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Pubblica un commento