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Armi e non detto: l'Ucraina e i dubbi italiani

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 03/09/2024

Armi e non detto: l'Ucraina e i dubbi italiani Armi e non detto: l'Ucraina e i dubbi italiani Angelo Panebianco, Corriere della Sera
Tifare sinceramente per l’uomo mingherlino aggredito da un feroce energumeno, e portargli anche ogni genere di assistenza, ma al tempo stesso pretendere che egli si difenda con un braccio legato dietro la schiena. Italia e Ungheria sulle stesse posizioni sulla questione dell’uso delle armi da parte di Kiev – commenta Angelo Panebianco sul Corriere della Sera – non è un bel vedere. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ne converrà. Mentre la scelta dell’Ungheria è, a suo modo, limpida, chiarissima (Orbán è un sodale di Putin), quella italiana invece non lo è per niente. Che cosa c’è di «offensivo» anziché di puramente difensivo, nel colpire i siti missilistici posti in territorio russo da cui partono gli attacchi contro le città ucraine? Che cosa c’è di «offensivo», anziché di puramente difensivo, nell’occupare porzioni di territorio russo allo scopo sia di alleggerire la pressione dell’aggressore in Ucraina sia di disporre di una merce di scambio per ottenere il ritiro di Putin dai territori ucraini occupati? Comunque la si rigiri, la posizione italiana — not in my name — non è sostenibile. Se la Russia prevarrà in Ucraina (magari aiutata da un Trump alla Casa Bianca) non si fermerà. O Putin lo si blocca in Ucraina oppure non lo si ferma più. Le opinioni pubbliche inglese e francese lo hanno compreso. Quella italiana no.  Alla fine, spiega Panebianco, tornano sempre a galla le differenti tradizioni nazionali. Come sempre, pesa la storia e, per essa, la divisione fra le democrazie uscite vincitrici dalla Seconda guerra mondiale e le democrazie, Italia e Germania, nate per effetto della sconfitta bellica delle preesistenti dittature. Mentre le prime non hanno mai perso di vista il fatto che bisogna essere pronti a usare la forza se le circostanze lo impongono, per difendere il proprio Paese e la sua democrazia, Italia e Germania, contando sulla protezione americana, hanno creduto che la questione non li riguardasse, che non sarebbero mai state messe nella condizione di doversi difendere, che non avessero bisogno di essere pronte ad usare la forza per rintuzzare eventuali minacce. Molti italiani e tedeschi pensano di vivere ancora nel mondo di ieri, quando la sicurezza era scontata e garantita. Non è più così, ma tanti faticano ad accettarlo.
 
Michele Valensise, la Repubblica
Il semaforo si è spento. Pur se locali, scrive su Repubblica Michele Valensise, le elezioni in Turingia e Sassonia scuotono Berlino, basta un dato per illustrare l’intensità del sisma. In Turingia i tre partiti della coalizione nazionale (Spd, Verdi e Fdp) insieme ottengono meno di un terzo dei voti della sola AfD: 10,4%, contro il 32,8% dell’estrema destra. Era nelle previsioni, l’onda nera premeva da tempo, ora è successo («Es ist geschehen», come l’inevitabile gol della nazionale azzurra contro la Germania nelle famose tre parole tombali del telecronista tedesco). Lo sconcerto è palpabile anche a Berlino, in seno a un governo che misura la sua impopolarità. La coalizione tripartita, incerta e litigiosa, raggiunge livelli inauditi di insoddisfazione. Nelle regioni in cui si è votato domenica, oltre l’80% della popolazione non la sopporta e sul piano nazionale i consensi sono al minimo. L’interpretazione delle cause locali può essere fuorviante, si punta il dito sulla eccessiva apertura verso i migranti, ma all’Est non ce sono quasi; si invoca il divario economico tra Est e Ovest, ma nei Länder orientali vari indicatori sono lusinghieri; si ipotizza una “fatica da democrazia” nell’ex Ddr, ma la partecipazione al voto è alta, sfiora il 75%, e la voglia di partecipazione evidente. Quanto alla nostalgia del Terzo Reich, certo spaventa, eppure solo una piccola parte di chi vota AfD è affetto da quel virus sciagurato, gli altri si intruppano dietro pericolosi slogan a buon mercato, protestano perché, a torto o a ragione, si sentono dimenticati. La novità è semmai il bi-populismo tedesco. All’estrema sinistra, l’ex comunista Sahra Wagenknecht, senza mai sorridere, promuove con un successo fulmineo misure contro i migranti, ripresa degli acquisti di gas dalla Russia, fine degli aiuti all’Ucraina, opposizione frontale a Ue e Nato, tutta musica per le orecchie di Vladimir Putin.
 
Annalisa Cuzzocrea, La Stampa
Quella che manca, tanto a destra che a sinistra, sulla guerra in Ucraina, sulla deriva rossobruna che cresce in Europa, sulle mire reali di Vladimir Putin – osserva Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa –, è una discussione a viso aperto. Quello che c’è, è un insulso balletto di piccoli posizionamenti che sembrano più che altro pizzini inviati a chi deve intendere: senza una reale messa a fuoco di quel che ogni minimo traccheggiamento comporta. Il rafforzamento di Vladimir Putin di fronte a un’Europa spaccata e ancora in attesa di capire cosa succederà negli Stati Uniti, come se ancora oggi tutto dipendesse da chi comanda alla Casa Bianca. E non anche da come si pongono la Cina, l’India, i cosiddetti Paesi del Sud globale che premono per un nuovo protagonismo e guardano il mondo da una prospettiva che non è la nostra, che non dà per scontate le nostre conquiste e i nostri valori, che ci considera nel migliore dei casi ipocriti, nel peggiore atavici usurpatori. La destra è divisa fin dall’inizio della guerra tra il sostegno all’Ucraina di Giorgia Meloni e di Antonio Tajani e lo scetticismo della Lega. A sinistra non va meglio. A «In Onda» Elly Schlein ha di fatto appoggiato la decisione del governo di non permettere a Zelensky di difendersi oltre i propri confini. Le mosse dei partiti italiani sembrano rivolte ai propri elettorati e alla rispettiva propaganda, più che alla sofferenza di un popolo. Soprattutto, appaiono cieche di fronte a quel che le elezioni in Europa stanno a più riprese dimostrando: la narrazione di Putin contro le decadenti democrazie liberali è penetrata più di quanto non credessimo possibile. E non solo grazie ai social network o all’aiuto dei sovranisti miliardari alla Elon Musk. Contro gli scenari che pongono l’avanzata del Rassemblement national in Francia e dell’Afd in Turingia e Sassonia, il punto non è solo cosa fare sul campo di battaglia ucraino. Ma nelle nostre società, in difesa di quei diritti e di quell’apertura su cui – parafrasando Karl Popper – le abbiamo fondate.
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