Maria Elisabetta Casellati: «La riforma non tocca il Colle. Ora confronto in Parlamento, l'opposizione non alzi muri»
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Corriere della Sera di venerdì 17 novembre
Paola Di Caro intervista il ministro delle Riforme
Elisabetta Casellati. Perché un governo con una leader riconosciuta, una maggioranza netta e una opposizione oggi divisa sente il bisogno di battere il pugno sul tavolo per cambiare la Costituzione? Elisabetta Casellati ha una risposta sola: «La riforma costituzionale non riguarda affatto questo governo, ma il futuro del nostro Paese. Il tempo è maturo per uscire da una situazione di stallo. È da 40 anni che si cerca di cambiare la forma di governo, il che evidenzia la consapevolezza comune di tutte le parti politiche che il sistema parlamentare disegnato dai nostri costituenti non è riuscito a garantire la stabilità. Del resto, lo dicono i numeri: in 75 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 68 governi con durata media di 14 mesi, immagine di una incapacità di esprimere un indirizzo politico di lunga durata con conseguenze nefaste sulla nostra credibilità internazionale e competitività economica». Avete toccato solo 4 articoli nel testo che sarà presentato alle Camere, ma in realtà cambia tutto. «Francamente non vedo tutti questi stravolgimenti. Al contrario il testo è ispirato ad un criterio “minimale” di modifica della Costituzione, perché si limita ad interventi che servono a conseguire i nostri obiettivi: garantire stabilità e ricondurre la composizione dei governi alla volontà popolare. Da troppo tempo gli italiani hanno visto il loro voto finire nel cestino a causa di ribaltoni o giochi di palazzo, che hanno provocato sfiducia nella politica e un forte astensionismo nelle tornate elettorali. Un vulnus per la democrazia. Tutti a parole si proclamano “riformatori”, ma nei fatti vogliono che le cose non cambino». Molte le critiche dalle opposizioni, a partire dal ridimensionamento dei poteri del capo dello Stato, nella scelta del premier, nello scioglimento delle Camere. «Nove sono gli articoli della Costituzione che riguardano il ruolo e le prerogative del capo dello Stato. Nulla è stato toccato, compreso il potere di sciogliere le Camere dopo aver constatato il fallimento di un governo. I continui e insensati richiami dell’opposizione al Quirinale mi sembrano solo strumentalizzazioni e goffi tentativi di coprire l’infondatezza evidente delle obiezioni. Abbiamo scelto il premierato proprio per venire incontro alle loro istanze, essendoci presentati con una formula aperta all’attività di ascolto di quasi un anno con opposizioni, costituzionalisti, categorie economiche e sindacati». Praticamente impedite che nasca un governo tecnico: in passaggi delicati, come accaduto con Monti o Draghi, può essere necessario ricorrere a una figura esterna. Perché escluderlo? «I governi tecnici sono un’eccezione politica tutta italiana e senza eguali nelle democrazie mature, frutto di un sistema che va riformato, non assecondato. Un governo stabile e legittimato dall’elezione diretta è in grado di affrontare crisi e passaggi delicati. Siamo contrari a “ribaltoni” e trasformismi, non certo ai tecnici di valore che potranno candidarsi arricchendo il Parlamento di competenze». E perché abolire i senatori a vita? «È un sacrificio doloroso pensando al prestigio che figure straordinarie hanno dato alle istituzioni, come Liliana Segre. Ma nella nostra volontà di dare legittimazione democratica ad ogni rappresentante delle istituzioni, in un quadro dove il taglio dei parlamentari ha ridotto ulteriormente il margine delle maggioranze in Senato, non si può più accettare che non siano degli eletti a decidere sulla vita di un governo». Si contesta che un premier subentrato avrebbe più poteri dell’eletto, potendo portare il Paese al voto. «Non è così. Con la norma antiribaltone, il capo dello Stato nomina un altro parlamentare della stessa maggioranza, nel rispetto della volontà dei cittadini. Il subentro è vincolato all’attuazione del programma, garantendo stabilità e continuità di governo. È una formula meno rigida, che dà centralità al Parlamento e attenua il principio del simul stabunt simul cadent, che prevede subito elezioni se cade il governo». Lei e la premier dite che la riforma può essere modificata dal Parlamento, ma non stravolta. Cosa vuol dire? Quali sono i limiti? «Sarà il Parlamento a stabilire i limiti della riforma. Mi aspetto un’opposizione che non alzi muri ideologici, che non sia quella del “no” a prescindere. Dialogo e confronto significano “scambiare” idee e venirsi incontro reciprocamente, ma non scrivere un testo sotto dettatura, che si tradurrebbe in una riforma a “colpi di minoranza”». Non crede che con una riforma varata si debba comunque tornare al voto, o che il capo dello Stato possa dimettersi? «La riforma già prevede che entrerà in vigore con la prossima legislatura. Quanto al Presidente della Repubblica, non c’è nessuna ragione, né formale né sostanziale, perché debba dimettersi». Se si andasse a referendum e la riforma venisse bocciata, non sarebbero doverose le dimissioni, visto che ne fate un cardine della vostra legislatura? «L’ipotesi dimissioni non esiste. Sono ottimista sull’esito di un eventuale referendum, anche per recenti sondaggi dai quali emerge che la maggioranza degli italiani vuole eleggere direttamente il proprio presidente». Legge elettorale: proporzionale, maggioritario, premio di maggioranza con quale soglia? «Sono già al lavoro su una legge che coniughi i principi di governabilità e di rappresentanza analizzando a fondo tutti i sistemi elettorali. Anche su questo, il confronto sarà aperto a 360 gradi».