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L'eredità, più luci che ombre per Biden
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 24/07/2024
L'eredità, più luci che ombre per Biden
Paolo Valentino, Corriere della Sera
L’eredità politica di Joe Biden? Più luci che ombre, afferma sul Corriere della Sera Paolo Valentino. Quando Biden entrò nello Studio Ovale, ricorda Valentino, l’America era alle prese con la più mortifera pandemia in cento anni e il più grave collasso dell’economia dalla Grande Depressione. La sua prima risposta fu un pacchetto da quasi 2 mila miliardi di dollari, che hanno finanziato programmi contro la povertà infantile, evitato milioni di licenziamenti e contribuito alla creazione di quasi 16 milioni di posti di lavoro. Seguirono 1200 miliardi per rifare le infrastrutture del Paese, il Chips and Science Act da 280 miliardi per strappare alla Cina il monopolio dei semiconduttori, e non ultimo l’Inflation Reduction Act da 2200 miliardi che incentiva le aziende a investire nelle più avanzate tecnologie climatiche. Ancora, Biden ha riportato gli Usa dentro gli accordi di Parigi sul clima e ha assicurato la loro permanenza nel Who, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’altra faccia di questo gigantesco lascito economico è stato il ritorno dell’inflazione, che ha seminato scontento e rifiuto negli americani, anche perché passeranno anni prima che gli effetti di quella mole d’investimenti siano percepiti e visibili. Al netto del disastroso ritiro dall’Afghanistan, peraltro già negoziato da Trump, Joe Biden è stato soprattutto il presidente che ha resuscitato la Nato, ridandole raison d'être e ampliandola. Quando il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin scatenò l’invasione dell’Ucraina, egli prese la guida dell’Occidente, forgiando una risposta unita, e formidabile, alle mire neoimperialiste del Cremlino. Il sostegno all’Ucraina ha in realtà anche un altro destinatario, la Cina. Se l’America cedesse a Kiev, Biden è certo che per Xi Jinping sarebbe un incoraggiamento ad agire contro Taiwan. Con Joe Biden esce di scena l’ultimo degli atlantisti, quella generazione di leader americani convinti che le due sponde dell’Oceano, Stati Uniti e Europa, condividessero un legame vasto, profondo e indissolubile. Noi europei faremmo bene a ricordarlo.
Ferdinando Adornato, Il Messaggero
È risaputo, scrive sul Messaggero Ferdinando Adornato, come Mark Twain, avendo appreso della pubblicazione del suo necrologio, abbia risposto: “La notizia della mia morte è alquanto esagerata”. Una celeberrima frase che oggi si potrebbe forse adattare alle ipotesi sul destino della democrazia Nell’ultimo decennio, infatti, numerose sono state le analisi che ne hanno preconizzato il tramonto. Intendiamoci: le ragioni di inquietudine erano (e sono) tutte fondate. A cominciare dalla crisi dello storico meccanismo di legittimazione reciproca tra il partito repubblicano e quello democratico. Inoltre, in entrambi i partiti, sembrava essersi del tutto bloccato il sistema di riproduzione delle classi dirigenti. Per interi decenni la lotta politica si è infatti cristallizzata intorno alle dinastie dei Bush e dei Clinton, avvicinando Washington a una sorta di familismo ereditario. Nel partito democratico lo schema si è interrotto con Obama e Biden. Ma solo apparentemente, perché le gerarchie del potere restavano sostanzialmente inalterate, nelle mani delle solite élites politiche. Il partito repubblicano, invece, forse per reazione a tale stagnazione, si è fatto travolgere dal ciclone Trump che ha azzerato tutte le vecchie classi dirigenti, pur ricchissime di tradizioni e di valori. Una infausta rottura. In sostanza, sommando le crisi dei due partiti, il “declino americano” si è fatto talmente palese da rendere imbarazzante la fotografia di una nazione, violentemente polarizzata. Eppure, gli avvenimenti dell’ultima settimana permettono di chiamare in causa il “fatto- re Twain”. Infatti, il passo indietro di Biden ha trascinato con sé due conseguenze virtuose. Da un lato ha richiamato in servizio la virtù (purtroppo desueta) di saper mettere da parte le motivazioni personali in no- me dell’interesse nazionale. Da un altro ha costretto a venire allo scoperto una nuova classe dirigente democratica, favorendo una sorta di “carica dei cinquantenni” non più teleguidati dai vecchi clan di Washington. Josh Shapiro, 51 anni, governatore della Pennsylvania. Andy Beisher, 46 anni, governatore del Kentucky. Gretchen Whitmer, 52 anni, governatrice del Michigan. Pete Buttigieg, segretario ai trasporti. E’ probabile che la Harris sceglierà proprio tra questi nomi il suo candidato vice presidente.
Luigi Manconi, la Repubblica
Nel gennaio scorso – ricorda su Repubblica Luigi Manconi – Nordio si limitava a sostenere che i suicidi in carcere «sono diffusi in tutto il mondo» e derivano «dallo shock psicologico della detenzione»: è qualcosa «che esiste come la malattia e tante altre negatività della vita». E, tuttavia, – diceva ancora – il fenomeno in Italia «è diminuito del 15% rispetto al 2022». Questo, sei mesi fa. Nel frattempo i suicidi sono arrivati a 58 e, con questo ritmo di crescita, è prevedibile che a fine anno questa macabra contabilità sia destinata a raggiungere l’acme. A fronte di ciò il decreto Nordio – che qualche sciagurato chiama “svuotacarceri” – appare totalmente inefficace. Non una delle misure previste avrà un effetto deflattivo sul sovraffollamento. E, come afferma la presidente del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari Cristina Ornano, quella normativa «può aggravare i problemi anziché risolverli». Intanto, il più recente rapporto dell’Associazione Antigone documenta come il numero degli attuali detenuti sia il più alto dell’ultimo decennio, tra gli adulti il sovraffollamento è del 130,4%, mentre cresce anche negli Istituti penali per minorenni. Il governo non ha proposto, finora, un solo provvedimento – giuro, nemmeno uno – capace di far fronte a questa rovinosa realtà. E la politica penale dell’esecutivo – quindici nuove fattispecie penali e inasprimento di tutte le pene – ha prodotto altri reati, altri arresti, altri detenuti, altri suicidi. La situazione è tale che solo un decremento significativo dell’attuale sovraffollamento può consentire di porre rimedio a un simile sfascio, garantendo condizioni umane di vita, accesso ai servizi, assistenza sanitaria e psicologica, opportunità di riabilitazione e, soprattutto, tutela della dignità. Con gli attuali numeri, non c’è scampo.
L’eredità politica di Joe Biden? Più luci che ombre, afferma sul Corriere della Sera Paolo Valentino. Quando Biden entrò nello Studio Ovale, ricorda Valentino, l’America era alle prese con la più mortifera pandemia in cento anni e il più grave collasso dell’economia dalla Grande Depressione. La sua prima risposta fu un pacchetto da quasi 2 mila miliardi di dollari, che hanno finanziato programmi contro la povertà infantile, evitato milioni di licenziamenti e contribuito alla creazione di quasi 16 milioni di posti di lavoro. Seguirono 1200 miliardi per rifare le infrastrutture del Paese, il Chips and Science Act da 280 miliardi per strappare alla Cina il monopolio dei semiconduttori, e non ultimo l’Inflation Reduction Act da 2200 miliardi che incentiva le aziende a investire nelle più avanzate tecnologie climatiche. Ancora, Biden ha riportato gli Usa dentro gli accordi di Parigi sul clima e ha assicurato la loro permanenza nel Who, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’altra faccia di questo gigantesco lascito economico è stato il ritorno dell’inflazione, che ha seminato scontento e rifiuto negli americani, anche perché passeranno anni prima che gli effetti di quella mole d’investimenti siano percepiti e visibili. Al netto del disastroso ritiro dall’Afghanistan, peraltro già negoziato da Trump, Joe Biden è stato soprattutto il presidente che ha resuscitato la Nato, ridandole raison d'être e ampliandola. Quando il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin scatenò l’invasione dell’Ucraina, egli prese la guida dell’Occidente, forgiando una risposta unita, e formidabile, alle mire neoimperialiste del Cremlino. Il sostegno all’Ucraina ha in realtà anche un altro destinatario, la Cina. Se l’America cedesse a Kiev, Biden è certo che per Xi Jinping sarebbe un incoraggiamento ad agire contro Taiwan. Con Joe Biden esce di scena l’ultimo degli atlantisti, quella generazione di leader americani convinti che le due sponde dell’Oceano, Stati Uniti e Europa, condividessero un legame vasto, profondo e indissolubile. Noi europei faremmo bene a ricordarlo.
Ferdinando Adornato, Il Messaggero
È risaputo, scrive sul Messaggero Ferdinando Adornato, come Mark Twain, avendo appreso della pubblicazione del suo necrologio, abbia risposto: “La notizia della mia morte è alquanto esagerata”. Una celeberrima frase che oggi si potrebbe forse adattare alle ipotesi sul destino della democrazia Nell’ultimo decennio, infatti, numerose sono state le analisi che ne hanno preconizzato il tramonto. Intendiamoci: le ragioni di inquietudine erano (e sono) tutte fondate. A cominciare dalla crisi dello storico meccanismo di legittimazione reciproca tra il partito repubblicano e quello democratico. Inoltre, in entrambi i partiti, sembrava essersi del tutto bloccato il sistema di riproduzione delle classi dirigenti. Per interi decenni la lotta politica si è infatti cristallizzata intorno alle dinastie dei Bush e dei Clinton, avvicinando Washington a una sorta di familismo ereditario. Nel partito democratico lo schema si è interrotto con Obama e Biden. Ma solo apparentemente, perché le gerarchie del potere restavano sostanzialmente inalterate, nelle mani delle solite élites politiche. Il partito repubblicano, invece, forse per reazione a tale stagnazione, si è fatto travolgere dal ciclone Trump che ha azzerato tutte le vecchie classi dirigenti, pur ricchissime di tradizioni e di valori. Una infausta rottura. In sostanza, sommando le crisi dei due partiti, il “declino americano” si è fatto talmente palese da rendere imbarazzante la fotografia di una nazione, violentemente polarizzata. Eppure, gli avvenimenti dell’ultima settimana permettono di chiamare in causa il “fatto- re Twain”. Infatti, il passo indietro di Biden ha trascinato con sé due conseguenze virtuose. Da un lato ha richiamato in servizio la virtù (purtroppo desueta) di saper mettere da parte le motivazioni personali in no- me dell’interesse nazionale. Da un altro ha costretto a venire allo scoperto una nuova classe dirigente democratica, favorendo una sorta di “carica dei cinquantenni” non più teleguidati dai vecchi clan di Washington. Josh Shapiro, 51 anni, governatore della Pennsylvania. Andy Beisher, 46 anni, governatore del Kentucky. Gretchen Whitmer, 52 anni, governatrice del Michigan. Pete Buttigieg, segretario ai trasporti. E’ probabile che la Harris sceglierà proprio tra questi nomi il suo candidato vice presidente.
Luigi Manconi, la Repubblica
Nel gennaio scorso – ricorda su Repubblica Luigi Manconi – Nordio si limitava a sostenere che i suicidi in carcere «sono diffusi in tutto il mondo» e derivano «dallo shock psicologico della detenzione»: è qualcosa «che esiste come la malattia e tante altre negatività della vita». E, tuttavia, – diceva ancora – il fenomeno in Italia «è diminuito del 15% rispetto al 2022». Questo, sei mesi fa. Nel frattempo i suicidi sono arrivati a 58 e, con questo ritmo di crescita, è prevedibile che a fine anno questa macabra contabilità sia destinata a raggiungere l’acme. A fronte di ciò il decreto Nordio – che qualche sciagurato chiama “svuotacarceri” – appare totalmente inefficace. Non una delle misure previste avrà un effetto deflattivo sul sovraffollamento. E, come afferma la presidente del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari Cristina Ornano, quella normativa «può aggravare i problemi anziché risolverli». Intanto, il più recente rapporto dell’Associazione Antigone documenta come il numero degli attuali detenuti sia il più alto dell’ultimo decennio, tra gli adulti il sovraffollamento è del 130,4%, mentre cresce anche negli Istituti penali per minorenni. Il governo non ha proposto, finora, un solo provvedimento – giuro, nemmeno uno – capace di far fronte a questa rovinosa realtà. E la politica penale dell’esecutivo – quindici nuove fattispecie penali e inasprimento di tutte le pene – ha prodotto altri reati, altri arresti, altri detenuti, altri suicidi. La situazione è tale che solo un decremento significativo dell’attuale sovraffollamento può consentire di porre rimedio a un simile sfascio, garantendo condizioni umane di vita, accesso ai servizi, assistenza sanitaria e psicologica, opportunità di riabilitazione e, soprattutto, tutela della dignità. Con gli attuali numeri, non c’è scampo.
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