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La guerra e le lezioni da capire

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 05/09/2024

In edicola In edicola Federico Rampini, Corriere della Sera
La guerra in Ucraina e le lezioni per il mondo. Ne parla Federico Rampini sul Corriere della Sera: “Sul fronte energetico – scrive l’editorialista - l’Europa partiva da una drammatica dipendenza dalle forniture russe di gas e petrolio. Profeti di sventura denunciarono come dissennate le sanzioni e pronosticarono un’Apocalisse da penuria energetica. Non è accaduto, perché una cooperazione virtuosa tra Commissione Ue, governi nazionali, e sistema delle imprese, ha diversificato le fonti di energie fossili, ha aumentato il peso delle rinnovabili, ha ridotto consumi e sprechi. Il paradosso è che qui la guerra ha finito per renderci più sicuri. Al tempo stesso la guerra ha contribuito a ricordarci che di energie fossili avremo bisogno ancora per un bel po’. Certe rigidità della transizione verde pianificata da Bruxelles hanno subito un rigetto alle elezioni europee e nazionali. La guerra ha provocato uno shock più serio sul fronte delle derrate agroalimentari visto il ruolo di Russia e Ucraina nel commercio mondiale di grano. I Paesi ricchi – sottolinea Rampini - hanno assorbito l’urto, ma in quelli emergenti le tensioni inflazionistiche contribuiscono a rivolte e instabilità politica. Il modello non sono le prediche astratte di tecnocrati e ong innamorati dell’agricoltura biologica (che riduce i raccolti) ma la madre di tutte le «rivoluzioni verdi»: la modernizzazione dell’agricoltura indiana che ha trasformato un subcontinente affamato in una superpotenza esportatrice di cibo. Un altro settore dove la guerra impone una svolta pragmatica, è l’estrazione mineraria. In particolare per terre rare e metalli strategici, molti dei quali indispensabili alla nuova economia decarbonizzata. L’Occidente deve riaprire miniere dismesse, inaugurarne di nuove. Poi c’è la partita diplomatica. Non c’è ragione per illudersi sulla volontà di Putin di sedersi a un tavolo di negoziato, se non dopo aver dissanguato la nazione ucraina riducendola a subire diktat. Però un esercizio utile parte da una ricostruzione del passato: quando, come e perché la diplomazia fallì, prima che Putin passasse alle armi. L’ultima lezione in sospeso – conclude - è sulla consapevolezza che dovremo saperci difendere, con o senza l’America, perché il mondo non è avviato verso un futuro di pace e stabilità”.
 
Francesco Merlo, la Repubblica
“Tutti hanno cercato il reato, i soldi pubblici, il peculato, ma un ministro della Cultura che ha tentato di nominare consulente del Ministero la propria amante si è già dimesso dalla Cultura”. Così Francesco Merlo su Repubblica: “«Poveraccio» scrive ai giornalisti l’ex amante, Maria Rosaria Boccia, che ha alzato il cannone e, con uno scatto di orgoglio coatto — Pompei contro la Garbatella — come l’eroina antiborbonica Peppa la Cannonera, ha puntato direttamente ‘i palazzi del potere’. E dunque ora spara forte contro di lei, contro Giorgia, che l’ha chiamata «quella signora là» e «ha pure spinto il ministro alle dimissioni per poi respingerle». Non c’è nulla di più orrendamente maschilista di una lite tra donne che si tirano i capelli. Quando, però, al culmine della pochade scollacciata, in tv ha esibito un velo di commozione spietatamente vero dentro un giornalismo spietatamente patacca, ‘esclusiva Tg1’, Sangiuliano si è dimesso anche dalla decenza. Davvero «poveraccio», nelle mani esperte e meloniane di Gian Marco Chiocci, direttore del Tg1, Sangiuliano sembrava la parodia del vecchio indimenticabile Ciao Pussycat. E forse – sottolinea Merlo - Elly Schlein potrebbe ora considerare il ministro Sangiuliano come una testa di turco nel governo avversario. Voglio dire che le opposizioni, approfittando di questo orgoglio coatto di Giorgia, dovrebbero battersi per non far dimettere il ministro che la pochade scollacciata non ha reso solo irrilevante: lo ha reso impresentabile. Dunque, la campagna per le sue dimissioni è ormai senza senso politico. Difficile dire quanto durerà la fama di Maria Rosaria Boccia, che ha scanzonatamente capito, come spiega Benigni nel film di Woody Allen su Roma, che «siamo tutti uguali, i ricchi e famosi e i poveri e sconosciuti, ma è meglio essere ricchi e famosi». Eccola di nuovo - aggiunge l’editorialista: «Non sono io a esercitare ricatti o pressioni; altri hanno sfruttato con mentalità meschina una vicenda umana che sta avendo ripercussioni dolorose su di me. Sto difendendo la mia dignità e il mio modo di essere donna. Sono stata ingannata, ma non permetterò che la mia storia venga strumentalizzata dal cinismo, dall’arroganza e dal capriccio di un potere tirannico»”.
 
Giancarlo Caselli, La Stampa
Giancarlo Caselli sulla Stampa muove critiche nei confronti della ‘stretta che colpisce la stampa': “Il problema dei problemi del nostro ordinamento giudiziario – scrive l’ex magistrato - è la durata interminabile dei processi, una vergogna che trasforma in denegata giustizia il diritto dei cittadini - tutti - ad una giustizia giusta. In un Paese preoccupato della qualità della sua democrazia il governo si impegnerebbe al massimo per avviare a soluzione questo problema di civiltà, dedicandovi tutto il tempo e l'impegno necessari. Invece nulla di tutto questo, mentre basterebbe una frazione millesimale della determinazione (ossessione) riservata a perseguire l'obiettivo che sembra stare più a cuore dell'attuale maggioranza: vietare la pubblicazione integrale o per estratto del testo del provvedimento con cui si dispone la custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare. Ancora ieri il Consiglio dei ministri ha aggiunto un ulteriore tassello a questo disegno. Scopo proclamato? Rafforzare la presunzione di innocenza della persona indagata o imputata in un procedimento penale, nel solco - si dice - di una direttiva europea. In realtà – sottolinea Caselli - è di elementare evidenza che il vero obiettivo è quello di produrre un vulnus al diritto dei cittadini di essere informati, per cui giustamente la legge viene definita come «legge bavaglio». Ed è pienamente giustificato il timore che in caso di arresto di chi può e conta sarà più facile per gli organi di informazione a ciò interessati fornire un resoconto edulcorato dei fatti lontano dalla verità. Una «committenza forte», che contiene anche una forte richiesta di «aiuto» nei rapporti con l'informazione. I bavagli vanno indubbiamente in questa direzione. Tanto più in un quadro generale in cui i Pm non parlano o possono parlare solo in casi eccezionali indossando una specie di camicia di forza, tanto da fare temere che prima o poi giornali, radio e tv dovranno o chiudere i servizi di cronaca o trovare altre fonti, facendo suonare campane anche non trasparenti o interessate. Con piena soddisfazione – conclude - di quei privilegiati che possono contare su una ventina di minuti del servizio pubblico tv per esporre le proprie ragioni”.
 
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