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Tre passi per un'Unione europea più solida

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 29/07/2024

Tre passi per un'Unione europea più solida Tre passi per un'Unione europea più solida Maurizio Ferrera, Corriere della Sera
Sul Corriere della Sera Maurizio Ferrera indica tre passi per rendere più solida l’Unione Europea. Molti partiti nati come anti-Ue – egli osserva – oggi guidano o partecipano ai governi dei loro Paesi. L’ evoluzione ideologica e politica della galassia euro-scettica apre quindi spazi per la ricerca di un consenso largo sui «fondamentali» politici dell’Unione.  Quali potrebbero essere i fondamentali politici su cui convergere? Il più ovvio ed elementare sembra in larga parte già acquisito: accettare l’esistenza della Ue e non opporsi (anzi favorire) la sua sopravvivenza. Da questa scelta di campo iniziale discendono almeno tre importanti implicazioni, sulle quali s’intravedono segnali di disponibilità. La prima riguarda i confini esterni. Nel nuovo contesto geo-politico, il controllo del territorio è una condizione imprescindibile per la tenuta dell’Unione, soprattutto negli ambiti dell’immigrazione e della difesa. La seconda implicazione riguarda le «condivisioni» fra Paesi. L’interdipendenza sempre più profonda fra le economie e le società europee richiede la predisposizione di meccanismi permanenti di solidarietà e investimenti comuni, soprattutto in situazioni di emergenza (come è stato per la pandemia). La terza e più delicata implicazione riguarda l’introduzione di procedure decisionali più efficienti. Difficile discutere di questo con i Patrioti. È tuttavia possibile aprire un dialogo con i Conservatori. Durante la campagna elettorale, il loro mantra è stato quello di trasformare la Ue da un gigante burocratico a uno politico.  Come procedere in questa direzione senza una cabina di regia capace di prendere e attuare rapidamente le decisioni collettive? C’è da sperare che l’esperienza di governo faccia maturare questa consapevolezza anche fra i partiti del gruppo Ecr. L’Unione resta ancora oggi in bilico tra fragilità esistenziale e resilienza contingente. Per superare la morsa bisogna oltrepassare i cordoni sanitari e favorire la conversione degli euro-scettici da forze anti-sistema a partiti euro-leali.
 
Ezio Mauro, la Repubblica
Eppur si muove. In quello che doveva essere l’anno d’oro di Giorgia Meloni, sicura dopo la vittoria in Italia di poter sconvolgere gli equilibri di Bruxelles e Strasburgo guidando l’onda promessa della destra europea, la sinistra – scrive Ezio Mauro su Repubblica – torna in campo superando veti, gelosie, preclusioni e ideologie per contendere il Paese al sovranismo nazionalista che lo ha sedotto con il progetto inedito e ribelle di un governo anti-sistema. Oggi quel progetto rivela di avere spazio solo nel buio delle nostre paure indigene, mentre non trova cittadinanza in Europa. Non solo: il governo dell’Unione nasce dall’alleanza delle forze tradizionali che si riconoscono nello stato di diritto, nei valori della democrazia liberale, nella cultura storica e politica dell’Occidente, mettendo ai margini la destra estrema anti-europea, filorussa, illiberale, reazionaria e neo-autoritaria. Il contesto, quindi, sta cambiando lo spirito dei tempi. Ma la sinistra – per la prima volta da anni – non è ritornata in campo soltanto per gli errori altrui, le inadeguatezze del personale di governo, i limiti di una cultura politica che ambisce a impersonare il moderno conservatorismo continentale e poi subisce il richiamo della foresta primitivo e sacrifica il grande gioco europeo per paura, nel piccolo gioco italiano, di mostrare il fianco sguarnito alle insidie di Salvini, alleato-rivale. A sinistra ci sono segnali ormai chiari e costanti di una diversa percezione del futuro, della nuova vulnerabilità politica, strategica e soprattutto culturale della destra al governo, della possibilità concreta di ingaggiare e vincere una sfida elettorale, oggi per le città e le Regioni, domani magari per il Parlamento nazionale e quindi per il governo. Oggi c’è la consapevolezza che il centrosinistra è un soggetto politico permanente e fondamentale nella vita del Paese ed è una cultura di progresso, di emancipazione, di crescita nella giustizia sociale. Guai a sprecare l’occasione per diventare la prima forza nazionale a sostegno della liberal democrazia, un nuovo orizzonte valoriale nel quale può trovare compimento tutta la storia della sinistra italiana, riscattando i suoi errori: e persino i suoi ritardi.
 
Alessandro Sallusti, il Giornale
Un Paese davvero strano il nostro, commenta sul Giornale Alessandro Sallusti: un Paese in cui la magistratura spende tempo e soldi per indagare su un articolo scritto da Eugenio Scalfari nel luglio del 1993 in cui il fondatore di Repubblica esortava il sistema bancario a chiudere i rubinetti al gruppo Fininvest, a suo dire esposto per quattromila miliardi di lire. Ne dà notizia la stessa Repubblica che con malcelata soddisfazione svela che l’esito della perizia chiesta dalla procura di Firenze conferma l’ipotesi del suo fondatore e smentirebbe l’articolata e documentata smentita che Berlusconi fece all’epoca dalle colonne di questo Giornale. Lo scopo di questa operazione di archeologia giudiziaria-mediatica è sostenere il solito teorema: Berlusconi sommerso dai debiti scese in politica per salvare le aziende, tanto è vero che da lì in poi i conti migliorarono. Tesi ovviamente indimostrabile, sarebbe un po’ come dover decidere se Giulio Cesare abbia oltrepassato il Rubicone per il bene di Roma o per ambizione personale. L’unico fatto certo è che trasse il dado e la storia cambiò, come è certo che né prima né dopo il 1993 Fininvest ha goduto del beneficio di una sola lira pubblica e che i suoi debiti, bancari e non, sono sempre stati onorati fino all’ultima lira. A distanza di anni non c’è insomma modo di ammettere che Mediaset è stata una geniale intuizione imprenditoriale, talmente solida da sopravvivere al suo fondatore e camminare spedita con le sue gambe distribuendo benefici ai suoi dipendenti, ai suoi grandi e piccoli azionisti, al sistema-Paese nel suo complesso. Altrettanto non si può dire di altre imprese che nel tempo hanno avuto a che fare con la Repubblica. Il suo primo editore, Carlo De Benedetti, fu arrestato per aver pagato tangenti in cambio di appalti (e quindi soldi) pubblici. Le sue ambizioni di stare al passo con il rivale Berlusconi sono naufragate in una serie di fallimenti che lo hanno portato a ritirarsi a vita privata in Svizzera; il secondo e attuale padrone, la famiglia Elkann-Agnelli, ha sfasciato il sistema industriale italiano e dopo avere spolpato lo Stato e nascosto molti proventi all’estero ha svenduto ciò che rimaneva di Fiat ai francesi. Di tutto questo su Repubblica ovviamente non c’è mai stata traccia e lo capiamo.
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