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Il doppio scenario in Medio Oriente

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 01/08/2024

Il doppio scenario in Medio Oriente Il doppio scenario in Medio Oriente Federico Rampini, Corriere della Sera
Sul Corriere della Sera Federico Rampini ragiona su quel che può ancora accadere in Medio Oriente dopo gli ultimi colpi inferti da Israele ai suoi nemici. “Lo scenario fin troppo prevedibile è quello di un susseguirsi di ritorsioni e contro-rappresaglie, la «doverosa vendetta» promessa dall’ayatollah Khamenei, cioè il peggioramento senza fine di una tragedia che ha già inflitto uno spaventoso bilancio di sofferenze”. Eppure, scrive Rampini, “esiste una speranza di segno opposto, per quanto labile. In gergo, si parla di escalation for de- escalation. In questa ipotesi, Israele sarebbe in cerca di una via d’uscita dalla guerra di Gaza. Due eliminazioni di avversari di alto livello potrebbero diventare l’opportunità per proclamare vittoria e iniziare un processo di segno inverso, una graduale smobilitazione dalla Striscia. A cui dovrebbe seguire però un piano rapido e credibile per instaurare un nuovo governo a Gaza e poi iniziare la ricostruzione. Nessuno scommette che questo scenario sia il più probabile. Però esiste. Seguendo questa tesi Israele avrebbe colpito a Beirut e a Teheran non per segnalare la sua determinazione ad allargare la guerra, ma per prepararsi a una ritirata. L’uccisione del leader di Hezbollah e di quello di Hamas sarebbero funzionali a dichiarare missione compiuta e quindi a preparare un disimpegno delle forze armate israeliane, già molto provate dopo nove mesi di intervento a Gaza. È una teoria interessante, ma per avverarsi richiede almeno una condizione: che tutti gli altri stiano al gioco. Che cioè le contro-rappresaglie da Hezbollah e da Hamas e la vendetta promessa da Khamenei non oltrepassino qualche «linea rossa» segnata dagli israeliani. Nel qual caso torneremmo invece al primo scenario, quello della guerra generalizzata. Molto dipende dai calcoli iraniani sui rapporti di forze nella regione. Nonché dal livello di incoraggiamento che il regime degli ayatollah riceve dai suoi veri protettori, Russia e Cina”.
 
Stefano Stefanini, La Stampa
Anche Stefano Stefanini, sulla Stampa, ragiona sulle possibili conseguenze dei due colpi, “mirati e micidiali”, sferrati da Israele contro Hezbollah e Hamas nella notte fra il 30 e il 31 luglio. “L’eliminazione di Ismail Haniyeh mette forse una pietra tombale sul negoziato per il cessate il fuoco a Gaza, per quanto americani e altri possano cercare di resuscitarlo. Gli israeliani non diranno di no se serve a liberare gli ostaggi, ma Hamas? Ismail Hanyeh era il regista del negoziato. La tregua era già in salita, adesso diventa un sesto grado. Il rischio di un’estensione della guerra al fronte nord era legato ad un intervento massiccio di Israele contro obiettivi Hezbollah in Libano. Quello di ieri invece, che ha portato all’eliminazione di Fouad Shukur, è stato abbastanza ‘chirurgico’ da rientrare nella ‘proporzionalità’ senza provocare escalation con Hezbollah. Le due parti potrebbero considerare di aver pareggiato i conti. Per ora. Il rischio di guerra regionale si sposta però alla casa madre, l’Iran. Come non reagire all’esecuzione di un leader amico, venuto a Teheran per rendere omaggio al nuovo presidente? Rimanere con le mani in mano sarebbe un segno di debolezza che in Medio Oriente nessuno si può permettere. Se Teheran risponde per procura, il braccio più agguerrito resta Hezbollah e la maggior vulnerabilità di Israele è il confine col Libano”. “La morte di Haniyeh – conclude Stefanini - rimette al centro della scena il conflitto di fondo fra Iran e Israele. Può sorprendere per come è avvenuta, mentre il leader di Hamas era fra le accoglienti braccia iraniane, ma è l’esecuzione della condanna a morte di tutta la dirigenza di Hamas, emessa da Gerusalemme il 7 ottobre. È il ‘principio di Monaco’ applicato rigorosamente da Israele ai terroristi delle Olimpiadi del’72. Allora il Mossad ci mise un decennio. La fine di Haniyeh è arrivata molto prima. Non merita lacrime ma allontana la tregua a Gaza”.
 
Stefano Cappellini, Repubblica
Su Repubblica Stefano Cappellini parla dei numeri record fatti registrare nella raccolta firme per la proposta referendaria per l’abrogazione dell’Autonomia differenziata. E’ “una mobilitazione straordinaria – scrive - che restituisce il senso di un’urgenza politica e sociale, un moto di testa e di pancia che vale un urlo dritto nelle orecchie del governo e della premier, che forse pensava di potersi permettere gratis questo regalino alla Lega in cambio del via libera al premierato. Invece no, c’è un’Italia ferita e indignata da una legge che, prima ancora che uno sfregio all’unità nazionale, è un pasticcio senza capo né coda, soprattutto senza soldi. Ai cittadini che si sono affrettati a sottoscrivere il referendum non sono servite complesse analisi politologiche per rendersi conto di quale attentato ai diritti del cittadino sia l’autonomia, in testa quello alla salute. Il Ssn è già piegato da anni di incuria e definanziamento per tollerare che una riforma dissennata ne smantelli anche le ultime fondamenta. In più, la pandemia ha dimostrato quanto sia cruciale un coordinamento nazionale delle emergenze e quanto pericoloso, invece, che il bene pubblico sia affidato all’autorità di 20 staterelli. Non siamo negli anni Zero, quando il vento federalista e autonomista soffiava così forte da spingere il centrosinistra a varare in fretta e male la riforma del titolo V della Costituzione. Tutto è cambiato da allora, tranne la tendenza della politica italiana a piantare bandierine ideologiche. Meloni – conclude Cappellini - ha decisamente sottovalutato una caratteristica naturale di ogni mobilitazione referendaria, che permette di mettere insieme mondi e fazioni anche distanti, magari contrapposte su molti altri fronti. Gli avversari del governo possono far fatica a mettersi insieme su un programma comune, non ne fanno alcuna se il governo offre loro l’occasione di compattarsi sul no a uno scempio”.
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