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Slovacchia al voto: cosa rischia l'Europa a Bratislava

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 28/09/2023

Slovacchia al voto: cosa rischia l'Europa a Bratislava Slovacchia al voto: cosa rischia l'Europa a Bratislava Paolo Mieli, Corriere della Sera
Sul Corriere della Sera Paolo Mieli si occupa delle elezioni di domenica prossima in Slovacchia, con il cinquantanovenne Robert Fico, iscritto da giovanissimo al Partito comunista cecoslovacco, diventato in seguito leader di un Partito socialdemocratico di marcate tendenze populiste, favorito per la vittoria, anche se il Partito liberale è dato in ascesa nei sondaggi. Chi è quest’uomo e perché ne parliamo? Fico è già stato due volte primo ministro della Slovacchia: dal 2006 al 2010 e dal 2012 al 2018. Finché, cinque anni fa, fu costretto alle dimissioni in seguito all’assassinio del giornalista Jàn Kuciak (e della sua compagna Martina Kusnirova) che erano in procinto di pubblicare alcuni articoli sui rapporti tra la ‘ndrangheta calabrese e membri del governo guidato, appunto, da Fico. Questo, per descrivere il suo entourage. A dicembre è caduto il governo di centro-destra di Eduard Heger convinto sostenitore della causa di Kiev e attualmente il Paese è governato ad interim da Ludovit Odor. Secondo i sondaggi che – come si è detto – danno in testa Fico, sorprendentemente la Russia non è più ritenuta responsabile dell’aggressione all’Ucraina. O lo è ritenuta sempre meno: i «colpevolisti» sono scesi dal 51 al 40 per cento. Ed è indubbiamente «merito» di Fico l’aver indotto parte dei suoi connazionali a questa inversione di rotta. Nemico esplicito di György Soros, Fico è apertamente sostenuto da moltissimi siti della propaganda putiniana. Il danno che, però, rischia di arrecare all’Europa è ben maggiore. Nel caso fosse eletto sposterebbe il suo Paese – membro dell’Unione europea e della Nato – nell’orbita ungherese. Con conseguenze minime (ancorché non trascurabili) sul piano militare. Ma di grande effetto sul piano politico e psicologico. È in momenti come questi, dunque, che si vede se i valori dell’Unione tengono. Ci sono fondamentali questioni economiche, certo. C’è il problema dei migranti, enorme. Ma c’è soprattutto l’Ucraina, sottoposta a una guerra d’aggressione, persa la quale sarà il nostro continente a uscirne sconvolto. Per sempre.
 
Carlo Bonini, la Repubblica
Il processo ai torturatori e agli assassini di Giulio Regeni si celebrerà, dunque. Ed è liberatorio – commenta su Repubblica Carlo Bonini – poterlo finalmente dire sette anni e otto mesi dopo il suo omicidio al Cairo per mano di agenti della National security agency, il servizio segreto civile egiziano. La famiglia Regeni, il suo avvocato Alessandra Ballerini, la Procura e l’ufficio gip del tribunale di Roma, gli investigatori di polizia e carabinieri e quella parte di opinione pubblica che in questo tempo non hanno smesso di cercare la verità e chiedere giustizia devono questa vittoria del diritto al coraggio e al rigore dei giudici della Corte costituzionale. Ad una pronuncia cristallina che, in dodici righe, emendando una norma del codice di procedura penale, rimuove il macigno con cui l’Egitto di Abdel Fattah Al Sisi aveva odiosamente ostruito il corso della giustizia. Parliamo dell’ostentato rifiuto del regime egiziano di notificare ai suoi quattro agenti dell’intelligence imputati di tortura e omicidio la notizia del loro rinvio a giudizio di fronte a una corte di assise italiana. Come egregiamente aveva segnalato in udienza il Procuratore di Roma Lo Voi al giudice dell’udienza preliminare di Roma che ha poi accolto e proposto il ricorso che ha portato alla pronuncia della Consulta “non vi è processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un’autorità di governo”. Il processo dunque si farà. E tuttavia le buone notizie finiscono qui. Perché, con la sua pronuncia, la Corte costituzionale ha reso luminosi la pavidità e il cinismo di governo e Parlamento. Le dodici righe del dispositivo della Consulta dimostrano infatti che su quella norma del codice di procedura penale dietro cui si era attestato l’ostruzionismo egiziano sarebbe stato possibile intervenire rapidamente per via legislativa risparmiando al nostro Paese l’umiliazione di veder offesa la sua sovranità.
 
Stefano Lepri, La Stampa
Per rispettare gli impegni europei, osserva Stefano Lepri sulla Stampa, la manovra economica 2024 dovrebbe togliere un pochino, non dare. Nonostante i richiami alla prudenza del ministro dell’Economia e di altri colleghi di governo, la propaganda dei partiti di maggioranza continua a promettere sgravi ed aiuti. I conti usciti ieri sera sono un compromesso che non pone affatto al riparo da una procedura di infrazione comunitaria. All’Italia non si chiede nulla di più che agli altri Paesi. L’obiettivo indicato per tutti è una riduzione del deficit strutturale di bilancio di 0,7 punti di Pil nel 2024. A questo traguardo la Spagna sembra già in grado di avvicinarsi sebbene dopo le elezioni del 23 luglio non ab- bia ancora un governo. La Francia, sulla base di previsioni piuttosto ottimistiche, progetta di fare circa la metà. A quanto pare, l’Italia non ci proverà nemmeno. L’obiettivo comune è ridurre il debito accumulato, fardello che impedisce di far di più per la crescita senza correre rischi di instabilità. Un po’ di buona volontà, almeno? Il governo francese, se non altro, dichiara buone intenzioni: tagli alle spese, meccanismi per valutare l’efficacia dell’uso delle risorse statali, stop a ogni nuovo sgravio. È un problema che resterà con noi per i prossimi anni. Proprio a Italia e Francia le regole di bilancio dell’area euro richiederanno di risanare di più i loro conti. La nuova versione del Patto proposta dal commissario Paolo Gentiloni sarebbe assai meno severa della precedente, secondo i calcoli del rispettatissimo centro studi Bruegel; ma non è detto che l’accordo si trovi. Converrebbe dunque prepararsi per tempo a un lungo percorso. Nella Nadef approvata ieri si stenta a vedere un qualche progetto. Lo sforzo maggiore si farà per il taglio al «cuneo fiscale»: poiché si tratta di una scelta ragionevole, ora si tenta di sostenere che è quella la causa del maggior deficit. Non lo è, era deciso da prima. La scarsissima dinamica dell’economia italiana è un problema serio, che nessun governo finora è riuscito a risolvere. Lo resta da anni. Il minimo che si può fare è non peggiorare la situazione.
 
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