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Volkswagen e noi. La crisi elettrica fulmina il lavoro
Redazione InPiù 04/09/2024
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Mario Sechi, Libero
Un grande capitalista italiano – racconta Mario Sechi su Libero – mi consigliò tanti anni fa di non perdere mai di vista questi settori: cemento, acciaio e casa, petrolio e automobile. «Non perda tempo con la finanza, i titoli hi-tech, quello è gioco d’azzardo, non dimentichi che l’essere umano ha bisogno di un tetto, di scaldarsi, di spostarsi. Tutto il resto è gioco d’azzardo. Osservi i mercati che le ho elencato, avrà un quadro preciso sull’economia reale». Il petrolio avrà ancora lunga vita, mentre la storia dell’automobile è a un punto di svolta e (forse) di rottura. L’ideologia verde in una decina d’anni si è impossessata delle classi dirigenti che con folle entusiasmo hanno deciso che il motore a combustione è il male e l’auto elettrica il bene, dunque tutti viaggeranno sulle auto a batteria. Davvero? La Germania racconta un’altra storia, la locomotiva tedesca non corre più, l’auto elettrica è in panne. Sta succedendo qualcosa che fa tremare i polsi: la Volkswagen deve tagliare 10 miliardi di euro di costi, progetta di chiudere due stabilimenti (a Osnabruck in Bassa Sassonia e a Dresda, in Sassonia), l’azienda di Wolfsburg illustrerà nelle prossime ore ai sindacati il piano di ristrutturazione e i licenziamenti del personale. Non era mai successo in 90 anni di storia. Il 31 luglio del 2023 l’Economist pubblicò un articolo così intitolato: «E se Volkswagen smettesse di costruire automobili?». Un anno dopo, quella che sembrava una provocazione, si sta materializzando come una profezia di fronte ai tedeschi increduli, il più grande costruttore di auto del mondo, licenzia... in Germania. Quello che accade a Berlino rimbalza a Roma. Sergio Marchionne mi disse che il gruppo Fca non avrebbe mai chiuso nessuna fabbrica in Italia. La fusione con i francesi di Peugeot era lontana, si pensava a un matrimonio con la General Motors guidata da Mary Barra, ma non si realizzò. Sono trascorsi più di dieci anni, Marchionne non c’è più, la storia ha cambiato sceneggiatura, a Torino c’era una volta la Fiat. C’è da preoccuparsi? Sì, perché se in Germania la Volkswagen, “l’auto del popolo” licenzia il popolo, vuol dire che la rivoluzione elettrica ha fulminato la classe politica.
Andrea Roventini, il manifesto
Gli ultimi dati economici di Eurostat – scrive Andrea Roventini sul manifesto – mostrano inequivocabilmente che il re, o la regina, è nudo. Contrariamente a quanto sostenuto incessantemente dalla premier Meloni, l’economia italiana non se la sta passando troppo bene: nel 2023, il reddito disponibile reale lordo delle famiglie è in calo a fronte di una crescita di quello medio dell’Unione europea. Più precisamente, fatto 100 il reddito italiano del 2008, quello del 2023 è pari a 93,74, mentre quello del 2022 si attestava a 94,15. Solo la Grecia, che ha attraversato una gravissima crisi finanziaria accompagnata da misure di austerità fiscale draconiane, ha fatto peggio di noi in Europa. È vero che alcuni indicatori come il tasso di occupazione e quello di disoccupazione sono migliorati nell’ultimo anno, ma sono ancora inferiori alle media Ue. Il deludente andamento dei redditi italiani è dovuto al calo dei salari reali che sono stati erosi dell’inflazione. Secondo i dati Istat, nel triennio 2021-2023 mentre i prezzi al consumo crescevano del 17,3%, i salari aumentavano solo del 4,7%. Tale dinamica non è riconducibile solo alla recente spinta inflazionistica dovuta principalmente allo shock energetico, ma viene da più lontano: l’Italia è l’unico Paese sviluppato dove i salari reali non sono cresciuti negli ultimi trent’anni (Ocse), con un calo decennale del 4,5% (Istat). La stagnazione dei salari italiani non dipende solo dalla crescita anemica della produttività, ma da precise scelte di politica economica effettuate da governi di vario orientamento politico. Il peggioramento della condizione economica dei lavoratori a basso e medio reddito potrebbe essere alleviato da interventi fiscali, ma le scelte del governo sono pressoché inutili o, peggio, vanno nella direzione opposta.
Un grande capitalista italiano – racconta Mario Sechi su Libero – mi consigliò tanti anni fa di non perdere mai di vista questi settori: cemento, acciaio e casa, petrolio e automobile. «Non perda tempo con la finanza, i titoli hi-tech, quello è gioco d’azzardo, non dimentichi che l’essere umano ha bisogno di un tetto, di scaldarsi, di spostarsi. Tutto il resto è gioco d’azzardo. Osservi i mercati che le ho elencato, avrà un quadro preciso sull’economia reale». Il petrolio avrà ancora lunga vita, mentre la storia dell’automobile è a un punto di svolta e (forse) di rottura. L’ideologia verde in una decina d’anni si è impossessata delle classi dirigenti che con folle entusiasmo hanno deciso che il motore a combustione è il male e l’auto elettrica il bene, dunque tutti viaggeranno sulle auto a batteria. Davvero? La Germania racconta un’altra storia, la locomotiva tedesca non corre più, l’auto elettrica è in panne. Sta succedendo qualcosa che fa tremare i polsi: la Volkswagen deve tagliare 10 miliardi di euro di costi, progetta di chiudere due stabilimenti (a Osnabruck in Bassa Sassonia e a Dresda, in Sassonia), l’azienda di Wolfsburg illustrerà nelle prossime ore ai sindacati il piano di ristrutturazione e i licenziamenti del personale. Non era mai successo in 90 anni di storia. Il 31 luglio del 2023 l’Economist pubblicò un articolo così intitolato: «E se Volkswagen smettesse di costruire automobili?». Un anno dopo, quella che sembrava una provocazione, si sta materializzando come una profezia di fronte ai tedeschi increduli, il più grande costruttore di auto del mondo, licenzia... in Germania. Quello che accade a Berlino rimbalza a Roma. Sergio Marchionne mi disse che il gruppo Fca non avrebbe mai chiuso nessuna fabbrica in Italia. La fusione con i francesi di Peugeot era lontana, si pensava a un matrimonio con la General Motors guidata da Mary Barra, ma non si realizzò. Sono trascorsi più di dieci anni, Marchionne non c’è più, la storia ha cambiato sceneggiatura, a Torino c’era una volta la Fiat. C’è da preoccuparsi? Sì, perché se in Germania la Volkswagen, “l’auto del popolo” licenzia il popolo, vuol dire che la rivoluzione elettrica ha fulminato la classe politica.
Andrea Roventini, il manifesto
Gli ultimi dati economici di Eurostat – scrive Andrea Roventini sul manifesto – mostrano inequivocabilmente che il re, o la regina, è nudo. Contrariamente a quanto sostenuto incessantemente dalla premier Meloni, l’economia italiana non se la sta passando troppo bene: nel 2023, il reddito disponibile reale lordo delle famiglie è in calo a fronte di una crescita di quello medio dell’Unione europea. Più precisamente, fatto 100 il reddito italiano del 2008, quello del 2023 è pari a 93,74, mentre quello del 2022 si attestava a 94,15. Solo la Grecia, che ha attraversato una gravissima crisi finanziaria accompagnata da misure di austerità fiscale draconiane, ha fatto peggio di noi in Europa. È vero che alcuni indicatori come il tasso di occupazione e quello di disoccupazione sono migliorati nell’ultimo anno, ma sono ancora inferiori alle media Ue. Il deludente andamento dei redditi italiani è dovuto al calo dei salari reali che sono stati erosi dell’inflazione. Secondo i dati Istat, nel triennio 2021-2023 mentre i prezzi al consumo crescevano del 17,3%, i salari aumentavano solo del 4,7%. Tale dinamica non è riconducibile solo alla recente spinta inflazionistica dovuta principalmente allo shock energetico, ma viene da più lontano: l’Italia è l’unico Paese sviluppato dove i salari reali non sono cresciuti negli ultimi trent’anni (Ocse), con un calo decennale del 4,5% (Istat). La stagnazione dei salari italiani non dipende solo dalla crescita anemica della produttività, ma da precise scelte di politica economica effettuate da governi di vario orientamento politico. Il peggioramento della condizione economica dei lavoratori a basso e medio reddito potrebbe essere alleviato da interventi fiscali, ma le scelte del governo sono pressoché inutili o, peggio, vanno nella direzione opposta.
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