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Le riforme che pochi voglioni
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 29/07/2024
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Angelo Panebianco, Corriere della Sera
“Déjà-vu. Urla e strepiti come al solito ma è possibile che alla fine la proposta del premierato finisca nel dimenticatoio”. Così Angelo Panebianco sul Corriere della Sera sottolineando che ciò confermerebbe “quello che pensarono molti quando conobbero i risultati del referendum costituzionale del 2016 (sessanta per cento dei votanti a favore dello status quo), ossia che la nostra forma di governo è immodificabile. Chiediamoci perché la forma di governo sembri immodificabile. Quali forze sono all’opera per renderla tale? Persino chi si inchina di fronte alla Costituzione non può non riconoscere che sessantotto governi in settantasei anni (dal ’48 ad oggi) sono un po’ troppi (o no?). Spesso, chi nulla vuole cambiare della forma di governo, ribatte: «Ma che c’entra la Costituzione? È la politica la causa dell’instabilità governativa». Si tratta di una sciocchezza, ovviamente. Chi sostiene ciò non si avvede che sta di fatto sostenendo l’irrilevanza (fatta salva la tutela delle libertà individuali) della Costituzione. Ma il «club Bella ciao» -dice Panebianco - conterebbe ben poco se non fosse sostenuto da corposissimi interessi per i quali è vitale conservare lo status quo costituzionale, mantenere una forma di governo che assicuri a questi stessi interessi ciò di cui essi hanno bisogno: l’instabilità governativa per l’appunto. Ma, a parere di chi scrive, più degli interessi politico-partitici contano certe forze istituzionali e sociali, le quali dispongono di un potere di veto o di interdizione sulle politiche governative, un potere di veto che la forma di governo vigente assicura e ha sempre assicurato. Chi occupa posizioni apicali nella pubblica amministrazione o nelle magistrature di ogni ordine e tipo, vedrebbe drasticamente ridotto il proprio margine di manovra e il proprio potere di interdizione nei confronti dei governi se si affermassero condizioni istituzionali volte a favorire la stabilità e la durata degli esecutivi. In qualsiasi agenzia pubblica o para-pubblica, coloro che occupano posizioni direttive e che non ricadano nell’ambito dello spoil system all’italiana, molto plausibilmente, preferiscono governi deboli. Più debole è il governo, più forza e libertà di manovra essi possiedono. Ciò vale anche per la miriade di interessi sociali ed economici grandi e piccoli che – conclude - si sentono tutelati dal fatto di potere sfruttare a proprio vantaggio le divisioni nella classe politica di governo e la precarietà degli esecutivi”.
Stefano Folli, la Repubblica
Stefano Folli su Repubblica analizza le ultime mosse di Matteo Renzi: “Davvero – scrive l’editorialista - stiamo assistendo alla nascita di una nuova formula politica? O addirittura siamo agli esordi di un equilibrio destinato a segnare i prossimi anni, come fu il centrosinistra di Fanfani e Moro, pur con le loro diverse idee? Si fa presto a esagerare quando l’estate impazza e la gente ha più voglia di divertirsi che di farsi coinvolgere da una politica deludente. Così è a destra, dove il patto Meloni-Salvini-Tajani scricchiola ma non finisce in pezzi: semplicemente produce la solita paralisi della mediocrità. E così è a sinistra, dove Renzi è riuscito a richiamare di nuovo l’attenzione con l’abilità tattica che gli è riconosciuta. Ma siamo d’estate, appunto. E quello che prende forma sotto l’ombrellone non è detto che regga quando riaprono le scuole. Anche perché le contraddizioni di questa nuova versione del campo largo sono infinite, tanto che al momento si tratta soprattutto di una suggestione. O meglio, di un modo di stare sui giornali nelle settimane in cui esistono solo la politica internazionale e le Olimpiadi. A prendere sul serio la questione – osserva Folli - c’è da chiedersi se il contributo di Italia Viva alla cultura riformista del Pd sarà davvero in grado di incidere sul tragitto di una nave al cui timone ci sono, tra mille baruffe, Elly Schlein e Giuseppe Conte. Un’alleanza ‘di scopo’ Renzi l’ha appena sperimentata con Emma Bonino alle elezioni europee e non è andata bene. Certo, se l’obiettivo fosse quello di farsi dare sei o sette seggi alle prossime politiche, l’operazione con Schlein e gli altri sarebbe relativamente semplice. Se invece fosse più ambiziosa, come è logico che sia conoscendo i protagonisti, allora verrà il momento in cui il ‘renzismo’, con tutti i suoi risvolti pratici, compresa l’eredità di quel governo, si scontrerà con ‘l’anti-renzismo’. Ossia con una sorta di ideologia che quell’eredità respinge in toto e ha soprattutto in Conte il suo alfiere. In teoria, il Pd dovrebbe scegliere tra Renzi e i 5S. Ma ovviamente — non c’è nemmeno bisogno di dirlo — questo non avverrà: almeno non in tempi prevedibili. E allora quale può essere l’obiettivo realistico di Renzi, realizzabile nel giro di mesi e non di anni? Forse tentare d’intercettare il lento spostamento a sinistra di Forza Italia, sospinta dalla famiglia Berlusconi al di là
delle cautele di Tajani”.
Stefano Stefanini, La Stampa
“Il Medio Oriente è una polveriera da cui pendono molte micce”. Ne parla Stefano Stefanini sulla Stampa aggiungendo che “se anche nessuno la vuol far esplodere – «catastrofe inimmaginabile» secondo le Nazioni Unite, che una volta tanto esprimono anche l’opinione dell’uomo di strada – basta che se ne accenda una per far deflagrare il resto. Adesso il rischio principale viene dal Libano, o meglio da Hezbollah in Libano. Israele è compresso fra due fronti esterni. La frontiera libanese, a Nord, è in allarme permanente, soggetta a continui scambi fra razzi e missili di Hezbollah e risposte israeliane, dall’indomani del massacro perpetrato da Hamas nei kibbutzim israeliani, a Sud. Ma nessuno vuole che la guerra fra Israele e Hamas si estenda oltre Gaza. Fino all’eccidio di ragazzini sul campo di calcio di Majdal Shams, il duello di Israele con Hezbollah era sotto la soglia del diretto conflitto. La continua guerriglia ha però fatto evacuare circa 60. 000 abitanti israeliani dei villaggi a ridosso del confine; sul versante libanese si contano altrettanti sfollati, se non di più. La «grande paura» di Beirut descritta ieri su queste colonne – dice Stefanini - è ben presente a Washington. La Casa Bianca ha avvertito Israele che la situazione «precipiterebbe fuori controllo» in caso venissero colpiti obiettivi Hezbollah nella capitale libanese. Nella ferrea logica mediorientale – dente per dente – Hezbollah, che sia per errore o per altro non importa, ha varcato una linea rossa. Deve pagarne il prezzo altrimenti lo rifarà. Se la rappresaglia israeliana sarà misurata, e se Hezbollah incassa – due grossi «se» – la partita si chiude tornando allo stato di guerriglia. Il nodo comunque non sarebbe sciolto, solo rinviato. Israele non può accettare lo sfollamento permanente dai villaggi del confine. L’epicentro della crisi torna così a Gaza. Suona come una messa in mora di Netanyahu sul cessate il fuoco a Gaza perché la situazione umanitaria dei palestinesi è intollerabile. Il primo ministro israeliano ne ha sicuramente ricevute di simili a Washington da Joe Biden e da Kamala Harris. Ma da Donald Trump? Se l’ex-Presidente gli avesse detto «aspettami», non fare un piacere a quest’amministrazione democratica? Per la tregua a Gaza – conclude Stefanini - Bibi non chiede di meglio che aspettare”.
“Déjà-vu. Urla e strepiti come al solito ma è possibile che alla fine la proposta del premierato finisca nel dimenticatoio”. Così Angelo Panebianco sul Corriere della Sera sottolineando che ciò confermerebbe “quello che pensarono molti quando conobbero i risultati del referendum costituzionale del 2016 (sessanta per cento dei votanti a favore dello status quo), ossia che la nostra forma di governo è immodificabile. Chiediamoci perché la forma di governo sembri immodificabile. Quali forze sono all’opera per renderla tale? Persino chi si inchina di fronte alla Costituzione non può non riconoscere che sessantotto governi in settantasei anni (dal ’48 ad oggi) sono un po’ troppi (o no?). Spesso, chi nulla vuole cambiare della forma di governo, ribatte: «Ma che c’entra la Costituzione? È la politica la causa dell’instabilità governativa». Si tratta di una sciocchezza, ovviamente. Chi sostiene ciò non si avvede che sta di fatto sostenendo l’irrilevanza (fatta salva la tutela delle libertà individuali) della Costituzione. Ma il «club Bella ciao» -dice Panebianco - conterebbe ben poco se non fosse sostenuto da corposissimi interessi per i quali è vitale conservare lo status quo costituzionale, mantenere una forma di governo che assicuri a questi stessi interessi ciò di cui essi hanno bisogno: l’instabilità governativa per l’appunto. Ma, a parere di chi scrive, più degli interessi politico-partitici contano certe forze istituzionali e sociali, le quali dispongono di un potere di veto o di interdizione sulle politiche governative, un potere di veto che la forma di governo vigente assicura e ha sempre assicurato. Chi occupa posizioni apicali nella pubblica amministrazione o nelle magistrature di ogni ordine e tipo, vedrebbe drasticamente ridotto il proprio margine di manovra e il proprio potere di interdizione nei confronti dei governi se si affermassero condizioni istituzionali volte a favorire la stabilità e la durata degli esecutivi. In qualsiasi agenzia pubblica o para-pubblica, coloro che occupano posizioni direttive e che non ricadano nell’ambito dello spoil system all’italiana, molto plausibilmente, preferiscono governi deboli. Più debole è il governo, più forza e libertà di manovra essi possiedono. Ciò vale anche per la miriade di interessi sociali ed economici grandi e piccoli che – conclude - si sentono tutelati dal fatto di potere sfruttare a proprio vantaggio le divisioni nella classe politica di governo e la precarietà degli esecutivi”.
Stefano Folli, la Repubblica
Stefano Folli su Repubblica analizza le ultime mosse di Matteo Renzi: “Davvero – scrive l’editorialista - stiamo assistendo alla nascita di una nuova formula politica? O addirittura siamo agli esordi di un equilibrio destinato a segnare i prossimi anni, come fu il centrosinistra di Fanfani e Moro, pur con le loro diverse idee? Si fa presto a esagerare quando l’estate impazza e la gente ha più voglia di divertirsi che di farsi coinvolgere da una politica deludente. Così è a destra, dove il patto Meloni-Salvini-Tajani scricchiola ma non finisce in pezzi: semplicemente produce la solita paralisi della mediocrità. E così è a sinistra, dove Renzi è riuscito a richiamare di nuovo l’attenzione con l’abilità tattica che gli è riconosciuta. Ma siamo d’estate, appunto. E quello che prende forma sotto l’ombrellone non è detto che regga quando riaprono le scuole. Anche perché le contraddizioni di questa nuova versione del campo largo sono infinite, tanto che al momento si tratta soprattutto di una suggestione. O meglio, di un modo di stare sui giornali nelle settimane in cui esistono solo la politica internazionale e le Olimpiadi. A prendere sul serio la questione – osserva Folli - c’è da chiedersi se il contributo di Italia Viva alla cultura riformista del Pd sarà davvero in grado di incidere sul tragitto di una nave al cui timone ci sono, tra mille baruffe, Elly Schlein e Giuseppe Conte. Un’alleanza ‘di scopo’ Renzi l’ha appena sperimentata con Emma Bonino alle elezioni europee e non è andata bene. Certo, se l’obiettivo fosse quello di farsi dare sei o sette seggi alle prossime politiche, l’operazione con Schlein e gli altri sarebbe relativamente semplice. Se invece fosse più ambiziosa, come è logico che sia conoscendo i protagonisti, allora verrà il momento in cui il ‘renzismo’, con tutti i suoi risvolti pratici, compresa l’eredità di quel governo, si scontrerà con ‘l’anti-renzismo’. Ossia con una sorta di ideologia che quell’eredità respinge in toto e ha soprattutto in Conte il suo alfiere. In teoria, il Pd dovrebbe scegliere tra Renzi e i 5S. Ma ovviamente — non c’è nemmeno bisogno di dirlo — questo non avverrà: almeno non in tempi prevedibili. E allora quale può essere l’obiettivo realistico di Renzi, realizzabile nel giro di mesi e non di anni? Forse tentare d’intercettare il lento spostamento a sinistra di Forza Italia, sospinta dalla famiglia Berlusconi al di là
delle cautele di Tajani”.
Stefano Stefanini, La Stampa
“Il Medio Oriente è una polveriera da cui pendono molte micce”. Ne parla Stefano Stefanini sulla Stampa aggiungendo che “se anche nessuno la vuol far esplodere – «catastrofe inimmaginabile» secondo le Nazioni Unite, che una volta tanto esprimono anche l’opinione dell’uomo di strada – basta che se ne accenda una per far deflagrare il resto. Adesso il rischio principale viene dal Libano, o meglio da Hezbollah in Libano. Israele è compresso fra due fronti esterni. La frontiera libanese, a Nord, è in allarme permanente, soggetta a continui scambi fra razzi e missili di Hezbollah e risposte israeliane, dall’indomani del massacro perpetrato da Hamas nei kibbutzim israeliani, a Sud. Ma nessuno vuole che la guerra fra Israele e Hamas si estenda oltre Gaza. Fino all’eccidio di ragazzini sul campo di calcio di Majdal Shams, il duello di Israele con Hezbollah era sotto la soglia del diretto conflitto. La continua guerriglia ha però fatto evacuare circa 60. 000 abitanti israeliani dei villaggi a ridosso del confine; sul versante libanese si contano altrettanti sfollati, se non di più. La «grande paura» di Beirut descritta ieri su queste colonne – dice Stefanini - è ben presente a Washington. La Casa Bianca ha avvertito Israele che la situazione «precipiterebbe fuori controllo» in caso venissero colpiti obiettivi Hezbollah nella capitale libanese. Nella ferrea logica mediorientale – dente per dente – Hezbollah, che sia per errore o per altro non importa, ha varcato una linea rossa. Deve pagarne il prezzo altrimenti lo rifarà. Se la rappresaglia israeliana sarà misurata, e se Hezbollah incassa – due grossi «se» – la partita si chiude tornando allo stato di guerriglia. Il nodo comunque non sarebbe sciolto, solo rinviato. Israele non può accettare lo sfollamento permanente dai villaggi del confine. L’epicentro della crisi torna così a Gaza. Suona come una messa in mora di Netanyahu sul cessate il fuoco a Gaza perché la situazione umanitaria dei palestinesi è intollerabile. Il primo ministro israeliano ne ha sicuramente ricevute di simili a Washington da Joe Biden e da Kamala Harris. Ma da Donald Trump? Se l’ex-Presidente gli avesse detto «aspettami», non fare un piacere a quest’amministrazione democratica? Per la tregua a Gaza – conclude Stefanini - Bibi non chiede di meglio che aspettare”.
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