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Germania, crisi nazionale (non solo a Est)

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 02/09/2024

Germania, crisi nazionale (non solo a Est) Germania, crisi nazionale (non solo a Est) Paolo Valentino, Corriere della Sera
Sul Corriere della Sera Paolo Valentino commenta l’esito delle elezioni in Turingia e Sassonia, land dell’Est della Germania. A Erfurt e Dresda – scrive Valentino – una maggioranza della popolazione affida le sue delusioni e frustrazioni a due partiti populisti, l’ultradestra nazionalista e xenofoba di AfD e l’ibrido neo-peronista di BSW, la creatura politica di Sahra Wagenknecht, che combina pacifismo filorusso, statalismo economico e dure politiche anti-migrazione. A destare maggiori preoccupazioni è naturalmente il trionfo di Erfurt, dove Björn Höcke, il biondo tribuno che indulge volentieri in parole d’ordine naziste, ha portato l’AfD a uno storico primo posto, con oltre un terzo dei voti. Non riuscirà a formare alcun governo, visto il rifiuto, la cosiddetta barriera tagliafuoco, opposto da tutti gli altri partiti. Ma la portata politica della vittoria è devastante: per la prima volta nella storia della Repubblica federale un partito di destra estrema, considerato una potenziale minaccia costituzionale dall’intelligence civile, finisce in testa in un voto regionale. Ma AfD vola anche in Sassonia, dov’è comunque sopra il 30% e tallona da vicino la Cdu che pure il premier uscente Michael Kretschmer è riuscito a mantenere in testa. Sono stati i temi nazionali a incendiare la campagna elettorale: l’immigrazione incontrollata, la sicurezza interna, l’inflazione, la transizione energetica, i rapporti con la Russia. Da ultimo, un forte propellente ha fornito l’attentato di Solingen, dimostrazione plastica del fallimento del modello d’integrazione alla tedesca. E per questo i grandi perdenti sono i partiti della coalizione del semaforo — Spd, Verdi e liberali — che governa a Berlino, dove Olaf Scholz, un cancelliere senza qualità, appare sempre più debole e inadeguato, tentennante e confuso In una giornata drammatica per la democrazia tedesca, la buona notizia è la tenuta dei cristiano-democratici, che si confermano primi in Sassonia e strappano il secondo posto in Turingia.
 
Claudio Tito, la Repubblica
«La seconda metà di questo decennio sarà molto difficile. Il settore della difesa non potrà essere secondario». Le urne in Turingia e Sassonia erano ancora aperte – ricorda su Repubblica Claudio Tito – quando la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha pronunciato a Praga questa frase. Ma il cuore di queste parole è strettamente connesso a quel che è accaduto nei due land tedeschi in cui la destra neonazista ha conseguito un successo senza precedenti. E nello stesso tempo la sinistra populista e putiniana ha compiuto un balzo in avanti capace di doppiare la sinistra di governo. Il Vecchio Continente dunque, mentre si muove sul crinale sottile di una potenziale guerra e di un infarto della democrazia, deve nello stesso tempo fare i conti con un nemico interno. I sistemi istituzionali europei sono infiltrati. In Italia, in Francia e ora sempre più clamorosamente in Germania. Il germe del putinismo sta crescendo anche in Paesi strutturati e di solida tradizione democratica. Quel che è accaduto nelle due regioni tedesche ne è l’ultima prova. Il ras del Cremlino, quindi, ha ora i suoi portavoce nel cuore dell’Europa. Il presidente russo ha ottenuto una vittoria politica eccezionale e preoccupante. La destra “fascista” dell’Afd e la sinistra nostalgica sono, insieme ad altre formazioni europee come il Rassemblement National in Francia o la Lega in Italia, gli avamposti di Putin nell’Ue. La deresponsabilizzazione rispetto alla guerra in Ucraina viene occultata da una posticcia ricerca della pace. Il fronte che ha vinto ieri in Germania è esattamente l’archetipo di questo modello degenerativo della politica italiana. Consegnare la democrazia europea alla protervia autocratica di Mosca utilizzando la scusa di una pacificazione nei territori di Kiev.
 
Alessandro Sallusti, Il Giornale
Quando poche settimane fa svelammo che la sorella della premier, Arianna Meloni, stava per essere indagata per traffico di influenze – scrive sul Giornale Alessandro Sallusti –, fummo accusati di complottismo. A suonare la grancassa in tal senso furono i giornali da sempre attigui alle procure, in particolare il Domani di proprietà di Carlo De Benedetti. Bene, oggi si scopre – lo rivela il quotidiano La Verità – che proprio quel giornale ha veicolato materiale frutto di un vasto sistema di dossieraggio che funzionari infedeli dello Stato, un importante magistrato già a capo della Direzione antimafia e un ufficiale della Guardia di Finanza, avevano messo in atto nei confronti di esponenti del governo. Al punto che il procuratore di Perugia Raffaele Cantone ha chiesto per loro l’arresto, provvedimento respinto dal Gip solo perché a suo giudizio i due non sarebbero più in grado di reiterare il reato. Oltre dieci tra ministri e sottosegretari sono stati spiati nel primo anno di governo, a caccia di magagne da passare a giornali amici e a procure interessate. Se a questo aggiungiamo che il governatore della Liguria Giovanni Toti, come da noi riportato ieri, è stato addirittura filmato e registrato per ventotto mesi consecutivi (senza peraltro scoprire alcunché di illecito, tanto è vero che l’accusa si basa non su fatti ma su un teorema), beh possiamo dire con ragionevole certezza che siamo una democrazia malata, infettata da un sistema giudiziario-mediatico che si muove nell’illegalità per sovvertire lo stato naturale delle cose. Come chiamare tutto questo? Il meccanismo non è poi così diverso da quello messo in campo a suo tempo dalla loggia P2 di Licio Gelli: militari, magistrati, servizi segreti e giornalisti che si muovono all’unisono contro il nemico di turno, in questo caso il governo Meloni. A dire queste cose, bene che ti vada, vieni fatto passare per matto, se invece ti va male diventi tu stesso oggetto di dossieraggio. Non vogliamo passare per ingenui, sappiamo, come diceva Norberto Bobbio maestro della filosofia politica, che il potere è in sé opaco. Ma almeno chi nell’opacità ci sguazza - magistrati e giornalisti in primis - la smettano una buona volta di ergersi a maestri di virtù, la misura è davvero colma
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