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La giusta direzione
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 01/08/2024
In edicola
Paolo Mieli, Corriere della Sera
“Il fatto che Vladimir Putin abbia dato l’ordine di scarcerare e rimandare in patria il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich assieme all’ex marine Paul Whelan, entrambi condannati a pene severissime per spionaggio a favore degli Stati Uniti, è un’ottima notizia”. Lo spiega Paolo Mieli sul Corriere della Sera sottolineando che “la «restituzione» avviene in uno spettacolare contesto di «scambio di prigionieri»— forse addirittura una trentina —che di per sé è la prova evidente dell’apertura di un canale di dialogo tra il Cremlino e la Casa Bianca. Tra l’altro il contesto è parallelo a quello che ha consentito, a fine maggio e a fine giugno, una transazione altrettanto delicata tra Russia e Ucraina. Anche in questo caso si è trattato di uno «scambio di prigionieri» (con la mediazione, stavolta, degli Emirati arabi uniti). Piccoli passi in direzione di una soluzione del conflitto fortemente voluta da Biden anche per dare un senso compiuto agli ultimi suoi mesi alla Casa Bianca. Soluzione che è ancora ben lontana dal delinearsi tant’è che non se ne intravedono neanche i contorni. Ma il sentiero lungo il quale americani, russi e ucraini si sono incamminati è quantomeno ben individuabile. Niente del genere, invece – aggiunge l’editorialista - si intravede nella crisi israelo-palestinese. Forse sarebbe più saggio concentrarsi —come si sta facendo in Ucraina—sulla definizione dei piccoli passi iniziali. Sarebbe già qualcosa se tra pochi giorni, il 7 agosto, a dieci mesi dall’aggressione di Hamas, l’esercito israeliano sospendesse unilateralmente ogni attività militare sul territorio di Gaza limitandosi a governare la distribuzione degli aiuti umanitari. Contestualmente—vale a dire lo stesso giorno, il 7 agosto—Hamas dovrebbe rendere pubblica la lista completa dei prigionieri ancora in vita, di quelli morti (il cui cadavere abbia ancora tratti di riconoscibilità), di quelli per la cui identificazione si renderebbe necessario un esame del Dna e di quelli dispersi. Tutti. Con nomi e cognomi di ognuno di loro. Un passo, in apparenza, pressoché insignificante dal momento che non comporterebbe né il ritiro dei soldati israeliani da Gaza, né il rilascio di alcun ostaggio da parte di Hamas o dei gruppi jihadisti che li tengono prigionieri. Ma si tratterebbe pur sempre di un atto che contiene una dichiarazione di intenti implicita e di grande importanza. Forse – conclude - addirittura più rilevante della liberazione di Gershkovich.
Francesco Manacorda, la Repubblica
“La puntualità è impressionante. Non quella dei treni funestati da un luglio che ha visto accavallarsi finora ritardi e disguidi di ogni genere, ma quella di Matteo Salvini nel commentare l’attualità varia, in quello spazio indefinibile ma riconoscibilissimo che sta tra cronaca nera e Cronaca Vera”. Lo scrive Francesco Manacorda su Repubblica: “Affidabile come un convoglio elvetico, preciso come uno Shinkansen giapponese, il ministro che dovrebbe occuparsi - come da carta intestata - delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, insomma dei trasporti, si muove invece frenetico e slegato da qualsiasi responsabilità istituzionale nella bolla di Instagram. E da quella invidiabile posizione interviene, commenta, condanna, solidarizza, esalta, biasima qualsiasi personaggio e/o fatto di cronaca possa polarizzare l’opinione pubblica e portare acqua elettorale al suo frenetico mulino. Ma in queste ore il caleidoscopio salviniano in perpetuo movimento – sottolinea l’editorialista - è ancora più straniante del solito se messo a contrasto con le difficoltà della rete ferroviaria temporaneamente soggetta, se non all’immobilità, almeno a corposi rallentamenti. Una rete, è bene ricordarlo, che il ministro ha voluto mettere sotto suo diretto potere sponsorizzando fortissimamente il manager Stefano Donnarumma alla guida delle Fs e poi
facendosi ritrarre (su Instagram, what else?) assieme a lui già la mattina dopo la nomina, entrambi sorridenti e intenti a sorseggiare un buon caffè. Adesso che alla testa delle ferrovie si è insediato un manager di sua scelta, e adesso che qualche problema ferroviario indubbiamente c’è, anche Salvini è dunque costretto a indossare il costume da lavoro, che sui social corrisponde a gilet catarifrangente e caschetto giallo antinfortuni, per dichiarare con tanto di sottotitoli che «sto seguendo l’andamento dei cantieri ferroviari, annunciati da mesi in accordo con gli enti locali», Tutti in viaggio tranquilli, adesso, con il solo timore che gli allievi possano superare il maestro. Come accade ora che il generale ed europarlamentare Roberto Vannacci, campione di preferenze della Lega nonostante la Lega, tappezza siti e notiziari con una presunta facezia che parte da «un essere non binario» che ha vinto l’Eurovision, per finire con la memorabile battuta che «io il binario l’ho visto solo in stazione». Deve essere una passione di partito – conclude - questa per le ferrovie”.
Nicoletta Verna, La Stampa
“L’aspetto che più colpisce, e più inquieta, del dibattito sul caso Carini-Khelif è la metodica, meticolosa, spietata costruzione da parte prima degli organi sportivi, poi dei media, poi dei commentatori tutti della rete del concetto di mostro, con riferimento a Imane Khelif”. Così Nicoletta Verna sulla Stampa: “Un mostro, per definizione, è un essere con caratteristiche diverse dalla norma e, in quanto tale, generatore di stupore e paura. I tratti principali del mostro sono l'abnormità e l'ibrido: e nella narrazione che in queste ore viene fatta di Khelif, lei li racchiude entrambi. Si specifica che la sua forza è abnorme, che il suo corpo non è femminile. Viene mostrata in immagini dai tratti del volto duri, in forte contrapposizione con le sue foto da bambina, quando era normale, quando era conforme. Perché questa costruzione? A cosa conduce? Credo – scrive Verna - ci siano almeno tre ragionamenti da fare. Il primo. La funzione sociale del mostro è da sempre quella di riflettere le paure e le ansie della società e, d'altro canto, di rassicurarci a proposito della nostra normalità. Imane Khelif incarna una paura fortissima, e da qui l'esasperazione nella narrazione della sua mostruosità. E la paura della complessità. La seconda riflessione riguarda, necessariamente, la questione di genere. Khelif è, innegabilmente, una donna. Ma una donna che, per alcune caratteristiche, esula dai classici canoni della femminilità. E anche questo spaventa. Khelif appare minacciosa poiché incarna il mito della potenza fisica. E destabilizza la nostra società patriarcale, poiché se la sua diversità diventasse norma scardinerebbe completamente gli equilibri e i rapporti su cui da sempre si basa la società occidentale. La terza riflessione, la più importante. Qualunque opinione possiamo avere su questa vicenda, non dovremmo mai perdere di vista un elemento fondamentale. Khelif è, prima di tutto, e oltre ogni altra considerazione politica, sportiva, sociale e di genere, un essere umano. Dimenticarsene per opportunità politica (in primis), per semplificazione, per paura significa porsi al livello dei freak show dove società molto meno evolute della nostra – conclude - strumentalizzavano, ridicolizzavano, denigravano persone con caratteri sessuali secondari tipici del sesso opposto per impressionare gli spettatori”.
“Il fatto che Vladimir Putin abbia dato l’ordine di scarcerare e rimandare in patria il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich assieme all’ex marine Paul Whelan, entrambi condannati a pene severissime per spionaggio a favore degli Stati Uniti, è un’ottima notizia”. Lo spiega Paolo Mieli sul Corriere della Sera sottolineando che “la «restituzione» avviene in uno spettacolare contesto di «scambio di prigionieri»— forse addirittura una trentina —che di per sé è la prova evidente dell’apertura di un canale di dialogo tra il Cremlino e la Casa Bianca. Tra l’altro il contesto è parallelo a quello che ha consentito, a fine maggio e a fine giugno, una transazione altrettanto delicata tra Russia e Ucraina. Anche in questo caso si è trattato di uno «scambio di prigionieri» (con la mediazione, stavolta, degli Emirati arabi uniti). Piccoli passi in direzione di una soluzione del conflitto fortemente voluta da Biden anche per dare un senso compiuto agli ultimi suoi mesi alla Casa Bianca. Soluzione che è ancora ben lontana dal delinearsi tant’è che non se ne intravedono neanche i contorni. Ma il sentiero lungo il quale americani, russi e ucraini si sono incamminati è quantomeno ben individuabile. Niente del genere, invece – aggiunge l’editorialista - si intravede nella crisi israelo-palestinese. Forse sarebbe più saggio concentrarsi —come si sta facendo in Ucraina—sulla definizione dei piccoli passi iniziali. Sarebbe già qualcosa se tra pochi giorni, il 7 agosto, a dieci mesi dall’aggressione di Hamas, l’esercito israeliano sospendesse unilateralmente ogni attività militare sul territorio di Gaza limitandosi a governare la distribuzione degli aiuti umanitari. Contestualmente—vale a dire lo stesso giorno, il 7 agosto—Hamas dovrebbe rendere pubblica la lista completa dei prigionieri ancora in vita, di quelli morti (il cui cadavere abbia ancora tratti di riconoscibilità), di quelli per la cui identificazione si renderebbe necessario un esame del Dna e di quelli dispersi. Tutti. Con nomi e cognomi di ognuno di loro. Un passo, in apparenza, pressoché insignificante dal momento che non comporterebbe né il ritiro dei soldati israeliani da Gaza, né il rilascio di alcun ostaggio da parte di Hamas o dei gruppi jihadisti che li tengono prigionieri. Ma si tratterebbe pur sempre di un atto che contiene una dichiarazione di intenti implicita e di grande importanza. Forse – conclude - addirittura più rilevante della liberazione di Gershkovich.
Francesco Manacorda, la Repubblica
“La puntualità è impressionante. Non quella dei treni funestati da un luglio che ha visto accavallarsi finora ritardi e disguidi di ogni genere, ma quella di Matteo Salvini nel commentare l’attualità varia, in quello spazio indefinibile ma riconoscibilissimo che sta tra cronaca nera e Cronaca Vera”. Lo scrive Francesco Manacorda su Repubblica: “Affidabile come un convoglio elvetico, preciso come uno Shinkansen giapponese, il ministro che dovrebbe occuparsi - come da carta intestata - delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, insomma dei trasporti, si muove invece frenetico e slegato da qualsiasi responsabilità istituzionale nella bolla di Instagram. E da quella invidiabile posizione interviene, commenta, condanna, solidarizza, esalta, biasima qualsiasi personaggio e/o fatto di cronaca possa polarizzare l’opinione pubblica e portare acqua elettorale al suo frenetico mulino. Ma in queste ore il caleidoscopio salviniano in perpetuo movimento – sottolinea l’editorialista - è ancora più straniante del solito se messo a contrasto con le difficoltà della rete ferroviaria temporaneamente soggetta, se non all’immobilità, almeno a corposi rallentamenti. Una rete, è bene ricordarlo, che il ministro ha voluto mettere sotto suo diretto potere sponsorizzando fortissimamente il manager Stefano Donnarumma alla guida delle Fs e poi
facendosi ritrarre (su Instagram, what else?) assieme a lui già la mattina dopo la nomina, entrambi sorridenti e intenti a sorseggiare un buon caffè. Adesso che alla testa delle ferrovie si è insediato un manager di sua scelta, e adesso che qualche problema ferroviario indubbiamente c’è, anche Salvini è dunque costretto a indossare il costume da lavoro, che sui social corrisponde a gilet catarifrangente e caschetto giallo antinfortuni, per dichiarare con tanto di sottotitoli che «sto seguendo l’andamento dei cantieri ferroviari, annunciati da mesi in accordo con gli enti locali», Tutti in viaggio tranquilli, adesso, con il solo timore che gli allievi possano superare il maestro. Come accade ora che il generale ed europarlamentare Roberto Vannacci, campione di preferenze della Lega nonostante la Lega, tappezza siti e notiziari con una presunta facezia che parte da «un essere non binario» che ha vinto l’Eurovision, per finire con la memorabile battuta che «io il binario l’ho visto solo in stazione». Deve essere una passione di partito – conclude - questa per le ferrovie”.
Nicoletta Verna, La Stampa
“L’aspetto che più colpisce, e più inquieta, del dibattito sul caso Carini-Khelif è la metodica, meticolosa, spietata costruzione da parte prima degli organi sportivi, poi dei media, poi dei commentatori tutti della rete del concetto di mostro, con riferimento a Imane Khelif”. Così Nicoletta Verna sulla Stampa: “Un mostro, per definizione, è un essere con caratteristiche diverse dalla norma e, in quanto tale, generatore di stupore e paura. I tratti principali del mostro sono l'abnormità e l'ibrido: e nella narrazione che in queste ore viene fatta di Khelif, lei li racchiude entrambi. Si specifica che la sua forza è abnorme, che il suo corpo non è femminile. Viene mostrata in immagini dai tratti del volto duri, in forte contrapposizione con le sue foto da bambina, quando era normale, quando era conforme. Perché questa costruzione? A cosa conduce? Credo – scrive Verna - ci siano almeno tre ragionamenti da fare. Il primo. La funzione sociale del mostro è da sempre quella di riflettere le paure e le ansie della società e, d'altro canto, di rassicurarci a proposito della nostra normalità. Imane Khelif incarna una paura fortissima, e da qui l'esasperazione nella narrazione della sua mostruosità. E la paura della complessità. La seconda riflessione riguarda, necessariamente, la questione di genere. Khelif è, innegabilmente, una donna. Ma una donna che, per alcune caratteristiche, esula dai classici canoni della femminilità. E anche questo spaventa. Khelif appare minacciosa poiché incarna il mito della potenza fisica. E destabilizza la nostra società patriarcale, poiché se la sua diversità diventasse norma scardinerebbe completamente gli equilibri e i rapporti su cui da sempre si basa la società occidentale. La terza riflessione, la più importante. Qualunque opinione possiamo avere su questa vicenda, non dovremmo mai perdere di vista un elemento fondamentale. Khelif è, prima di tutto, e oltre ogni altra considerazione politica, sportiva, sociale e di genere, un essere umano. Dimenticarsene per opportunità politica (in primis), per semplificazione, per paura significa porsi al livello dei freak show dove società molto meno evolute della nostra – conclude - strumentalizzavano, ridicolizzavano, denigravano persone con caratteri sessuali secondari tipici del sesso opposto per impressionare gli spettatori”.
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